Sanguigno e tuonante, incline al fascismo duro e puro e al pianto tenero e sentimentale, la parabola politica ed esistenziale di Tremaglia è segnata da tre paradossi. Fu Irriducibile fascista, militante fedele del fascismo di Salò, del vecchio Msi e poi di An, ma alla fine seguì il becchino di tutti e tre, Fini, aderendo a Futuro e Libertà; lui che era tutto Nostalgia e Autorità. Secondo paradosso: spese una vita per gli italiani all’estero, si prodigò per loro, fondò i comitati tricolore e volle la legge che consentiva il voto ai nostri emigrati; pensava a un trionfo ma la sua lista ottenne un solo seggio su 18 e grazie alla sua legge il governo Prodi ebbe la maggioranza assoluta in Senato. Terzo paradosso: era un fascista d’azione, diffidente verso le elucubrazioni degli intellettuali e il culturame, ma il destino gli giocò uno scherzo feroce e benedetto: suo figlio Marzio tradì il cliché del fascista attivista, fu un raffinato intellettuale prestato alla politica, gran promotore di idee e assessore lombardo alla cultura. Anzi «il miglior assessore alla cultura d’Italia » disse una volta Walter Veltroni, e non lo disse in un elogio funebre, ma quando Marzio era ancora assessore in carica (lo disse anche a me, ricordo, eravamo a Parigi e lui era ministro dei Beni culturali). In fondo, la più grande eredità di Mirko è morta prima di lui: è Marzio, suo figlio, politico colto e illuminato.
I saluti romani sono fuori luogo, fuori tempo e fuori legge ma consentite almeno l’estremo saluto romano per i fascisti morenti, unito al congedo che lui avrebbe voluto: camerata Mirko Tremaglia presente.
(di Marcello Veneziani)
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