Se c’è qualcuno che vuole indurre al suicidio il deputato Alessandra Mussolini a furia di ridurle stipendio e vitalizio, alzi pure la mano. Nel senso che siamo pronti a parlarne. Ovviamente sto scherzando. Lunga vita al deputato Mussolini, e anche se il nonno non prendeva una lira per fare il capo del governo. Sapeva fare e bene un’altra cosa, il direttore di un giornale di sua proprietà. Lunga vita ai deputati italiani che sanno fare il loro mestiere, e beninteso nel segno di una “sobrietà” e di un dover stringere la cinghia che è obbligatorio per tutti e ci mancherebbe che non valesse anche per loro.
Il fatto è che deputati e senatori italiani sembrerebbero voler insorgere in armi contro l’annuncio del premier Mario Monti che a gennaio la loro indennità di parlamentari verrà amputata, e anche se ancora non sappiamo bene di quanto. La linea del governo è quella secondo cui deputati e senatori italiani debbano mettersi in tasca non un euro in più - stiamo parlando di cifre nette - di quanto incassa nella media un parlamentare europeo. Non un euro in più e non un euro in meno. Mi sembra limpido e per niente punitivo, semmai era indecente quanto era in vigore prima e in fatto di indennità mensili e in fatto di vitalizi concessi anche per una sola stagione da parlamentari, e goduti fin da un’età ancora adolescenziale. Di avere goduto di questi privilegi e, nel caso dei senatori di Palazzo Madama, di avere usufruito di una mensa dove ti accaparravi un pranzetto squisito al prezzo con cui un italiano comune ci paga un panino e una bottiglia di acqua minerale, di questo la nostra classe politica dovrebbe chiedere scusa alla comunità.
Purtroppo i nostri parlamentari fanno finta di non capire, se è vero che stanno ripetendo come un sol uomo che il Parlamento è sovrano quanto al decidere gli euro che spettano a ciascuno di loro. Sono arrivati anzi all’impudenza di chiedere che le loro indennità vengano equiparate a quelle degli europarlamentari (di per sé una delle istituzioni più inutili d’Europa, a giudicare dai tipini che noi abbiamo mandato a svernare a Bruxelles e dalle pochissime volte che molti di loro frequentavano l’aula). Il che vorrebbe dire un aumento netto del costo di ciascuno di loro per il bilancio pubblico. Un aumento netto del loro costo in un Paese in cui ciascun cittadino paga già “i costi” della politica due o tre volte quel che pagano altri Paesi europei anche più ricchi del nostro. E tanto più che non sono solo le retribuzioni dei parlamentari sotto il mirino della nostra attenzione e del nostro sdegno, e bensì quelle di tutti i dipendenti delle nostre sedi istituzionali, Quirinale, Camera, Senato, Corte Costituzionale, Palazzo Chigi, tutta gente che per adesso l’arte dello stringere la cinghia che tutti noi pratichiamo a larghe dosi giornaliere non sa nemmeno che cosa sia. Voglio rassicurare il deputato Mussolini. Noi tutti nei nostri mestieri abbiamo subito amputazioni di reddito considerevoli, eppure non ci siamo suicidati. Quando mi propongono un lavoro per iscritto o per orale alla metà del cachet di dieci anni fa, talvolta dico di sì e talvolta dico di no. Quanto a suicidarmi, non lo faccio mai.
Non scherzate con il fuoco, cari parlamentari. Voi non siete certo il problema per eccellenza del nostro bilancio in rosso, ma siete una parte simbolicamente importante di quel problema, voi che ho nominato e ancora altri che gravano sui conti pubblici: quelli dell’Assemblea Regionale Siciliana, e per tanto fare un esempio stratosfericamente indecente (lo dico da siciliano). Nella mia memoria, e purtroppo ho i capelli bianchi, non c’è mai stato nella nostra storia repubblicana di oltre mezzo secolo un momento in cui fosse così bassa e sprezzante la valutazione del vostro lavoro da parte di noi tutti. A cominciare dal fatto, quello sì indiscutibile, che la nostra democrazia potrebbe continuare a funzionare tanto male quanto funziona anche se a Montecitorio e a Palazzo Madama di peones ce ne fossero la metà di quelli che ci sono oggi. E a non dire che se voi non siete più soddisfatti di quanto viene pagato il vostro lavoro, non avete che da cercarvene un altro. Aprire un negozio, interpretare un film di serie B, qualsiasi cosa. Lo so che è dura, durissima. Lo è in tutti i campi e per tutti.
(di Giampiero Mughini)
Il fatto è che deputati e senatori italiani sembrerebbero voler insorgere in armi contro l’annuncio del premier Mario Monti che a gennaio la loro indennità di parlamentari verrà amputata, e anche se ancora non sappiamo bene di quanto. La linea del governo è quella secondo cui deputati e senatori italiani debbano mettersi in tasca non un euro in più - stiamo parlando di cifre nette - di quanto incassa nella media un parlamentare europeo. Non un euro in più e non un euro in meno. Mi sembra limpido e per niente punitivo, semmai era indecente quanto era in vigore prima e in fatto di indennità mensili e in fatto di vitalizi concessi anche per una sola stagione da parlamentari, e goduti fin da un’età ancora adolescenziale. Di avere goduto di questi privilegi e, nel caso dei senatori di Palazzo Madama, di avere usufruito di una mensa dove ti accaparravi un pranzetto squisito al prezzo con cui un italiano comune ci paga un panino e una bottiglia di acqua minerale, di questo la nostra classe politica dovrebbe chiedere scusa alla comunità.
Purtroppo i nostri parlamentari fanno finta di non capire, se è vero che stanno ripetendo come un sol uomo che il Parlamento è sovrano quanto al decidere gli euro che spettano a ciascuno di loro. Sono arrivati anzi all’impudenza di chiedere che le loro indennità vengano equiparate a quelle degli europarlamentari (di per sé una delle istituzioni più inutili d’Europa, a giudicare dai tipini che noi abbiamo mandato a svernare a Bruxelles e dalle pochissime volte che molti di loro frequentavano l’aula). Il che vorrebbe dire un aumento netto del costo di ciascuno di loro per il bilancio pubblico. Un aumento netto del loro costo in un Paese in cui ciascun cittadino paga già “i costi” della politica due o tre volte quel che pagano altri Paesi europei anche più ricchi del nostro. E tanto più che non sono solo le retribuzioni dei parlamentari sotto il mirino della nostra attenzione e del nostro sdegno, e bensì quelle di tutti i dipendenti delle nostre sedi istituzionali, Quirinale, Camera, Senato, Corte Costituzionale, Palazzo Chigi, tutta gente che per adesso l’arte dello stringere la cinghia che tutti noi pratichiamo a larghe dosi giornaliere non sa nemmeno che cosa sia. Voglio rassicurare il deputato Mussolini. Noi tutti nei nostri mestieri abbiamo subito amputazioni di reddito considerevoli, eppure non ci siamo suicidati. Quando mi propongono un lavoro per iscritto o per orale alla metà del cachet di dieci anni fa, talvolta dico di sì e talvolta dico di no. Quanto a suicidarmi, non lo faccio mai.
Non scherzate con il fuoco, cari parlamentari. Voi non siete certo il problema per eccellenza del nostro bilancio in rosso, ma siete una parte simbolicamente importante di quel problema, voi che ho nominato e ancora altri che gravano sui conti pubblici: quelli dell’Assemblea Regionale Siciliana, e per tanto fare un esempio stratosfericamente indecente (lo dico da siciliano). Nella mia memoria, e purtroppo ho i capelli bianchi, non c’è mai stato nella nostra storia repubblicana di oltre mezzo secolo un momento in cui fosse così bassa e sprezzante la valutazione del vostro lavoro da parte di noi tutti. A cominciare dal fatto, quello sì indiscutibile, che la nostra democrazia potrebbe continuare a funzionare tanto male quanto funziona anche se a Montecitorio e a Palazzo Madama di peones ce ne fossero la metà di quelli che ci sono oggi. E a non dire che se voi non siete più soddisfatti di quanto viene pagato il vostro lavoro, non avete che da cercarvene un altro. Aprire un negozio, interpretare un film di serie B, qualsiasi cosa. Lo so che è dura, durissima. Lo è in tutti i campi e per tutti.
(di Giampiero Mughini)
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