Cos’ha lasciato Elémire Zolla, uscito dal mondo il 29 maggio di dieci
anni fa? Ha lasciato un paio di occhiali magici per andare oltre la
realtà, la vita, la storia. Occhiali magici per congedarsi dal Novecento
e dall’occidente, per distaccarsi dal mondo e per cercare nella
Tradizione tracce di sacro e presagi di futuro.
È curioso pensare che l’autore di Volgarità e dolore (Bompiani), che
nel 1962 accusava l’industria, la tecnica e l’industria culturale in
particolare, di sfregiare il mondo, violare la sua bellezza, corrompere
gli animi, trent’anni dopo in Uscite dal mondo (Adelphi e ora Marsilio),
si sia innamorato della realtà virtuale, «vertice e rovesciamento
salutare della rivoluzione industriale».
Trent’anni prima il cinema era da lui disprezzato come Grande
Corruttore e arte minore, e così la televisione; trent’anni dopo, i
pixel, i pc, gli occhiali magici, generavano per Zolla una grande
palingenesi da schermo: la realtà virtuale ci solleva dalla realtà
volgare. La liberazione indù tramite la liberazione in 3D. Cortocircuito
tra occidente e oriente, tra tecnica e magia, tra elettronica e
metafisica.
Questo fu Zolla che sempre fece dell’estraneità al suo tempo, il
Novecento, e al suo luogo, l’Italia, la cifra del proprio pensiero.
Nella sua opera, Zolla inseguì i mistici d’occidente e i sapienti
d’oriente, ritrasse aure e archetipi, si soffermò sullo stupore
infantile e presentò gli hobbit di Tolkien, navigò nell’alchimia,
frequentò gli sciamani e le ebbrezze dionisiache, narrò di amanti
invisibili e androgini, si spinse a definire cos’è la Filosofia perenne e
la Tradizione: civiltà del commento, rispetto alla modernità, che è
civiltà della critica. Ma a volte poco civiltà, per Zolla, e poi la
critica migliore per lui si fa all’ombra della tradizione; ci vuole un
punto fermo e trascendente per giudicare.
Nonostante la sua dura critica della modernità - che però aveva punti di contatto con la scuola di Francoforte - Zolla non fu un maestro di tradizione spregiato dalla cultura e dai media, anzi scrisse per i maggiori quotidiani, pubblicò con le maggiori case editrici, ebbe cattedra universitaria alla Sapienza romana e dialogò col suo tempo e i potenti della cultura.
Non fu un Evola, e nemmeno un Guénon, e non ne subì la sorte. Duettò
con Moravia come con Del Noce, pubblicò con Einaudi e Adelphi come con
la Rusconi di Cattabiani. Andò perfino in tv. Una volta mi trovai con
lui, ospiti di Barbiellini Amidei, a discorrere in tv del sacro nel
nostro presente. Temo di averlo visto anche sul palco del Maurizio
Costanzo Show. Eppure il suo itinerario resta eccezionale, nelle sue
opere, nelle sue conoscenze, nei suoi amori con tre donne non comuni:
prima la poetessa Maria Luisa Spaziani, poi la straordinaria Vittoria
Guerrini, in arte Cristina Campo, venuta da un altro mondo e vissuta con
lui per tanti anni fino alla sua morte precoce, in uno «strano
rapporto», come lui stesso disse a Doriano Fasoli (Un destino
itinerante, Marsilio); infine, l’orientalista Grazia Marchianò, a cui si
deve una bella biografia di Zolla, Il conoscitore di segreti
(Marsilio). Che fa il paio con il recente Elémire Zolla. La luce delle
idee di Hervé Cavallera (Le Lettere).
Curioso pensare che sulla sua rivista, Conoscenza religiosa, Zolla,
pensatore gnostico e aristocratico, abbia pubblicato, ammirato, uno
scritto del santo più popolare, ruvido e miracoloso del ’900, Padre Pio:
Breve trattato della notte oscura, che Zolla definì «un capolavoro,
nello stile dei mistici del Seicento».
Benché accostato a Julius Evola nel nome della Tradizione e degli studi orientali, di René Guénon e di Mircea Eliade, Zolla ebbe antipatia e disagio nei suoi confronti e preferì tenersi lontano da lui e non essere assimilato alla sua demonizzazione. Pur vivendo entrambi per molti anni a Roma, neanche lontani, non ebbero contatti. Evola lo liquidò con giudizi sprezzanti (il suo libro Che cos’è la Tradizione lo definì «pretenzioso»). Zolla preferì non parlarne mai in Italia, salvo giudizi sprezzanti di passaggio (per esempio quando scrisse del massone esoterico Arturo Reghini, sodale di Evola per molti anni). Ma vent’anni fa ci capitò di scoprire e di render noto in Italia che Zolla aveva scritto pagine non del tutto critiche su Evola nella rivista americana Gnosis della Lumen Foundation. Pagine non tradotte in Italia, a differenza di analoghi profili, come quello su Reghini. Del resto, lo stesso Zolla, nel libro intervista a Fasolo, cita André Malraux che dopo aver detto di considerare Guénon la vera novità del suo tempo, aggiunse «però non bisogna parlarne»...
Se dovessimo definire il pensiero di Zolla dovremmo parlare di Gnosi e
di Sincretismo, sia sul versante filosofico che religioso. Zolla non
coltiva l’autorevolezza impersonale di Guénon, si avverte nelle sue
pagine la sua presenza e la sua opinione, il suo stile letterario, i
suoi gusti narrativi, la sua soggettività. Del resto, il sincretismo
presuppone un soggetto che sceglie e combina tradizioni differenti,
miscela fedi e culture diverse; assembla, rimescola, opera, come un
alchimista. A volte la sua fu alchemicamente «un’opera al nero»: Zolla
ha viaggiato anche all’inferno, dal suo romanzo d’esordio, ora
ristampato, Minuetto all’inferno, alle pagine dedicate ai demoni e al
satanismo, alla magia nera e ad alcuni aspetti «sinistri» delle
tradizioni d’oriente e d’occidente. Zolla ha rappresentato nei piani
alti e sacri del sapere un bisogno diffuso anche nei piani bassi e
profani, nelle pieghe delle inquietudini contemporanee e nei risvolti
del nichilismo di massa: fuoruscita dalla storia e dal proprio tempo,
ebbrezze dionisiache ed esotiche, oracoli e oroscopi, tisane e percorsi
emozionali, segni zodiacali e altre forme di esoterismo di massa, un
ossimoro e una contraddizione in termini. Del resto i seguaci del
Siddharta di Hesse, di Castaneda e Hillman, degli intellettuali-sciamani
a metà strada tra Jung e i «lanzichenecchi del nulla», hanno uno spazio
non di nicchia nell’ipermercato del nostro tempo.
(di Marcello Veneziani)
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