Ieri la mia giornata è cominciata nel segno del lutto. Quando alla mattina ho aperto il computer, era già arrivata la mail della mia amica Silvia Signorelli dove mi annunciava che suo padre, Paolo Signorelli, era morto la sera prima. Aveva 76 anni. La lotta corpo a corpo con il tumore, lotta che da oltre quattro anni Paolo conduceva con grande coraggio e dignità personale, s’era conclusa. Scompare uno dei protagonisti più marcati della storia della destra italiana del dopoguerra, uno che a metà degli anni Ottanta venne indicato da alcuni magistrati d’accusa come il mostro dei mostri e che per questo s’è fatto dieci anni di cella: e non c’era ignominia della destra estrema che non gli fosse attribuita, dall’aver ideato la “strage di Bologna” all’essere stato mandante dell’assassinio di alcuni magistrati famosi. Tutte accuse da cui verrà definitivamente assolto.
Tra i Cinquanta e i Sessanta Paolo era stato uno dei fondatori e uno dei ragionatori principali del gruppo di estrema destra “Ordine nuovo”, una molecola che s’era staccata furiosamente dal corpo del Msi perché giudicato troppo accomodante e pantofolaio. Non è che Paolo avesse deciso di scherzare col fuoco, di più. Era un nemico frontale della democrazia di massa, era uno che non rinnegava nulla del “fascismo eroico”. Era uno che non si sarebbe messo i guanti bianchi ove avesse avuto di fronte quelli della sinistra. Al tempo della mia giovinezza politica, loro di “Ordine nuovo” agli occhi di noi studenti di sinistra erano dei “Démoni” in carne e ossa. Il capo dell’ “Ordine nuovo” di Catania, la mia città natale, andava in giro con un pugno di ferro in tasca. Di tanto in tanto irrompevano nelle sedi nostre e non avevano l’aria di scherzare.
Quel capo catanese di “Ordine nuovo” diverrà poi uno dei consiglieri politici di Arnaldo Forlani. Era stato Paolo Signorelli a farlo espellere da “Ordine nuovo” perché estremista e inattendibile. Quanto a me, di Signorelli e della sua bellissima famiglia ero divenuto amico da una quindicina d’anni. Di quella storia che così tanto mi appassiona che avrei voluto scriverci un libro, la storia prima dell’odio frontale e poi del riavvicinamento umano tra “noi” di sinistra e “loro” di destra, la vicenda di Signorelli è una pietra miliare. Mi spiego.
“Paolo Signorelli, il Teorema, il Mostro, il Caso”. Era il titolo di un quaderno edito nel 1988 dal Comitato di Solidarietà pro Detenuti Politici che aveva come prefatore una figura adamantina del mondo radicale, Mauro Mellini. Signorelli era divenuto “il Mostro” nel 1986, quando lo condannano a 12 anni perché corresponsabile della strage di Bologna. Più tardi gli appiopperanno una condanna all’ergastolo. Come scrive Mellini, il curriculum e la silhouette di Signorelli lo facevano “un personaggio fatto apposta per le stragi, il terrorismo, l’eversione sanguinosa”. Uno più mostro di questo professore di liceo che alla politica e all’ideologia la più furibonda dedicava ogni spasmo della sua vita e della sua passione? Impossibile. Un personaggio letterario, insomma: un mandante che era assieme “tenebroso” e perfettamente riconoscibile. Uno che ce l’aveva scritta in faccia la professione che gli era più congeniale: quella di imputato. “Di professione imputato” è il titolo del libro che Signorelli scrive quando tutte le accuse sono cadute, quando il professore di liceo non è più il “Mostro”, ma uno che s’è fatto ingiustamente dieci anni di cella. Una copia di quel suo libro Paolo me la mandò il 25 giugno 1996 con la dedica: “Forza Uomo!”.
Era successo difatti, ed era la prima volta nella storia del secondo dopoguerra, che un protagonista acerrimo della storia della destra la più risoluta divenisse l’oggetto di una campagna di solidarietà che metteva fianco a fianco uomini di sinistra e uomini di destra. C’è che nel processo contro Signorelli le accuse e i fatti non vanno d’accordo. C’è che agli occhi di molti le accuse contro di lui appaiono insussistenti. Una cosa è l’avere scherzato con il fuco, e Signorelli lo ha fatto; tutt’altra cosa è avere detto a Pier Luigi Concutelli “Vai e uccidi il giudice Occorsio!”, e di questo non c’è nessuna prova. Scatta la campagna in nome della verità e della giustizia. Entra in campo “Amnesty International” a denunciare che il detenuto Paolo Signorelli è stato privato dell’assistenza sanitaria di cui aveva bisogno. La moglie di Paolo, Claudia Signorelli, manda una lettera ai familiari delle vittime della bomba di Bologna dicendo che il loro dolore è interamente condiviso da lei e da suo marito. Signorelli denuncia “per calunnia” i magistrati di Bologna che lo accusano.
A metà del 1987 cominciano i digiunti congiunti di alcuni dei “nostri” e di alcuni dei “loro”. A far partire la sequenza dei digiuni è nientemeno che il futuro sindaco di Roma, Francesco Rutelli. Poi il deputato missino Tommaso Staiti e il deputato radicale Emilio Vesce, e il giornalista Giorgio Pisanò, e mentre arrivano le adesioni di Enzo Tortora e dell’attrice Ilaria Occhini e di Sergio D’Elia, ex terrorista di Prima linea e in quel momento segretario federale del Partito Radicale.
La prima volta nella storia d’Italia, che “noi” e “loro” fossimo l’uno accanto all’altro. Altro che di avere scherzato con il fuoco, Paolo Signorelli verrà assolto da ogni cosa. “Noi” e “loro” lo festeggiammo in una sala attigua a Porta Portese, un pomeriggio di 14 anni fa. Paolo era sorridente, orgoglioso, uno che non rinnegava niente. Asperrimo com’era, io gli ho voluto bene come lo si deve a un avversario leale e umano. Addio, Paolo.
(di Giampiero Mughini)
Tra i Cinquanta e i Sessanta Paolo era stato uno dei fondatori e uno dei ragionatori principali del gruppo di estrema destra “Ordine nuovo”, una molecola che s’era staccata furiosamente dal corpo del Msi perché giudicato troppo accomodante e pantofolaio. Non è che Paolo avesse deciso di scherzare col fuoco, di più. Era un nemico frontale della democrazia di massa, era uno che non rinnegava nulla del “fascismo eroico”. Era uno che non si sarebbe messo i guanti bianchi ove avesse avuto di fronte quelli della sinistra. Al tempo della mia giovinezza politica, loro di “Ordine nuovo” agli occhi di noi studenti di sinistra erano dei “Démoni” in carne e ossa. Il capo dell’ “Ordine nuovo” di Catania, la mia città natale, andava in giro con un pugno di ferro in tasca. Di tanto in tanto irrompevano nelle sedi nostre e non avevano l’aria di scherzare.
Quel capo catanese di “Ordine nuovo” diverrà poi uno dei consiglieri politici di Arnaldo Forlani. Era stato Paolo Signorelli a farlo espellere da “Ordine nuovo” perché estremista e inattendibile. Quanto a me, di Signorelli e della sua bellissima famiglia ero divenuto amico da una quindicina d’anni. Di quella storia che così tanto mi appassiona che avrei voluto scriverci un libro, la storia prima dell’odio frontale e poi del riavvicinamento umano tra “noi” di sinistra e “loro” di destra, la vicenda di Signorelli è una pietra miliare. Mi spiego.
“Paolo Signorelli, il Teorema, il Mostro, il Caso”. Era il titolo di un quaderno edito nel 1988 dal Comitato di Solidarietà pro Detenuti Politici che aveva come prefatore una figura adamantina del mondo radicale, Mauro Mellini. Signorelli era divenuto “il Mostro” nel 1986, quando lo condannano a 12 anni perché corresponsabile della strage di Bologna. Più tardi gli appiopperanno una condanna all’ergastolo. Come scrive Mellini, il curriculum e la silhouette di Signorelli lo facevano “un personaggio fatto apposta per le stragi, il terrorismo, l’eversione sanguinosa”. Uno più mostro di questo professore di liceo che alla politica e all’ideologia la più furibonda dedicava ogni spasmo della sua vita e della sua passione? Impossibile. Un personaggio letterario, insomma: un mandante che era assieme “tenebroso” e perfettamente riconoscibile. Uno che ce l’aveva scritta in faccia la professione che gli era più congeniale: quella di imputato. “Di professione imputato” è il titolo del libro che Signorelli scrive quando tutte le accuse sono cadute, quando il professore di liceo non è più il “Mostro”, ma uno che s’è fatto ingiustamente dieci anni di cella. Una copia di quel suo libro Paolo me la mandò il 25 giugno 1996 con la dedica: “Forza Uomo!”.
Era successo difatti, ed era la prima volta nella storia del secondo dopoguerra, che un protagonista acerrimo della storia della destra la più risoluta divenisse l’oggetto di una campagna di solidarietà che metteva fianco a fianco uomini di sinistra e uomini di destra. C’è che nel processo contro Signorelli le accuse e i fatti non vanno d’accordo. C’è che agli occhi di molti le accuse contro di lui appaiono insussistenti. Una cosa è l’avere scherzato con il fuco, e Signorelli lo ha fatto; tutt’altra cosa è avere detto a Pier Luigi Concutelli “Vai e uccidi il giudice Occorsio!”, e di questo non c’è nessuna prova. Scatta la campagna in nome della verità e della giustizia. Entra in campo “Amnesty International” a denunciare che il detenuto Paolo Signorelli è stato privato dell’assistenza sanitaria di cui aveva bisogno. La moglie di Paolo, Claudia Signorelli, manda una lettera ai familiari delle vittime della bomba di Bologna dicendo che il loro dolore è interamente condiviso da lei e da suo marito. Signorelli denuncia “per calunnia” i magistrati di Bologna che lo accusano.
A metà del 1987 cominciano i digiunti congiunti di alcuni dei “nostri” e di alcuni dei “loro”. A far partire la sequenza dei digiuni è nientemeno che il futuro sindaco di Roma, Francesco Rutelli. Poi il deputato missino Tommaso Staiti e il deputato radicale Emilio Vesce, e il giornalista Giorgio Pisanò, e mentre arrivano le adesioni di Enzo Tortora e dell’attrice Ilaria Occhini e di Sergio D’Elia, ex terrorista di Prima linea e in quel momento segretario federale del Partito Radicale.
La prima volta nella storia d’Italia, che “noi” e “loro” fossimo l’uno accanto all’altro. Altro che di avere scherzato con il fuoco, Paolo Signorelli verrà assolto da ogni cosa. “Noi” e “loro” lo festeggiammo in una sala attigua a Porta Portese, un pomeriggio di 14 anni fa. Paolo era sorridente, orgoglioso, uno che non rinnegava niente. Asperrimo com’era, io gli ho voluto bene come lo si deve a un avversario leale e umano. Addio, Paolo.
(di Giampiero Mughini)
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