Le risposte che cerca, Alessandro Campi se le dà da solo. Precisamente quando scrive che il mondo politico-culturale post missino è stato «fagocitato da Berlusconi, che l’avrà pure “sdoganato” e legittimato come forza di governo, ma al prezzo di trasmutarlo geneticamente, finanche sul piano del linguaggio e dei comportamenti». Ecco, quel che lui descrive con toni apocalittici è, in realtà, quanto di più positivo sia accaduto alla destra in questi anni.
Intanto, va notato che i dirigenti di An non sono stati ingurgitati da Berlusconi contro la loro volontà, ma hanno aderito a un progetto (e gli sono rimasti fedeli). Veniamo poi alla «mutazione genetica». Per giorni autorevoli commentatori si sono misurati con il - parziale, a mio parere - deficit di modernità dell’area. Beh, ma che cosa ha rappresentato l’alleanza con il Cavaliere se non una forma di modernizzazione? Il nucleo dirigenziale del fu Movimento sociale ha dato prova di poter governare, di sapersi misurare col Palazzo e - dove necessario - col compromesso che, quando si è minoranza, è fin troppo facile deprecare in nome della purezza.
La destra non è sparita - tanto che i suoi rappresentanti sono ben identificabili - bensì si è evoluta, ha accolto istanze più liberali e moderate provenienti dal berlusconismo e con i berlusconiani ha condiviso alcuni dei propri valori. Con Giulio Tremonti, per esempio, la trinità Dio-Patria-Famiglia che Camillo Langone su queste pagine indicava come ancora fondativa di un intero universo ideale e politico. Con la Lega ha riscontrato affinità nella difesa dell’identità e nella lotta all’immigrazione, per poi rivendicare il proprio nazionalismo e la fedeltà al Tricolore quando il localismo padano ruggiva più del solito. Il fatto che sul nostro giornale siano intervenute personalità dalle sensibilità differenti e dal retroterra vasto è un buon segno. Significa che la destra non è diventata marginale, semmai che ha allargato il proprio spettro, entrando a far parte di un grande contenitore che non solo non l’ha cancellata, ma le ha pure concesso di esprimersi in tutte le sue sfaccettature.
Ed eccoci al settarismo rimproverato da Campi a tanti esponenti politici. Caro Alessandro, ma non è settarismo il volere a tutti costi un partito che rappresenti unicamente i post missini? Se un’operazione settaria c’è stata, semmai, è quella di Gianfranco Fini di cui anche tu sei stato partecipe e responsabile. L’insofferenza al berlusconismo - che rappresentava appunto il cambiamento e, in parte, l’adattamento al presente - non è stato forse un riflesso condizionato tipico della sindrome del ghetto? Infatti è finita male: con un partitino (Fli) che avrebbe dovuto incarnare la destra del futuro ed è finito a scodinzolare dietro a Casini e a fianco di Rutelli.
Certo, problemi ce ne sono. Ma forse è il momento di rendersi conto che i cambiamenti non si decidono a tavolino o nelle tavole rotonde, bensì nella pratica quotidiana della politica. E la pratica ci ha regalato una destra (in parte) berlusconiana.
Chi ha rifiutato questo dato di fatto si è gettato fra le braccia della sinistra, si è fatto fagocitare e modificare geneticamente. Salvo poi, come ogni nostalgico che si rispetti, lamentarsi della propria inconsistenza politica.
(di Francesco Borgonovo)
Intanto, va notato che i dirigenti di An non sono stati ingurgitati da Berlusconi contro la loro volontà, ma hanno aderito a un progetto (e gli sono rimasti fedeli). Veniamo poi alla «mutazione genetica». Per giorni autorevoli commentatori si sono misurati con il - parziale, a mio parere - deficit di modernità dell’area. Beh, ma che cosa ha rappresentato l’alleanza con il Cavaliere se non una forma di modernizzazione? Il nucleo dirigenziale del fu Movimento sociale ha dato prova di poter governare, di sapersi misurare col Palazzo e - dove necessario - col compromesso che, quando si è minoranza, è fin troppo facile deprecare in nome della purezza.
La destra non è sparita - tanto che i suoi rappresentanti sono ben identificabili - bensì si è evoluta, ha accolto istanze più liberali e moderate provenienti dal berlusconismo e con i berlusconiani ha condiviso alcuni dei propri valori. Con Giulio Tremonti, per esempio, la trinità Dio-Patria-Famiglia che Camillo Langone su queste pagine indicava come ancora fondativa di un intero universo ideale e politico. Con la Lega ha riscontrato affinità nella difesa dell’identità e nella lotta all’immigrazione, per poi rivendicare il proprio nazionalismo e la fedeltà al Tricolore quando il localismo padano ruggiva più del solito. Il fatto che sul nostro giornale siano intervenute personalità dalle sensibilità differenti e dal retroterra vasto è un buon segno. Significa che la destra non è diventata marginale, semmai che ha allargato il proprio spettro, entrando a far parte di un grande contenitore che non solo non l’ha cancellata, ma le ha pure concesso di esprimersi in tutte le sue sfaccettature.
Ed eccoci al settarismo rimproverato da Campi a tanti esponenti politici. Caro Alessandro, ma non è settarismo il volere a tutti costi un partito che rappresenti unicamente i post missini? Se un’operazione settaria c’è stata, semmai, è quella di Gianfranco Fini di cui anche tu sei stato partecipe e responsabile. L’insofferenza al berlusconismo - che rappresentava appunto il cambiamento e, in parte, l’adattamento al presente - non è stato forse un riflesso condizionato tipico della sindrome del ghetto? Infatti è finita male: con un partitino (Fli) che avrebbe dovuto incarnare la destra del futuro ed è finito a scodinzolare dietro a Casini e a fianco di Rutelli.
Certo, problemi ce ne sono. Ma forse è il momento di rendersi conto che i cambiamenti non si decidono a tavolino o nelle tavole rotonde, bensì nella pratica quotidiana della politica. E la pratica ci ha regalato una destra (in parte) berlusconiana.
Chi ha rifiutato questo dato di fatto si è gettato fra le braccia della sinistra, si è fatto fagocitare e modificare geneticamente. Salvo poi, come ogni nostalgico che si rispetti, lamentarsi della propria inconsistenza politica.
(di Francesco Borgonovo)
Quella di Berlusconi non è stata una "rifondazione" ma, bensì, una "vampirizzazione" e una "devitalizzazione". In particolare, Berlusconi e il berlusconismo hanno snaturato la destra sociale italiana iniettandovi dosi massicce di liberismo. Oggi credo che tutti coloro che si definiscono di destra debbano guardare a Marine Le Pen. Un sondaggio pubblico sul Parisien la dà in testa al primo turno, secondo il candidato socialista e terzo (e, fortunatamente escluso) Sarkozy. Se Marine Le Pen diventasse presidente allora sarebbe possibile rifondare la destra anche in Italia. Per me la vera destra non è Cameron è Nick Griffin, non è la Merkel è l'NPD. Credo sia ora di rifondare la destra sulla base dell'anti - liberismo, dell'anti - globalismo, del ritorno allo Stato - Nazione, della nazionalizzazione dei beni strategici, della salvaguardia dello stato sociale, del contrasto all'immigrazione, di una limitazione dell'ingerenza della UE, di una riforma fiscale che colpisca gli speculatori e non i lavoratori dipendenti e gli operai. E, francamente, Berluscono non ga nessuna di queste cose. Anzi, fa il contrario. La cosiddetta destra berlusconiana non rappresenta né i lavoratori, né i pensionati ma il ceto medio, i finanzieri,i grandi imprenditori e professionisti. Non è una destra sociale
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