Ho trovato divertente il finto scoop sul finto agguato al finto leader, il presidente GianFitzgerald Fini. Dopo la finta indignazione aspettiamo ora la finta rivendicazione dell’attentato, e magari il finto arresto, così completiamo il circolo della finzione. Io però vorrei tornare alla realtà per capire cosa c’è di vero e di vivo nella destra di oggi, dopo un anno terribile che l’ha decapitata, lacerata e mozzata. Dico la destra, non il centrodestra nel suo complesso, non il Pdl berlusconiano. Ne ricostruisco la storia per capire il presente.
C’era una volta una destra piccina ma compatta, che però riduceva la più ampia e più variegata destra al piccolo mondo missino, animato dalla nostalgia e da un radicalismo politico, etico e ideologico tipico di chi vuol testimoniare un’idea e un’appartenenza, senza modificare la realtà. In quel tempo c’era una fiorente galassia di piccoli giornali, riviste, aree che si definivano di destra. Poi venne la mutazione necessaria e salutare in un partito di destra più ampio e meno retrospettivo, chiamato Alleanza nazionale. Un partito che non seppe darsi contenuti all’atto della svolta, ma compì un salto nel tempo e nel modo di pensare la politica. Il suo ruolo nell’ambito del centrodestra non fu mai egemone ma via via decrescente; fino a diventare quasi irrilevante sul piano politico, culturale e pratico. L’omologazione di An andò di pari passo con l’insofferenza crescente del suo leader verso Berlusconi, fino a remare contro (ricorderete le elezioni del 2006).
Divenuto ormai un pallido clone di Forza Italia, incapace di bilanciare il ruolo della Lega, avvertendo un’imminente emorragia di consensi, An si sciolse come burro e confluì nel Pdl, metà soddisfatto e metà malvolentieri. Vinte le elezioni, incassati i dividendi e gli incarichi, a cominciare dalla presidenza della Camera, avviò la marcia contro Berlusconi.
Resto dell’idea che sia stato un errore l’estate scorsa non accogliere la critica di Fini all’inesistenza del Pdl: primo perché era motivata, secondo perché poteva essere l’occasione per rifare il Pdl; terzo, perché trasferiva la tensione dal governo al partito, arginando la bufera. Ma la storia non si fa con i se, e Fini ormai da troppo tempo non sopportava Berlusconi, sperava nei giudici e nello sfascio. La sua operazione ha avuto un sostegno mediatico senza precedenti, branchi di lupi si sono raggruppati per attaccare il governo: giornali, cortei, partiti, lobby, poteri. Però dopo la sconfitta del 14 dicembre i lupi si sono dispersi o sono rientrati nelle loro tane. E i fuoriusciti finiani hanno dovuto rinunciare pure al racconto consolatorio che stavano dando vita a una destra nuova, autonoma e moderna, perché sono finiti come una costola di quel che resta della vecchia dc, sotto la leadership di Casini, al fianco di Rutelli, La Malfa e Lombardo (baciamo le mani).
Certo, la polverizzazione della destra è avvenuta di pari passo con la mortificazione della sinistra. E tutto questo è accaduto per un paradosso: il passaggio dal bipolarismo al tentato bipartitismo ha prodotto la scomparsa della destra e della sinistra. Per la prima volta nessuna formazione politica in Parlamento si definisce apertamente di destra o di sinistra. Veltroni liquidò la sinistra, facendo nascere il P d e azzerando la sinistra. E Fini ha completato l’opera sull’altro versante, liquidando la destra in tre mosse: scioglie An, sfascia il Pdl e convoglia i residui del Fli nel terzo polo. Entrambi incolpano il berlusconismo del duplice omicidio, ma si tratta di due suicidi. Ora si pone un problema: fallito il Fli, cosa resta della destra in Italia? Vedo singoli, a volte rispettabili, politici che provengono da quella storia e fanno il loro mestiere. Vedo frammenti, piccole fondazioni che ricalcano gli ultimi scampoli delle vecchie correnti di An, ma non c’è un soggetto che le coordini, non un’area, non un giornale, una rivista, una fondazione, una cabina di regia che dentro il centrodestra costituisca il suo riferimento. Il nulla. Allora pongo alcune domande finali a i signori di destra, di vertice e di base, elettori inclusi. Vi sta bene così? Ritenete che la destra abbia ormai esaurito la sua missione storica e politica e che altre debbano essere oggi le fonti della politica e, se posso permettermi di sapere, quali? Preferite riconoscervi dentro un gran contenitore e poi ciascuno coltiva private predilezioni e civetterie? Siete in attesa vigile sotto coperta e aspettate di riaffiorare quando finirà questo ciclo e allora giocoforza da qualche punto fermo bisognerà partire? Rispondete a vostra scelta a solo una di queste domande. Qualunque sia la risposta sarà benvenuta, perché vorrà dire che nel frattempo non vi siete liquefatti o assiderati.
P.S. Per tornare a divertirci come all’inizio, ripenso al finto incontro del finto leader con una sedicente escort. La storia mi sembra finta per tante ragioni, ma per una sopra tutte: mai Fini andrebbe con una donna di nome Rachele. Il suo antifascismo gli impedirebbe di imitare il creatore del Male Assoluto.
(di Marcello Veneziani)
C’era una volta una destra piccina ma compatta, che però riduceva la più ampia e più variegata destra al piccolo mondo missino, animato dalla nostalgia e da un radicalismo politico, etico e ideologico tipico di chi vuol testimoniare un’idea e un’appartenenza, senza modificare la realtà. In quel tempo c’era una fiorente galassia di piccoli giornali, riviste, aree che si definivano di destra. Poi venne la mutazione necessaria e salutare in un partito di destra più ampio e meno retrospettivo, chiamato Alleanza nazionale. Un partito che non seppe darsi contenuti all’atto della svolta, ma compì un salto nel tempo e nel modo di pensare la politica. Il suo ruolo nell’ambito del centrodestra non fu mai egemone ma via via decrescente; fino a diventare quasi irrilevante sul piano politico, culturale e pratico. L’omologazione di An andò di pari passo con l’insofferenza crescente del suo leader verso Berlusconi, fino a remare contro (ricorderete le elezioni del 2006).
Divenuto ormai un pallido clone di Forza Italia, incapace di bilanciare il ruolo della Lega, avvertendo un’imminente emorragia di consensi, An si sciolse come burro e confluì nel Pdl, metà soddisfatto e metà malvolentieri. Vinte le elezioni, incassati i dividendi e gli incarichi, a cominciare dalla presidenza della Camera, avviò la marcia contro Berlusconi.
Resto dell’idea che sia stato un errore l’estate scorsa non accogliere la critica di Fini all’inesistenza del Pdl: primo perché era motivata, secondo perché poteva essere l’occasione per rifare il Pdl; terzo, perché trasferiva la tensione dal governo al partito, arginando la bufera. Ma la storia non si fa con i se, e Fini ormai da troppo tempo non sopportava Berlusconi, sperava nei giudici e nello sfascio. La sua operazione ha avuto un sostegno mediatico senza precedenti, branchi di lupi si sono raggruppati per attaccare il governo: giornali, cortei, partiti, lobby, poteri. Però dopo la sconfitta del 14 dicembre i lupi si sono dispersi o sono rientrati nelle loro tane. E i fuoriusciti finiani hanno dovuto rinunciare pure al racconto consolatorio che stavano dando vita a una destra nuova, autonoma e moderna, perché sono finiti come una costola di quel che resta della vecchia dc, sotto la leadership di Casini, al fianco di Rutelli, La Malfa e Lombardo (baciamo le mani).
Certo, la polverizzazione della destra è avvenuta di pari passo con la mortificazione della sinistra. E tutto questo è accaduto per un paradosso: il passaggio dal bipolarismo al tentato bipartitismo ha prodotto la scomparsa della destra e della sinistra. Per la prima volta nessuna formazione politica in Parlamento si definisce apertamente di destra o di sinistra. Veltroni liquidò la sinistra, facendo nascere il P d e azzerando la sinistra. E Fini ha completato l’opera sull’altro versante, liquidando la destra in tre mosse: scioglie An, sfascia il Pdl e convoglia i residui del Fli nel terzo polo. Entrambi incolpano il berlusconismo del duplice omicidio, ma si tratta di due suicidi. Ora si pone un problema: fallito il Fli, cosa resta della destra in Italia? Vedo singoli, a volte rispettabili, politici che provengono da quella storia e fanno il loro mestiere. Vedo frammenti, piccole fondazioni che ricalcano gli ultimi scampoli delle vecchie correnti di An, ma non c’è un soggetto che le coordini, non un’area, non un giornale, una rivista, una fondazione, una cabina di regia che dentro il centrodestra costituisca il suo riferimento. Il nulla. Allora pongo alcune domande finali a i signori di destra, di vertice e di base, elettori inclusi. Vi sta bene così? Ritenete che la destra abbia ormai esaurito la sua missione storica e politica e che altre debbano essere oggi le fonti della politica e, se posso permettermi di sapere, quali? Preferite riconoscervi dentro un gran contenitore e poi ciascuno coltiva private predilezioni e civetterie? Siete in attesa vigile sotto coperta e aspettate di riaffiorare quando finirà questo ciclo e allora giocoforza da qualche punto fermo bisognerà partire? Rispondete a vostra scelta a solo una di queste domande. Qualunque sia la risposta sarà benvenuta, perché vorrà dire che nel frattempo non vi siete liquefatti o assiderati.
P.S. Per tornare a divertirci come all’inizio, ripenso al finto incontro del finto leader con una sedicente escort. La storia mi sembra finta per tante ragioni, ma per una sopra tutte: mai Fini andrebbe con una donna di nome Rachele. Il suo antifascismo gli impedirebbe di imitare il creatore del Male Assoluto.
(di Marcello Veneziani)
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