lunedì 8 agosto 2011

Ma un grande impero può gestire il tramonto


«Il declassamento dell'America da parte di Standard & Poor's dovrebbe essere benvenuto. I politici americani se lo meritano. I repubblicani e i democratici non hanno concluso un accordo finanziario. Hanno concluso un accordo politico per formare un supercomitato politico che deciderà quali tagli apportare alla spesa pubblica. E se non lo deciderà, dopo alcuni mesi scatteranno dei tagli automatici».

Al telefono dalla sua abitazione presso l' Università di Yale, Paul Kennedy fa una pausa. «Ma ci rendiamo conto delle dimensioni del debito sovrano americano, 16 mila 300 miliardi di dollari, e della battaglia politico-finanziaria che potrebbe divampare l' anno prossimo alle elezioni? C'è quasi da augurarsi che anche le altre due agenzie di rating Moody' s e Fitch declassino l'America, in modo che il supercomitato sia costretto a prendere misure di risanamento del debito vere, e non a breve, bensì a medio e lungo termine. Ce ne è bisogno urgente, come in Europa».

La crisi americana ha trovato lo storico inglese in procinto di rivedere il suo bestseller «L'ascesa e il declino delle grandi potenze». «Pubblicherò la seconda edizione a gennaio del 2013, il venticinquesimo anniversario della sua uscita - dichiara Kennedy, che darà alle stampe, nel 2012, il libro che ha quasi finito di scrivere sulla Seconda guerra mondiale -. Ma ne cambierò solo l'introduzione, aggiungendo alcune riflessioni».

Le più importanti?

«Per quanto concerne l' America, osserverò che l' attuale crisi conferma il suo declino, e ribadirò che i suoi leader dovranno gestire il declino con intelligenza, in maniera da renderlo il più graduale, modesto e tollerabile possibile». Lo studioso fa un' altra pausa. «Voglio essere cauto: qualsiasi declino di una grande potenza è relativo, sia rispetto ad altre potenze che al proprio passato. L' America continuerà a espandersi, ma meno della Cina a esempio, e meno rapidamente di prima».

Lei non sembra sorpreso dall' annuncio della Standard & Poor's.

«No. Il debito pubblico americano esplose negli Anni Ottanta perché il presidente Reagan, repubblicano, ridusse troppo le tasse e aumentò troppo le spese militari, provocando gravi deficit di bilancio. Negli Anni Novanta il presidente Clinton, democratico, ne contenne la crescita riportando il bilancio in attivo. Ma con Bush figlio e con Obama il deficit di bilancio è salito alle stelle: sotto Obama, che ha ereditato da Bush il disastro finanziario del 2008, si è triplicato. Ripeto: il debito sovrano americano è oggi a un livello inaccettabile».

Secondo lei Obama ha commesso molti errori nel dopo 2008?

«Obama ha fatto quello che i suoi consiglieri gli hanno suggerito. Per salvare la finanza e rilanciare l' economia ha stampato dollari ed emesso obbligazioni che sono stati comprati da Paesi come la Cina e il Giappone. Ma occorre anche altro, occorrono sacrifici, inclusi aumenti delle tasse, sebbene i repubblicani siano ideologicamente contrari».

Sarà possibile rimediare alla crisi?

«Sì. L'America si ridimensionerà, con che misure finanziarie non saprei dirlo, dipenderà dalla battaglia politica ed elettorale dei prossimi 18 mesi. Ma penso che si ritirerà dall' Iraq e dall'Afghanistan, che non manderà più eserciti smisurati in Medio Oriente e in Asia, riducendo il numero delle truppe. Manterrà i suoi impegni con la Nato e il Giappone, ma non aprirà nuovi fronti come la Libia. Non ha alternative».

Nel 2000 si parlava ancora di un altro secolo americano dopo il XX. Era una utopia?

«Guardi i titoli dei libri che escono adesso: La fine della specificità americana, Dopo l' egemonia americana, Il cambio della guardia Usa-Cina, ecc. Pochi credono in un secondo secolo americano. Il Pentagono, anzi, è ossessionato dal timore che il XXI sia un secolo cinese, dietro le quinte non si parla d' altro. Il fatto è che la durata degli imperi, anche benevoli come si dice dell' America, si riduce sempre di più. Cinquecento anni fa l'Olanda e l'Inghilterra eclissarono la Spagna, poi tramontarono, la prima più velocemente della seconda. Tra parentesi, entrambe seppero evitare sia un collasso improvviso sia un declino graduale ma catastrofico».

Un impero tuttavia non tramonta solo per questioni economiche e finanziarie.

«Charles Kupchan, l'autore de La fine dell' era americana , un libro del 2003, afferma che il declino dell' Occidente è anche culturale. Sono d' accordo con lui. Non molti anni fa si pensava che il mondo intero avrebbe accettato i valori occidentali. Non è stato così. Ci sono popoli che sembrano preferire regimi autoritari, o che interpretano la democrazia in modo molto diverso dal nostro. Noi stessi non siamo sempre rispettosi dei nostri valori, solo pochi Paesi si attengono completamente, per esempio, alla Dichiarazione dei diritti dell' uomo. I nostri valori vengono sfidati soprattutto dall' Islam, che li rigetta e propone i suoi».

E questo che cosa comporta?

«Che dobbiamo ripensare all' insegnamento di Vico, di Rousseau, di Stuart Mill, di Keynes, i maestri della nostra società e della nostra economia. Le crisi del 2008 e del 2011 sono sì globali ma le abbiamo prodotte noi, e tocca a noi risolverle. Se non lo faremo affretteranno il nostro declino, perché alimenteranno le tensioni sociali. Non a caso la Cina, che controlla la massima parte del debito americano, ha accusato l' America di vivere al di sopra delle proprie possibilità».

Le chiedono mai di fare previsioni sui tempi del declino dell' America o dell'Occidente?

«Me lo chiedono spesso. La tv musulmana Al Jazeera , per esempio, vorrebbe sapere quando più o meno crollerà l' impero americano. Ma il declino delle grandi potenze può durare secoli, se gestito bene: quella degli Asburgo incominciò a declinare trecento anni prima della scomparsa. E in Occidente, l' America e l' Europa potrebbero seguire percorsi diversi. A mio giudizio, l' Europa non è ancora riuscita a esprimere tutto il suo potenziale, ingente in termini di risorse umane e naturali, e di civiltà. Purtroppo i suoi attuali leader politici non hanno lo stessa spinta all' unità dei padri fondatori».

Che cosa pensa dell' Italia?

«Sono innamorato dell' Italia, e spero proprio che supererà le difficoltà che ha incontrato, lo ha fatto anche in periodi precedenti. È innegabile che sia in declino rispetto a potenze come la Germania. Ma rispetto ad altri Paesi dell' area dell' euro è ancora prospera, e svolge un ruolo importante nel Mediterraneo e in Europa».

Nell' «Ascesa e il declino delle grandi potenze» non ci sono errori che desidera correggere?

«Devo ammettere che mentre previdi l' ascesa dell' Asia orientale e della Cina in particolare, non previdi l' inspiegabile eclissi del Giappone negli Anni Novanta. Quando scrissi il libro, sembrava che il Giappone invadesse il mondo».

Che decennio ci attende?

«Un decennio, mi auguro, meno traumatico di quello che abbiamo attraversato. Gli equilibri tra le grandi potenze e tra i blocchi regionali continueranno a cambiare, temo non a nostro favore, ma non c' è motivo per cui l'America e l'Europa si abbandonino al panico. Il nostro quadro diventerà più chiaro dopo le elezioni presidenziali americane del 2012».

(di Caretto Ennio)

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