Matteo Renzi non è uno statista. Almeno per ora. Forse lo diventerà. Ma non è neppure un guastatore, per quanto la sua fama sia legata all’idea di rottamare il vertice del Pd. È semplicemente un giovane politico che ha capito, diversamente da tanti altri, a destra come a sinistra, che il tempo delle oligarchie è finito, i cittadini vorrebbero partecipare maggiormente alla vita pubblica stupidamente negatagli dagli apparati, il rinnovamento generazionale marcia di pari passo con l’evoluzione tecnologica e con le aspirazioni di un nuovo protagonismo da parte di quanti vorrebbero impegnarsi politicamente senza passare sotto le forche caudine del servilismo. Non sono grandi idee, ma nella palude partitocratica appaiono addirittura rivoluzionarie. Perciò Renzi piace trasversalmente. E, di conseguenza, preoccupa chi riteneva di tenerlo al guinzaglio fin da quando manifestò la sua eterodossia diventando prima presidente della Provincia e poi sindaco di Firenze. Non saprei dire se ha governato bene o male, da quel che sembra pare che se la sia cavata egregiamente. Adesso aspira a concorrere alle primarie e a battere i vecchi mandarini del Pd. Se dovesse farcela e se la legge elettorale dovesse permetterglielo (in un sistema proporzionale la candidatura a premier non ha senso, come si sa) guiderebbe il centrosinistra alla conquista di Palazzo Chigi. Operazione tutt’altro che impossibile a giudicare dai tremiti che percorrono la nomenklatura del Pd. Ma se anche non dovesse riuscire nell’intento, Renzi di fatto ha già vinto la sfida con Bersani e con gli oligarchi i quali, demonizzandolo, hanno dimostrato di tenere più al loro potere che al necessario cambiamento politico dando, in tal modo, ragione al giovane competitore che la sua battaglia ha inteso farla nel partito, osservando le regole e producendosi in un leale confronto.
Nel Pdl, purtroppo, una tale condizione non si è realizzata e tra chi ha deciso di traslocare altrove invece di battersi coerentemente e chi ha accettato lo squagliamento di tesseramenti, congressi e primarie, improvvisamente ritenuti inutili, si è realizzato il vuoto perfetto. Perciò tanti pidiellini guardano a Renzi come a uno loro: un transfert psicoanalitico che testimonia l’aspirazione impossibile a essere ciò che non si è o a stare dove non si può. La politica vive di queste schizofrenie e quando viene fuori chi è in grado di evidenziarle si ha come una rivelazione che avvilisce più che consolare.
Indipendentemente dalle appartenenze, infatti, le oligarchie del Pd e del Pdl sono letteralmente, e per motivi chiaramente diversi, soggiogate dal fenomeno Renzi. Entrambe lo vedono come un «alieno»: l’una perché ne teme l’impatto innovatore da cui può derivare il pensionamento di buona parte del suo vertice; l’altra perché vorrebbe averne uno (magari senza traumi) in grado di rompere il bozzolo dal quale veder volare finalmente una farfalla. In mancanza di meglio i berlusconiani devono accontentarsi di assistere al raro spettacolo del piccolo amministratore che sfida il segretario del partito, al di là delle liturgie congressuali precotte, ed esaltando così la pratica della democrazia diretta a cui ideologicamente, se non ricordo male, erano un tempo affezionati. Ma non è detto che un processo imitativo nelle file del Pdl non si metta in moto. E se dovesse accadere l’apparato monarchico di via dell’Umiltà e di Palazzo Grazioli come si comporterebbe? Asseconderebbe le velleità di qualche lucido folle finalmente consapevole che il centrodestra lo si può rimodellare e farlo rivivere soltanto a patto di parlare direttamente alla gente, di scendere in mezzo al popolo, di farsi largo tra cortigiani e ciambellani guadagnando finalmente il proscenio? Per come si sono messe le cose ho i miei dubbi.
Credo che il vertice del Pdl si specchierebbe in quello del Pd vivendo le medesime ambasce che oggi neppure intravede esaltando Renzi come se fosse uno dei suoi, tessendone le lodi perché ha sfidato Bersani, lodandone il coraggio fino a trovarlo «eccitante» per essersi messo contro tutti come un guerriero che a mani nude sfida una potente armata. A parte il fatto che la presunta armata è in rotta da tempo, Renzi ha colto il lato debole della nomenklatura del suo partito - che vede in pericolo gli organigrammi già elaborati in vista della vittoria di primavera - nel legame che si logorato con l’elettorato. Lui intende rinsaldarlo. E a nulla vale l’accusa di inesperienza rivoltagli da D’Alema, né l’interrogatorio a cui vorrebbero sottoporlo analisti politici come Antonio Polito: il suo editoriale di ieri sul Corriere della sera, nel quale chiede conto a un semplice candidato alle primarie di rispondere a tutto (o quasi) è sul tavolo della politica italiana ed europea, è prezioso per comprendere che cosa ha smosso Renzi rivolgendosi ai militanti del Pd senza intermediazioni o protettori.
Il sindaco di Firenze per adesso non deve offrire ricette economiche e monetarie per uscire dalla crisi: a questo ci pensa Draghi, né fornire indicazioni per la crescita di cui si sta occupando Monti. Il compito che si è prefisso è quello di costruire un modo nuovo per rinnovare i partiti, consapevole, come lo sono tutti cittadini, che essi sono morti o, nella migliore delle ipotesi, narcotizzati, a cominciare dal suo. E ritiene, come chiunque, tranne gli oligarchi probabilmente, che una democrazia senza partiti è destinata a deperire. Dunque, o si ristrutturano con il concorso popolare o la Repubblica dovrà ancora far ricorso ai tecnocrati, mettersi nelle mani di chi non viene votato per risolvere le questioni più gravi. Ma guardateli come sono ridotti e poi riflettete se è Renzi l’alieno o non lo sono coloro che lo guardano con sospetta ammirazione o con crescente preoccupazione: parlano un linguaggio incomprensibile, almanaccano di alleanze improbabili, giocano con la legge elettorale come se fosse una partita di burraco, già si accapigliano sul prossimo presidente della Repubblica e ipotizzano addirittura le date di scioglimento delle Camere e loro successive convocazioni valutando se convenga lasciare a Napolitano l’incarico di conferire il mandato di formare il nuovo governo o al suo successore. Incredibile, ma è così. Perciò, comunque vada, Renzi ha già vinto. E non soltanto contro gli oligarchi del Pd.
(di Gennaro Malgieri)
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