lunedì 20 dicembre 2010

Consigli (forse) utili al centrodestra per la rivoluzione

Se Berlusconi tro­verà dieci piccoli indiani disposti a lasciare la Tri­bù dei Risentiti che vivo­no solo per vendicarsi e boicottare, riuscirà a go­vernare fino alla fine del­la legislatura. I dieci ri­convertiti non lo fareb­bero né per idealismo né per corruzione, ma per ragionevole oppor­tunismo, come già fece­ro passando con Fini perché non erano più garantiti nel listino bloc­cato. Se poi Casini capi­rà che non sposando il rancore dei black broc di Fini ma aprendo al centrodestra potrà ere­ditarne la guida, tanto meglio, soprattutto per lui. Altrimenti toccherà governare così, senza escludere il ricorso anti­cipato alle urne. Mesi fa previdi che nella miglio­re delle ipotesi Fini sa­rebbe passato da vice di Berlusconi a vice di Ca­sini, in un cartello etero­geneo coi numeri della vecchia An. Una bella carriera: da leader a se­guace, da statista a stagi­sta di Bocchino. Non è riuscito a seppellire Ber­lusconi, in compenso ha sepolto la destra. Una prece.

Ora, per il bene del­­l’Italia, dobbiamo augu­r­arci che il governo rien­tri nella piena facoltà di guidare il Paese. Ma poi lo guidi sul serio. Augu­rando lunga vita al go­verno e non lunga de­genza, vorrei però spo­stare l’attenzione sul do­po, invocando una svol­ta. La leadership di Ber­lusconi è stata ancora una volta vincente sui numerosi avversari. Ma intorno, diciamolo pu­re, c’èil deserto. Non mi riferisco al governo che nel complesso appare una buona compagine. Dico il Pdl e la classe di­rigente. E dico la politi­ca e i suoi contenuti. Non cito, per carità di patria, la cultura. Il Re Sole brilla sempre più nel suo splendido isola­mento, poi ci sono i suoi devoti con l’insolazio­ne da re, e intorno la de­solazione. Dalla sua par­te resta, e non è poco, un gran consenso di po­polo. Ad eccezione del­la Conferenza episcopa­le, larga parte dei poteri che contano sono anco­ra ostili, ora magari in modo soft .

C’è da aprire una nuo­va stagione politica. Che non vuol dire la campagna acquisti con la promessa di posti al governo. E non vuol di­re nemmeno legge elet­torale, di cui sono auspi­cabili modifiche, ma sal­v­ando il premio di mag­gioranza. Ma nuova sta­gione vuol dire pensare una linea politica, avvia­re vere selezioni di una classe dirigente, punta­re su nuove leadership. Una nuova fase della po­­litica e un nuovo stile, più sereno e più rigoro­so, eticamente respon­sabile. Anche nei gior­nali è tempo di aprire una nuova fase, più so­bria e meno gridata, più pensante e meno militante. Non si può rispondere al conformismo della stampa allineata con la rozzezza delle semplificazioni brutali. So di esprimere una voce in dissenso, e lo faccio ora che la bufera è passata e gli sfascisti di vetrine politiche hanno sfasciato la loro stessa immagine riflessa nei vetri. Ma un Paese non può tirare avanti affidandosi solo a un leader e alla sua promessa di campare 120 anni. Deve avere il coraggio di puntare sull’Italia, sulle idee, sui contenuti, sulla selezione delle élite e di nuove guide per il futuro. Allora davanti al popolo di centrodestra si aprono due ipotesi. Una è quella di pensare che dopo la democrazia plebiscitaria tornerà la democrazia cristiana, diversamente nominata e rappresentata. E allora la soluzione più pratica, che non piace a nessuno ma non spaventa nessuno, è Casini o qualcosa che gli somigli. Soluzione minimalista, che avrebbe il vantaggio di abbassare i toni, svelenire il clima, a prezzo di un moderato ritorno alla partitocrazia, ai compromessi e ai patronati economici (password: Caltagirone). Un Casini che sposi il Pdl, releghi Fini e Rutelli al rango di baronetti, notabili o vecchie zie nubili, e si accordi per governare con i Tremonti, i Letta e i Formigoni, riconoscendo il patrocinio a Berlusconi, dialogando con l’opposizione e stabilendo un patto con Bossi. Soluzione ragionevole ma esaltante come un brodino.

L’altra ipotesi più alta e più difficile è ridare carne, anima e vita al bipolarismo e alla politica. E dunque ritentare la rivoluzione italiana, dico italiana, non la rivoluzione liberale. Considerando concluso nel 2013 un ciclo al cui interno vi sono i protagonisti presenti, Berlusconi ma anche Fini e Casini, questa sinistra e Di Pietro. Ovvero, prendere lo spunto dal compleanno d’Italia e dalla crisi economica globale per ripensare in modo originale lo Stato sociale, in una versione più agile e incisiva, meno statalismo e più comunità, meno tasse e più incentivi. Portare fino in fondo le grandi riforme strutturali, insieme a un grande progetto sull’Italia superpotenza mondiale della cultura e delle arti, rilanciando l’Italia come nazione culturale. E insieme promuovere la rivoluzione del merito e la selezione delle classi dirigenti. Magari usando anche la riforma federale, che personalmente non mi entusiasma, come elettrochoc alle istituzioni per avviare dal basso e dal territorio una democrazia responsabile che selezioni la sua classe dirigente con i criteri del merito e dell’efficacia.

Ci sono più di due anni per affrontare la crisi governando il Paese e sul piano politico per ripartire da una minoranza costituente con un progetto del genere, politico e sociale, etico e culturale. Impresa quasi disperata, con questa penuria d’uomini, di senso civico e d’idee;ma in mancanza di alternative, val la pena di tentare. Quante probabilità di riuscirvi? L’8 per mille, tanto per restare credenti.

(di Marcello Veneziani)

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