La Biblioteca Scientifica della fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice ha pubblicato "La destra prima della fiamma" interessante saggio di Guido Jetti, dedicato alla storia del Partito fusionista italiano, la prima organizzazione politica di destra costituita in Italia dopo la crisi del fascismo.
La storia del Pfi ebbe inizio nel 1944 nella Bari occupata dagli angloamericani, città in cui Pietro Marengo, un ex combattente dotato di straordinaria attitudine al giornalismo, fondò e diffuse un foglio semi clandestino e cautamente postfascista, Il Manifesto.
Nelle dichiarate intenzioni di Marengo, Il Manifesto, uscito dalla clandestinità nell'aprile del 1945, doveva diventare "il giornale degli italiani che non hanno perduto la fiducia, che credono in una nuova Italia, non in una povera Italia".
Di qui la rivendicazione del nazionalismo professato dal partito di Corradini, Federzoni e Paolucci, "assorbito di malavoglia nei ranghi fascisti, dopo la marcia su Roma".
Marengo non risparmiava critiche al regime fascista e tuttavia chiedeva al governo di "perdonare con una larga, generosa, indimenticabile amnistia i fascisti. Perdonate tutti coloro che agirono in buona fede, tutti coloro che le esigenze della vita costrinsero a percorrere una strada che, senza Mussolini e la guerra, non avrebbero mai percorso".
In una fase storica segnata dagli eccessi dell'antifascismo, l'impresa giornalistica di Marengo riscosse uno straordinario successo nella società dei benpensanti. Il numero dei lettori fu talmente alto da suggerire la fondazione di un partito, il Partito fusionista italiano, che si costituì ufficialmente a Bari nell'aprile del 1946.
Nella vasta e fluida area occupata dai potenziali elettori di destra si muovevano intanto alcune personalità dotate di attitudini alla propaganda, di senso storico (Carlo Delcroix aveva insegnato loro che la politica non si fa contro la storia) e di esperienza organizzativa, quali Guglielmo Giannini, Pino Romualdi (nella foto n.d.r.), Franco De Agazio, Giovanni Tonelli, Emilio Patrissi, Alberto Giovannini.
Le elezioni comunali dell'ottobre 1946 dimostrarono che l'elettorato di destra possedeva i numeri necessari a condizionare e da correggere la Dc, un partito disturbato dalle suggestioni del progressismo.
Purtroppo le rivalità impedirono la costituzione di un'alleanza tra i movimenti della destra, avviando quella devastante macchina delle rivalità che spianò la strada all'affermazione dei partiti nostalgici, espressione di una destra destinato all'emarginazione. Una soluzione favorevole al desiderio democristiano di non avere efficaci concorrenti a destra. Desiderio appagato dal voto del 18 aprile del 1948 che segnò la frantumazione-contrazione della destra i tre liste, Blocco nazionale, Partito nazionale monarchico e Movimento sociale, che ottennero complessivamente 39 seggi contro i 305 della democrazia cristiana.
Il testo di Jetti costituisce un prezioso contributo all'accertamento degli errori all'origine del naufragio della destra politicante e dello scialo insensato dell'ingente eredità del Novecento italiano. L'insuccesso del partito di Pietro Marengo segna l'inizio dell'implosione e della conseguente metamorfosi liberale della destra italiano. Non tutto il male vien per nuocere, tuttavia: la parabola della falsa destra, ultimamente affondata nelle sabbie mobili della finanza iniziatica, suggerisce una riflessione sull'ideale fusionista - il ritorno del patriottismo alla radice cattolica - che fu anticipato da un collaboratore del Manifesto, Mario Giordano, il quale proclamava: "Isseremo la bandiera della Patria e accanto alzeremo la Croce, perché sulla nostra bandiera vi sia la luce di Dio nostro Signore".
(di Piero Vassallo)
La storia del Pfi ebbe inizio nel 1944 nella Bari occupata dagli angloamericani, città in cui Pietro Marengo, un ex combattente dotato di straordinaria attitudine al giornalismo, fondò e diffuse un foglio semi clandestino e cautamente postfascista, Il Manifesto.
Nelle dichiarate intenzioni di Marengo, Il Manifesto, uscito dalla clandestinità nell'aprile del 1945, doveva diventare "il giornale degli italiani che non hanno perduto la fiducia, che credono in una nuova Italia, non in una povera Italia".
Di qui la rivendicazione del nazionalismo professato dal partito di Corradini, Federzoni e Paolucci, "assorbito di malavoglia nei ranghi fascisti, dopo la marcia su Roma".
Marengo non risparmiava critiche al regime fascista e tuttavia chiedeva al governo di "perdonare con una larga, generosa, indimenticabile amnistia i fascisti. Perdonate tutti coloro che agirono in buona fede, tutti coloro che le esigenze della vita costrinsero a percorrere una strada che, senza Mussolini e la guerra, non avrebbero mai percorso".
In una fase storica segnata dagli eccessi dell'antifascismo, l'impresa giornalistica di Marengo riscosse uno straordinario successo nella società dei benpensanti. Il numero dei lettori fu talmente alto da suggerire la fondazione di un partito, il Partito fusionista italiano, che si costituì ufficialmente a Bari nell'aprile del 1946.
Nella vasta e fluida area occupata dai potenziali elettori di destra si muovevano intanto alcune personalità dotate di attitudini alla propaganda, di senso storico (Carlo Delcroix aveva insegnato loro che la politica non si fa contro la storia) e di esperienza organizzativa, quali Guglielmo Giannini, Pino Romualdi (nella foto n.d.r.), Franco De Agazio, Giovanni Tonelli, Emilio Patrissi, Alberto Giovannini.
Le elezioni comunali dell'ottobre 1946 dimostrarono che l'elettorato di destra possedeva i numeri necessari a condizionare e da correggere la Dc, un partito disturbato dalle suggestioni del progressismo.
Purtroppo le rivalità impedirono la costituzione di un'alleanza tra i movimenti della destra, avviando quella devastante macchina delle rivalità che spianò la strada all'affermazione dei partiti nostalgici, espressione di una destra destinato all'emarginazione. Una soluzione favorevole al desiderio democristiano di non avere efficaci concorrenti a destra. Desiderio appagato dal voto del 18 aprile del 1948 che segnò la frantumazione-contrazione della destra i tre liste, Blocco nazionale, Partito nazionale monarchico e Movimento sociale, che ottennero complessivamente 39 seggi contro i 305 della democrazia cristiana.
Il testo di Jetti costituisce un prezioso contributo all'accertamento degli errori all'origine del naufragio della destra politicante e dello scialo insensato dell'ingente eredità del Novecento italiano. L'insuccesso del partito di Pietro Marengo segna l'inizio dell'implosione e della conseguente metamorfosi liberale della destra italiano. Non tutto il male vien per nuocere, tuttavia: la parabola della falsa destra, ultimamente affondata nelle sabbie mobili della finanza iniziatica, suggerisce una riflessione sull'ideale fusionista - il ritorno del patriottismo alla radice cattolica - che fu anticipato da un collaboratore del Manifesto, Mario Giordano, il quale proclamava: "Isseremo la bandiera della Patria e accanto alzeremo la Croce, perché sulla nostra bandiera vi sia la luce di Dio nostro Signore".
(di Piero Vassallo)
Nessun commento:
Posta un commento