Dopo lo sconquasso provocato dalle sue affermazioni, riferite dal quotidiano tedesco Bild,
e riportate anche da Bruno Vespa nella sua citatissima intervista, sul
possibile ritorno all'antico, cioè a Forza Italia - una sorta di
evoluzione della specie all'indietro - il Cavaliere ha precisato
sostanzialmente confermando. «L'idea del cambio di nome dal Popolo delle
Libertà a Forza Italia - ha detto - è stata equivocata trattandosi,
com'è logico ed evidente, non già di una decisione assunta, ma solo di
un'idea, di una proposta, da discutere e da verificare nelle sedi
proprie». Una smentita, appunto, che non smentisce nulla. Al contrario,
conferma l'esistenza di un progetto allo studio per cambiare i connotati
al partito nato dalla fusione (sia pure «a freddo») tra gli «azzurri» e
Alleanza nazionale. Progetto, peraltro, sostenuto da numerosi
«colonnelli» berlusconiani, il più attivo dei quali sembra essere
l'ex-ministro Giancarlo Galan che si è espresso in maniera
inequivocabile sulla messa fuori gioco delle componenti di destra del
partito auspicando una riconversione allo «spirito del '94», quando la
sola Forza Italia valeva appena il 21%. Sia Galan che altri comprimari
del neo-berlusconismo muscolare non sono stati smentiti dal leader, come
era lecito attendersi, ma assecondati con i silenzi dello stesso e con i
privati conversari nella solita cerchia di intimi tra palazzo Grazioli e
Villa Gernetto in Brianza.
Berlusconi, insomma, prova a fare un'altra
cosa rispetto alla creatura partorita sul predellino di un'automobile in
una fredda domenica milanese nel novembre 2007 e lancia (o fa lanciare)
segnali per vedere l'effetto che fanno. Non è un metodo ortodosso
perché destinato a scontrarsi con sensibilità varie e a dare adito a
molte incomprensioni. I partiti, ancorché malmessi, devono pur attenersi
a delle regole: la crisi del Pdl è dovuta essenzialmente all'anarchia
istituzionalizzata che ha legittimato qualsiasi iniziativa al di fuori
dei luoghi istituzionali. Ecco perché non si è dotato di una identità e
non ha costruito una chiara linea politico-culturale.
È finito così che
il fragile legame tra le componenti si è logorato e la sola risorsa dei
berlusconiani «duri e puri» è quella di rilanciare il movimento delle
origini, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla di significativo
in Italia e nel mondo. Del resto che le tentazioni «liberal» (piuttosto
all'amatriciana, bisogna aggiungere) di alcuni ambienti
post-forzaitalioti siano forti, è noto da tempo. Ma è altrettanto noto
che se Berlusconi dovesse assecondarle al fine di emarginare quelle
componenti che provengono dal Msi e da An è inevitabile che del Pdl, o
come lo si vorrà chiamare, resterà ben poco. Non è infatti credibile che
la sola idea di sradicare dal movimento la destra nazionale e sociale,
elemento costitutivo della «fusione», possa restare senza una risposta
da parte di coloro che, oltretutto, credendo nel progetto sono rimasti
fedeli al Pdl quando la scissione finiana si è concretizzata. E
certamente non è stato facile per nessuno di coloro i quali provenivano
da una ben definita tradizione politica accettare lealmente le
innumerevoli sbracature che si sono registrate nel partito e nel governo
dal 2008 in qua, soccorrendo, oltretutto, molto spesso lo stesso
Berlusconi insidiato dai suoi forzisti molti dei quali più volte sono
stati sul punto di abbandonarlo al suo destino. A questo punto sarebbe
fin troppo banale ridurre tutto a un malinteso.
La destra nel Pdl ha
buon gioco nel chiedere al Cavaliere non tanto di non far volare i
falchi che mettono a repentaglio la sua stessa labile candidatura, ma di
ricomporre una frattura che va ben al di là delle parole dal sen
fuggite e implica la permanenza stessa nel partito di quelle
soggettività che finora hanno taciuto per senso di responsabilità, le
quali, elettoralmente, valgono ben più di quanto i consiglieri di
Berlusconi immaginano. Insomma, la possibilità di una scissione - non
certo per fare un'associazione di «combattenti e reduci» - è molto più
concreta di quanto si possa credere. Con tutte le conseguenza che è
facile prevedere.
(di Gennaro Malgieri)
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