Tra le molte cose che non tornano nella vicenda della distrazione dei fondi della Lega a favore di alcuni beneficiari vicinissimi a Bossi oltre che, a quanto sembra, a Bossi stesso, una in particolare dovrebbe accendere la curiosità degli osservatori, dei commentatori e soprattutto dei militanti del Carroccio. E' l'incredibile atteggiamento delle vergini dure e pure che fino alla scoperta del malaffare che sta travolgendo il movimento (non si illudano i nuovi depositari del verbo: niente sarà più come prima, a cominciare dal patrimonio elettorale) che si dichiarano ignare di tutto quanto sta venendo fuori e si sentono addirittura vittime di un tipo come Belsito che hanno cooptato nel governo come sottosegretario, si sono seduti accanto lui nelle riunioni di partito, si sono fatti rappresentare in qualche importante consiglio di amministrazione ed hanno avallato con il loro silenzio tutte le operazioni finanziarie che l'amministratore - indicato a Bossi per quella carica dal morente Balocchi - ha ritenuto di mettere in campo, dai singolari investimenti a Cipro, in Norvegia, in Tanzania (respinti dalle banche di questo accorto Paese africano) alle generose elargizioni al sindacato padano ed alla famiglia del Capo.
Roba da non credere. Ma dove stavano Maroni e compagnia cantante quando il malaffare s'insinuava nel movimento? Possibile che proprio il ministro dell'Interno leghista non si accorgesse di nulla, non avesse "sponde" nel consiglio federale e nelle segrete stanze dell'amministrazione che lo informassero e non potesse incaricare uno straccio di informatore che gli rendesse conto dei maneggi di denaro impropri senza destare nessuna meraviglia? Come faceva Renzo Bossi a condurre una vita ben al di sopra delle sue possibilità prima di essere eletto consigliere regionale della Lombardia senza destare sospetti nei militanti? Ed il vasto clan bossiano in che modo si rapportava con Belsito nell'incuranza dei colonnelli leghisti, Maroni compreso?
Interrogativi per il momento senza risposta. A meno di non voler prendere per buona la tesi accreditata dal malandato leader: un complotto ai suoi danni. Ma se così fosse, Bossi dovrebbe quantomeno indicare chi lo avrebbe ordito. Non basta tirare in ballo genericamente servizi segreti, mafia, poteri forti e perfino centri di interessi che lambirebbero il governo. Una cortina fumogena per nascondere il pensiero di tanti, non soltanto di coloro più prossimi al "cerchio magico" secondo i quali le radici e le ragioni del complotto sarebbero da ricercare nella Lega stessa. Nomi non se ne fanno, al massimo si ammicca, si sussurra qualcosa. E se proprio si vuole dire di più basta tirar fuori riferimenti alle antiche divisioni che, guarda caso, hanno visto da tempo, almeno da quindici anni in qua, proprio Maroni al centro delle dispute tanto che ci fu chi ne propose l'espulsione, come ha ricordato lo stesso Bossi a Bergamo martedì sera durante una sgangherata manifestazione che, tra le gli altri aspetti, ha rivelato una dose di ipocrisia nella classe dirigente leghista insospettabile.
Il Carroccio non verrà travolto dallo scandalo, né dalla ostinazione di Rosi Mauro (un capro espiatorio a fronte di tante altre responsabilità oggettive) e neppure dalla confusione che regna ai vertici del partiti. Si affosserà per mancanza di una proposta politica in grado di unificare il variegato mondo dei militanti e degli elettori e per la mancanza di coraggio morale della sua classe dirigente nel condividere una brutta pagina della storia leghista ammettendo errori, colpe, omissioni. Insomma, non basta additare qualcuno come reo per salvare altri con cui per una lunga stagione ci si è spartito il sonno. C'è odore di stalinismo in pratiche del genere. L'onore di un partito lo si difende tutti insieme accollandosi ognuno la sua porzione di ingenuità o di malafede e facendo ammenda davanti al popolo che prima agitava cappi ed oggi la ramazza.
Quel popolo deve essere consapevole che se i capi del movimento non sapevano o non erano in grado di controllare, non sono adeguati ad inaugurare il tempo nuovo della Lega. Le frescacce secessioniste, le invocazioni alla Padania libera ed indipendente riproposte da Maroni che fino a ieri è stato ministro della Repubblica, l'orgia di indignazione sono prossime ai riti delle ampolle riempite con l'acqua del Po, alle regate rigeneratrici, al culto del Sole delle Alpi. Paccottiglia, insomma. La politica è un'altra cosa. La morale un'altra ancora.
(di Gennaro Malgieri)
Nessun commento:
Posta un commento