
Chi ha sempre guardato con occhio ideologicamente disincantato alla  figura di Jean-Marie Le Pen e al suo partito, il Front National,  espressione di un’ultradestra galouise, non può stupirsi più di tanto  del sondaggio Tns-Sofres che accredita le idee lepeniste appoggiate da  più di un francese su cinque. Le Pen, una specie di leader dalle dieci  vite, uno di quei capi che in Italia classificheremmo tra la razza con  la pellaccia da prima Repubblica, domenica prossima lascerà la  presidenza del partito, probabilmente nelle mani della figlia Marine.  Dal quel momento può aprirsi, nella Francia dello scontento sarkozista e  della sinistra in ambasce d’idee, una stagione politica ricca di  sorprese. Perché sempre lo stesso sondaggio segnala che una quota  crescente di elettori dell’Ump, la destra costituzionale che sta al  governo, guarda senza paraocchi a ciò che finora la politica francese ha  relegato nell’impensabile: un accordo elettorale con il Fn. E si tratta  del 35% di elettori dell’Ump, che non sono pochi vista la pessima  stampa di cui soffre il partito lepenista, caso più unico che raro di  partito sempre forte nei suffragi ma condannato a una totale  emarginazione politica in virtù del sistema elettorale a doppio turno. 
In verità, da quando nel 2002 si è consumato lo shock del ballottaggio  tra il vecchio lottatore del FN e Jacques Chirac per la presidenza, la  strategia della destra gollista è stata quella di esaurire  progressivamente il bacino elettorale lepenista rubando poco a poco le  battaglie che avevano fatto, ad esempio, del Fn il primo partito  operaio: sicurezza, lotta all’immigrazione clandestina, identità  nazionale. E così via, in un catalogo che raccoglie l’intera famiglia  delle destre europee dentro e fuori il Ppe. Si può anche definire questo  tipo di strategia come una specie di gestione a fini elettorali delle  paure diffuse, eppure la storia sta dimostrando che queste idee  continuano a funzionare, nella loro potenza evocativa capace di  attecchire nei timori profondi dei francesi, anche al di là  dell’effettiva coerenza con quanto accade nella vita quotidiana degli  elettori. Tra l’altro, uno dei risultati migliori ottenuti da Sarkozy  durante e dopo la sua corsa elettorale del 2007 fu quella di evitare che  alcune pulsioni – l’inconscio burrascoso che si agita in qualsiasi  popolo sotto la forma del fantasma del "diverso" – potessero diventare  incontrollabili, se lasciate nelle sole mani di un partito escluso di  fatto sia dal governo sia dalla rappresentanza parlamentare.
Oggi che il sarkozismo annaspa, e si aggroviglia pure nella cattiva  gestione di faccende complesse come il grande dibattito sull’identità  francese, inaugurato qualche mese fa in pompa magna e naufragato in una  sostanziale ingestibilità, l’ipotesi di una specie di  "costituzionalizzazione" del Fn, analoga a quanto avvenuto dal 1994 con  la destra italiana, può non essere più fantapolitica. Si tratta solo di  smetterla di considerare il Fn per quel che non è, ovvero un partito  neofascista, e valutare se la destra radicale francese può seguire quel  percorso di normalizzazione e di inserimento nella politica delle  alleanze che più di dieci anni fa aveva già teorizzato un ideologo  dimenticato del lepenismo "moderato", Bruno Mégret. Oggi questo compito  potrebbe assegnarselo Marine Le Pen, guardacaso giudicata troppo  moderata dai movimentini dell’estrema destra, operando una ripulitura  della classe dirigente e una modernizzazione di idee e programmi.  Stimolando una nuova ipotesi di rupture.
(di Angelo Mellone)
 
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