Se ricordate, si pensò di dichiarare festa nazionale il 17 marzo del 2011, data della proclamazione ufficiale dell’unità d’Italia 150 anni fa. Avanzai formale proposta in questo senso proprio nel comitato dei garanti e fu approvata. La proposta fu accolta nelle sedi istituzionali competenti e si decise di istituire solo per il 2011 la festa dell’Italia. Poi la scelta si arenò per motivi misteriosi che vanno dalla crisi economica (non ci sono soldi) al timore di creare contraccolpi antiunitari e dispiaceri ai leghisti. Si parlò di declassarla a solennità civile. Poi nulla. Per ora tutto resta affidato a qualche bel concertone per il 17 marzo, a una notte bianca, rossa e verde per deliziare l’Italia nottambula e alle celebrazioni soprattutto piemontesi che il neopresidente della Regione, il leghista Cota, ha confermato per intero, con soddisfatta sorpresa dei promotori. Ma di festa popolare e nazionale, festa nelle scuole e nei luoghi pubblici, manco a parlarne.
Ora io credo che un Paese debba avere la minima dignità di ricordare la data in cui si unì. Lo deve fare anche per ricordare il passato diviso, le pagine buie, le motivazioni di coloro che si opposero al Risorgimento e all’Unità. Motivazioni che sono veramente trasversali: leggetevi Gramsci e capirete le ragioni della diffidenza dei socialisti e dei comunisti anche nel nome dei contadini. Ma leggete pure le ragioni della contrarietà dei cattolici o dei meridionali, dei difensori degli Asburgo o dei Borbone. Ragioni rispettabili, a parte le esagerazioni revansciste. Ma ciò non toglie che un Paese adulto e civile abbia il dovere di ricordarsene. Ciò non toglie che l’Italia esiste e fino a prova contraria è la nostra Nazione, sancita dalla Tradizione e dalla Costituzione, dalla lingua e dalla malalingua. Aggiungete pure altre due considerazioni. La prima: non abbiamo una sola festa che celebri l’unità d’Italia, abbiamo la festa della Liberazione imperniata sulla dolorosa guerra civile e abbiamo la festa della Repubblica, impiantata sulla spaccatura a metà tra monarchia e repubblica. Il 4 novembre non è più festa da un pezzo. Non abbiamo una festa degli italiani e dell’Italia tutta. Una festa nata per unire, usando il bel motto del felice spot della Difesa per i 150 anni.
È questo che volete? Allora dico al presidente del consiglio, ai ministri della Difesa e dei Beni culturali, della Pubblica Istruzione e della Gioventù: che aspettate a rianimare il disegno di legge per l’istituzione della festa nazionale almeno solo per quest’anno? Scuole chiuse, discorso alla nazione, festa popolare in tutta Italia. Tanto più che la festa è pronta, i Comuni e le Regioni già si sono mossi, saranno allestite mostre e ci saranno eventi. Non dite che con i problemi che ci sono non è il caso di festeggiare, perché con questa logica dovremmo stare sempre in lutto stretto a piangere miseria sull’Italia, come fanno i catastrofisti della sera. Se volete trovare una formula non lesiva di nessuno, nemmeno della Lega e degli antirisorgimentali cattolici, terroni e socialisti, ripartite da lontano, dall’Italia nazione culturale, cioè dall’Italia antica e medievale, dall’Italia della lingua e della letteratura italiana, dall’Italia primatista mondiale dei beni culturali e dall’Italia erede di una civiltà giuridica e un Impero che unì i popoli, e sede di un papato universale.
Poi rendete omaggio anche a chi si oppose o patì l’Unità d’Italia, date spazio anche a letture critiche, siate inclusivi nelle celebrazioni d’Unità. Ma fate la festa all’Italia, è un buon punto per ripartire. Un sobrio amor patrio ci vuole ancora. Un Paese che non si ama non si salva.
(di Marcello Veneziani)
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