Caro direttore,
la strage di Bologna è avvenuta 32 anni fa, le indagini si sono 
concluse 25 anni fa e la nostra condanna è datata 20 anni. Fu una 
condanna atipica, dove la procura prima, e le corti poi, sostennero che 
le prove vere erano state nascoste dai servizi segreti e quindi 
bisognava per forza affidarsi agli indizi. 
L'indizio principale era che le stragi in Italia le fanno per forza i 
fascisti, nel periodo in questione io e mia moglie eravamo i terroristi 
fascisti più noti, quindi... «non potevamo non sapere». La sentenza 
ammetteva che il quadro probatorio non era completo, e sostanzialmente 
rinviava a una «inchiesta bis» per individuare i tasselli mancanti. Il 
fatto è che i tasselli mancanti erano molti. La sentenza per la parte 
che riguardava noi ammetteva che nessun testimone ci aveva mai visti a 
Bologna, e che quindi non eravamo stati noi a portare la bomba dentro la
 stazione, ma sicuramente (per il ragionamento di cui dicevamo prima) 
facevamo parte del gruppo che tale strage aveva organizzato. Veniva 
rinviato alla «inchiesta bis» l'incarico di individuare gli effettivi 
esecutori materiali «in loco», individuare l'origine dell'esplosivo, 
individuare il movente, e individuare i mandanti. Come dicevo, da quella
 promessa di «inchiesta bis» sono passati 20 anni, e nulla è stato 
trovato. La cosa, comprensibilmente, crea un certo nervosismo.
Chi ama la vecchia sentenza grida alla luna che il processo non riesce 
ad andare avanti perché io non confesso chi sono i miei mandanti e gli 
altri della banda. In linea strettamente teorica potrebbe essere una 
ipotesi. Però poi di ipotesi se ne possono fare altre, ad esempio che 
l'inchiesta non riesce ad andare avanti perché sin dall'inizio marcia 
nella direzione sbagliata. Questa cosa iniziò a dirla pubblicamente 
Cossiga già nel 1998, quando con Francesca andammo a trovarlo sperando 
potesse darci informazioni utili per ridiscutere il nostro processo. Ci 
disse che fogli «firmati e bollati» non ne aveva, ma che la vera pista 
su Bologna era quella palestinese. Sono passati altri 14 anni, e nel 
silenzio di molti, alcuni storici dilettanti (nel senso positivo del 
termine, ossia di gente che fa le cose per passione, non per tornaconto)
 hanno iniziato a studiare una materia difficilissima, il terrorismo 
arabo in Italia. Non se ne sa niente, non esistono libri esaustivi né 
niente. Ma il terrorismo arabo in Italia ha fatto più di 60 morti, e più
 di 300 feriti. Ma non se ne parla mai, non c'è mai una commemorazione, 
mai un servizio rievocativo in televisione, mai una lapide da nessuna 
parte, mai una associazione dei parenti delle vittime. Quando il 
presidente Napolitano ha istituito la giornata a ricordo delle vittime 
del terrorismo, nell'elenco preparato dagli uffici del Quirinale non 
c'era nessuna di queste 60 vittime.
È su questo silenzio che, assieme ad alcuni di questi «storici 
dilettanti», stiamo ragionando. Silenzio sulle vittime, e sempre 
scarcerazioni in tempi fulminei dei vari palestinesi arrestati. Che è un
 po' quello che sta succedendo ancora oggi, quando l'Italia, non importa
 chi in quel momento sia al governo, cede sempre ai ricatti del 
terrorismo filo-arabo, e paga tutti i riscatti e non arresta mai 
nessuno. Dopo che si è scoperto che fisicamente presenti a Bologna 
c'erano due terroristi dell'estrema sinistra tedesca legata al 
terrorismo palestinese, è ovvio che le persone ragionevoli si pongano il
 dubbio se c'entrino qualcosa. È ovvio che se si scopre che tra le 
vittime di Bologna c'era un giovane dell'Autonomia Operaia romana, le 
persone ragionevoli si ricordano che solo pochi mesi prima, a Ortona, 
tre capi dell'Autonomia Operaia romana erano stati arrestati mentre 
trasportavano un potente missile terra aria per conto di un certo Saleh,
 dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina che 
abitava a Bologna. Viene spontaneo, alle persone semplici, domandarsi se
 per caso, come era successo pochi mesi prima nelle Marche, anche il 2 
agosto a Bologna dei giovani romani stessero aiutando i loro amici 
palestinesi a trasportare un carico di armi. Se poi ci aggiungiamo che 
dal carcere in Francia il capo dei terroristi filopalestinesi 
dell'epoca, Carlos lo Sciacallo, in diverse interviste ha ammesso che la
 sua «Organizzazione» quel giorno era presente alla stazione di 
Bologna... Carlos dice che un loro trasporto è stato boicottato dagli 
americani o dagli israeliani per rovinare i buoni rapporti tra i 
terroristi palestinesi e i nostri servizi segreti (lo ha scritto diverse
 volte, e questa tesi è stata confermata da almeno due dirigenti 
palestinesi ormai in pensione, ma nessuno sembra stupirsene). Cossiga 
prima di morire in diverse interviste aveva parlato anche lui di un 
«incidente», ma lo riteneva casuale.  
Un funzionario dei servizi segreti civili italiani fu il primo, mi pare 
già nel 1981, a dire che si trattava di un incidente, ma venne messo a 
tacere, e tutto sommato fu facile parlo perché risultava iscritto alla 
P2. Licio Gelli, senza tutti i ragionamenti e i riscontri che invece 
aveva fornito Cossiga, parla anche lui da 30 anni di un «incidente», 
seppure in una maniera un po' grossolana. Io, storico dilettante più 
scarso degli altri, ancora non ho nessuna convinzione certa su ciò che è
 accaduto a Bologna. Mi rendo conto però che certi argomenti creano 
preoccupazione. Mi sembra un buon segno. Però ci vorrà ancora tempo, 
tanta pazienza e un pizzico di coraggio per avvicinarsi se non alla 
verità, almeno al contesto della verità.
(di Giuseppe Valerio Fioravanti - fonte: www.ilgiornale.it) 
 
 
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