Ora, per il bene dell’Italia, dobbiamo augurarci che il governo rientri nella piena facoltà di guidare il Paese. Ma poi lo guidi sul serio. Augurando lunga vita al governo e non lunga degenza, vorrei però spostare l’attenzione sul dopo, invocando una svolta. La leadership di Berlusconi è stata ancora una volta vincente sui numerosi avversari. Ma intorno, diciamolo pure, c’èil deserto. Non mi riferisco al governo che nel complesso appare una buona compagine. Dico il Pdl e la classe dirigente. E dico la politica e i suoi contenuti. Non cito, per carità di patria, la cultura. Il Re Sole brilla sempre più nel suo splendido isolamento, poi ci sono i suoi devoti con l’insolazione da re, e intorno la desolazione. Dalla sua parte resta, e non è poco, un gran consenso di popolo. Ad eccezione della Conferenza episcopale, larga parte dei poteri che contano sono ancora ostili, ora magari in modo soft .
C’è da aprire una nuova stagione politica. Che non vuol dire la campagna acquisti con la promessa di posti al governo. E non vuol dire nemmeno legge elettorale, di cui sono auspicabili modifiche, ma salvando il premio di maggioranza. Ma nuova stagione vuol dire pensare una linea politica, avviare vere selezioni di una classe dirigente, puntare su nuove leadership. Una nuova fase della politica e un nuovo stile, più sereno e più rigoroso, eticamente responsabile. Anche nei giornali è tempo di aprire una nuova fase, più sobria e meno gridata, più pensante e meno militante. Non si può rispondere al conformismo della stampa allineata con la rozzezza delle semplificazioni brutali. So di esprimere una voce in dissenso, e lo faccio ora che la bufera è passata e gli sfascisti di vetrine politiche hanno sfasciato la loro stessa immagine riflessa nei vetri. Ma un Paese non può tirare avanti affidandosi solo a un leader e alla sua promessa di campare 120 anni. Deve avere il coraggio di puntare sull’Italia, sulle idee, sui contenuti, sulla selezione delle élite e di nuove guide per il futuro. Allora davanti al popolo di centrodestra si aprono due ipotesi. Una è quella di pensare che dopo la democrazia plebiscitaria tornerà la democrazia cristiana, diversamente nominata e rappresentata. E allora la soluzione più pratica, che non piace a nessuno ma non spaventa nessuno, è Casini o qualcosa che gli somigli. Soluzione minimalista, che avrebbe il vantaggio di abbassare i toni, svelenire il clima, a prezzo di un moderato ritorno alla partitocrazia, ai compromessi e ai patronati economici (password: Caltagirone). Un Casini che sposi il Pdl, releghi Fini e Rutelli al rango di baronetti, notabili o vecchie zie nubili, e si accordi per governare con i Tremonti, i Letta e i Formigoni, riconoscendo il patrocinio a Berlusconi, dialogando con l’opposizione e stabilendo un patto con Bossi. Soluzione ragionevole ma esaltante come un brodino.
L’altra ipotesi più alta e più difficile è ridare carne, anima e vita al bipolarismo e alla politica. E dunque ritentare la rivoluzione italiana, dico italiana, non la rivoluzione liberale. Considerando concluso nel 2013 un ciclo al cui interno vi sono i protagonisti presenti, Berlusconi ma anche Fini e Casini, questa sinistra e Di Pietro. Ovvero, prendere lo spunto dal compleanno d’Italia e dalla crisi economica globale per ripensare in modo originale lo Stato sociale, in una versione più agile e incisiva, meno statalismo e più comunità, meno tasse e più incentivi. Portare fino in fondo le grandi riforme strutturali, insieme a un grande progetto sull’Italia superpotenza mondiale della cultura e delle arti, rilanciando l’Italia come nazione culturale. E insieme promuovere la rivoluzione del merito e la selezione delle classi dirigenti. Magari usando anche la riforma federale, che personalmente non mi entusiasma, come elettrochoc alle istituzioni per avviare dal basso e dal territorio una democrazia responsabile che selezioni la sua classe dirigente con i criteri del merito e dell’efficacia.
(di Marcello Veneziani)
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