giovedì 10 febbraio 2011

Ricordiamo le foibe, dimentichiamo l'orrore


Quando si spengono i ricordi nascono le giornate della memoria. Infatti le memorie più vive non hanno bisogno di essere prescritte per legge. Ma il giorno che ricorda le foibe, il 10 febbraio, nac­que dopo decenni di vergognosa omer­tà. Era vietato parlare delle migliaia di istriani, giuliani e dalmati infoibati o pro­fughi dalle loro terre e del Trattato che le cedeva alla Jugoslavia, per tre ragioni: perché era proibito discutere la sparti­zione del mondo decisa a Yalta; perché i comunisti italiani avevano scheletri nel­l’armadio, avendo collaborato con i par­tigiani titini in quella che le circolari del Pci chiamavano «la tattica delle foibe» e nel far strage di partigiani anticomuni­sti, come a Porzus; perché dovevamo te­ner­ci buono Tito che si era sganciato dal­l’impero sovietico. Così le foibe restaro­no un mistero doloroso. Furono il con­centrato feroce di tre guerre in una: la pulizia etnica contro gli italiani, la lotta di classe contro borghesi e possidenti, la guerra ideologica del comunismo con­tro il nazional-fascismo. Per recuperare l’omissione storica e onorare la memo­ria delle vittime, è giusto che le scuole, la tv, i testi ora ne parlino.

E tuttavia lascia­temi dire che è malefico identificare la memoria con l’orrore, come accade in queste giornate dedicate ai genocidi. Pri­mo, perché la memoria non può essere monopolizzata dall’orrore e identificata con gli stermini, ma devono trovar posto anche i ricordi storici di eventi positivi.

Secondo, perché la memoria non va esercitata solo con eventi pubblici e tra­gici ma anche con ricordi teneri e priva­ti, perché la sede dei ricordi è il cuore e non il tribunale. Terzo, perché se ricor­dare è sempre un tornare sugli orrori, se la storia va studiata solo come teatro del Male, la gente alla fine preferisce dimen­ticare per continuare a vivere e pensare al futuro. È umano. A volte, sono salutari anche le giornate dell’oblio. Non quelle che nascono da ce­cità e intolleranza, trascuratezza e igno­ranza, che sono fin troppe. No, dico le giornate del pietoso oblio, un consape­vole tacere per rispetto delle vittime e pe­na dei carnefici. Ovvero di chi perse la vita e di chi perse l’anima.

(di Marcello Veneziani)

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