lunedì 11 aprile 2011

Lasciamo l'Europa: ci costa e non ci aiuta


Lasciati soli davanti all'invasione degli immigrati. Abbandonati quando la speculazione finanziaria internazionale ha fatto sentire il morso sul debito pubblico italiano. Bacchettati però quando si tenta di difendere le aziende nazionali come altri paesi hanno fatto tranquillamente senza le reprimende di Bruxelles. E con le mani legate - talvolta perfino con la camicia di forza - quando provi a balbettare qualcosa di fisco o di sviluppo.

Ma a che serve l'Unione europea per l'Italia?

Da anni ci sentiamo ripetere che se I'Italietta non avesse aderito al trattato di Maastricht e alla moneta unica, saremmo tutti finiti gambe all'aria rischiando il fallimento del paese. Eppure dopo tanti anni i risultati ottenuti sono evidenti, e portano tutti il segno meno. L'Italia cresce di meno da quando è entrata nell'euro. La disoccupazione invece è salita progressivamente e inesorabilmente. Il divario fra Nord e Sud si è allargato: la spaccatura del paese è più evidente, con una parte che si sente attratta e alla pari con la locomotiva tedesca e l'altra parte destinata a sprofondare. Il debito pubblico è cresciuto esponenzialmente ed è diventato perfino più fragile di prima.

Siccome l'unione monetaria è stata realizzata imponendo una moneta unica a tutti e vincoli stretti ai paesi più deboli, ma non si è fatta carico dei guai comuni (le ricchezze sono state unificate, però a ciascuno è restato il suo debito), i vantaggi per l'Italia sono stati assai piccoli. Sostanzialmente solo due: meno inflazione (ma soprattutto deflazione, che non è gran vantaggio per l'economia) e denaro meno caro, anche se ormai viene concesso con il contagocce proprio grazie alle regole internazionali. Tutto il resto è peggiorato. In modo così sensibile da aprire per la prima volta la discussione-tabù: e se fosse meglio uscire dall'Europa di Maastricht seguendo la Gran Bretagna che non ci è mai entrata?

Che sia meglio ha osato dirlo nell'autunno scorso un economista di grido come il professore Paolo Savona, che ha addirittura implorato l'Italia di liberarsi «dal cappio europeo che si va stringendo al collo», sostituendo «il poco dignitoso vincolo esterno con una diretta responsabilità dei gruppi dirigenti. Si aprirebbe così la possibilità di sostituire a un sicuro declino un futuro migliore attraverso il re-impossessamento della sovranità di esercitare scelte economiche autonome, comprese quelle riguardanti le alleanze globali».

Di quelle parole Savona non è affatto pentito, e, anzi, è ancora più convinto assistendo ai fatti di queste settimane. Di fronte a Libia, Tunisia, e all'incendio del Mediterraneo l'Europa politica ha brillato per assenza. Quella militare proprio non esiste, e ognuno procede in ordine sparso. L'ondata migratoria che si prepara non sembra interessare Bruxelles: l'Europa è composta in maggioranza da paesi che credono di non venire toccati, e quindi è caso che dovranno sbrogliarsi da soli Grecia, Spagna, Francia e soprattutto Italia Quel fantoccio di polizia delle frontiere (con sede a Varsavia) che è Frontex si è limitata a inviare una navetta rumena e due piccoli aerei per affrontare quello che giustamente Silvio Berlusconi ha definito lo «tsunami umano».

I fatti di questi giorni hanno definitivamente chiarito - se mai ce ne fosse stato bisogno - che in caso di emergenza l'Italia deve cavarsela organizzativamente e finanziariamente da sola. L'Europa non le serve. Invece Bruxelles sarà più rapida di un falco quando si tratterà di fermare le norme per proteggere Parmalat, ma soprattutto gli allevatori italiani, dalla posizione dominante di Lactalis. Come sarà fulminea a fermare sul nascere qualsiasi politica industriale o fiscale passi mai perla testa dei governanti italiani.

Uscire dall'euro è forse rischioso sul breve, e un po' di terremoto per forza lo provoca. Ma potersi riappropriare delle leve del proprio governo e decidere da soli davvero non ha prezzo. E potrebbe diventare la vera occasione per l'Italia.

(di Franco Bechis)

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