E’ il predellino dell’Ambulanza. Non basta il lapsus del barzellettiere subito trasformato in barzellettato. La svista rivelatrice, infatti, è un’altra: “Gli voglio bene come a un figlio” ha detto Berlusconi di Alfano in conferenza stampa congiunta ed è stato il momento esatto in cui tutta l’incompiuta da 25 luglio s’è svelata nell’esatto contrario: è finita che nell’Ambulanza ci sono entrati tutti i tremebondi congiurati e non più lui, non di certo il capo che di quelle primarie non sa che farsene e tiene tutti loro lì, ancora per la saccoccia. Soldi non ce ne sono, dice, e Rocco Crimi, tesoriere del Pdl, si dimette seduta stante. Giusto per non restare travolto dal predellino dell’Ambulanza.
Non ha il Quid. Si sa. Ma non ha neanche il Quoque. Angelino Alfano che s’è ritrovato senza il “quid” del carisma, sottrattogli da Silvio Berlusconi, s’erge impettito ma adesso si scopre senza le idi in tasca. Non l’accoltella, infatti, il suo Cesare per essergli figlio nel “quoque tu”.
Non basta la rabbia consumata contro l’ex presidente di Confindustria – “nei sondaggi prende meno di me!” – e su cui ricorda a tutti quel che Rino Formica dice a proposito di Luca Cordero di Montezemolo (dice, il Formica, “Ma era solo un’altra Minetti, quello! Era la Minetti dell’Avvocato…!”). E non si accontenta, il determinato Angelino, della papera del gelataio, Federico Grom, gettata sul piatto come un’invettiva per svelarsi al dunque congiurato e opportunista.
Senza Quoque, l’uomo privo di Quid non sa come farlo il tanto atteso 25 luglio. Non è neppure Dino Grandi per risolvere giusto in questo novembre un Gran Consiglio, magari facendogli la sorpresa di un’Ambulanza parcheggiata nel cortile di Palazzo Grazioli che se lo porti via, infine, il Cavaliere Berlusconi, come nel 1943 accadde a Benito Mussolini dopo il colloquio col Re a Villa Savoia.
E’, dunque, il predellino dell’Ambulanza. “Sarebbe benemerita cosa levarsi dai c…”. Così, manco due giorni fa, questo auspicio riecheggiava a modo di mantra tra le fila degli ex An in marcia verso la riunione dell’ufficio di presidenza del partito dove vi arrivavano apposta in ritardo ma era così tutto teso, tutto livido e tutto così certificato nel fallimento che nessuno faceva caso del rovinio di sedie: “Non ci sono occhi per piangere”, mormorava accorato Ignazio La Russa.
E davvero l’Ambulanza ci vuole. Al Pdl, di quel che sarà, non resta altra possibilità che il tradimento. Non è più tempo di dirle le cose con le buone. Anche Antonio Di Pietro viene tradito in queste ore, tutti i suoi fedelissimi pretoriani e i consoli delle province remote lo lasciano solo e dilaniato tra le case. Beppe Grillo che lo indica per il Quirinale sembra riprendere il costume antico del decoro repubblicano di Roma. E il capo dei grillini fa con Di Pietro come l’Anziano che, ai senatori macchiatosi di sconfitta, consigliava un onorevole riparo: quello di prendere un bagno caldo e poi, congedatosi da tutto, aprirsi i polsi. L’elogio che ne fa Michele Santoro, poi, è pari pari preso dal discorso di Marco Antonio dopo che tanti Bruto-Donadi hanno già sciolto nel rancore tutte le loro arringhe.
E’ il voltafaccia che fa la storia. Se Napoleone Bonaparte non avesse tradito la Rivoluzione non avrebbe potuto vincere da Imperatore per confermarsi figlio dei Robespierre e della Ghigliottina. Così il Duce: se non avesse tradito il socialismo non avrebbe potuto fabbricare il fascismo e restituirsi all’idea proletaria di Salò. E così Cristo: se non avesse tradito gli ebrei non avrebbe potuto fondare il cristianesimo e riconfermare il giudaismo e lo stesso Cristo cercò qualcuno che lo tradisse, non solo Giuda, ma la stessa Chiesa, costretta mondanamente a tradire il figlio di Maria per sopravvivere e farne dogma di quell’Inquisitore di Fedor Dostoevskij che lo interroga il Nazareno, lo riconosce e, a maggior ragione, lo condanna.
Forse non riesce il 25 luglio su Berlusconi perché ha casa nella salda cassa dalla capacità illimitata di liquido e non ha neanche bisogno dei tedeschi per farsi rimettere in piedi. Di tutte le zucche, Berlusconi, ne ha fatto deputati. E siccome il tradimento è emancipazione e autonomia Berlusconi sa che non c’è riuscita nella congiura in atto per assenza di indipendenza e maturità nei suoi. Gli ha dato nome e cognome, gente che al più avrebbe avuto pubblicità solo al citofono di uno studio professionale. Ciò che ancora detta legge è il blasone di casa e cassa. Quando qualcuno prova ad andare via dall’azienda, Fedele Confalonieri, così sentenzia: “Vai, vai pure. Ma ricordati che fuori fa freddo”. E’ la misura dell’abbandono sotto la teca dell’archetipo, questa. L’unico che ha provato a tradire Berlusconi è Giulio Tremonti. Lo ha fatto con misura e calcolo. Senza passione e forse senza risultati se, come pare, Rino Formica ha già inviato all’indirizzo di Sondrio una lettera per levare all’ex ministro di Berlusconi la pelle e la patente di socialista riformista.
Non riesce il 25 luglio perché solo ora, con le dimissioni di Crimi, nel frattempo che l’Ambulanza corre, si scopre una difficile verità. I piediellini non hanno manco i soldi per pagarsi i manifesti. E sono Privi della Libertà, altro che Popolo della Libertà. Si tradisce sempre per qualcuno e con qualcuno. Senza qualcuno – come dire senza Quid e senza Quoque – si diventa cannibali.
Nel 1994, nell’infarto di Tangentopoli, si tradiva dandosi mani e piedi alla magistratura. I berlusconiani, oggi che non c’è un’altra parte non possono farne del Caimano un Cinghialone perché, al contrario, hanno solo la distruzione davanti a loro. E un destino di cannibalismo. E’ tutto un ripetersi, “Cosa sarà di noi, domani?”. E mentre Berlusconi gli mette sotto il muso un dinosauro dei suoi – “uno come me”, dice – magari Gianpiero Samorì da Modena, “un personaggio che fa tutto senza sporcarsi la giacca”, la scolaresca prova il rito dell’uccisione del padre, com’è accaduto puntando i piedi per ottenerle queste benedette primarie, dopo di che, si vede. E quel che si vede è che mancano santi cui votarsi.
Sono tempi senza santi, questi. Certo, c’è Giovanni Favia che tradisce Grillo. Ma è santo che non suda. C’è Emilio Fede che fa la ola intorno a Berlusconi e viene tradito a sua volta da Lele Mora (o è il contrario?). Valter Lavitola, poi, che tradisce tutti ma strilla continuamente di essere stato tradito da chiunque, e in particolare da Berlusconi, il santo che non paga. Ovvio, c’è Francone Fiorito che è stato tradito da Francesco Battistoni, poi c’è la Polverini che, dice lei, è stata tradita dal sistema. Formigoni, invece, è tradito dal look. E Berlusconi, che è abbandonato da Gianfranco Fini, non fa catena con Fini, rovinato dal cognato Tulliani. Quindi Alessandro Sallusti, tradito da Renato Farina. E Vittorio Feltri pure, tradito. E così il Santo Padre tradito dal “corvo”. Il Corvo dal Papa. I fiorentini sono traditi da Renzi (la città madre da uccidere) e Mitt Romney tradito, infine, dall’America.
Berlusconi che pure tradì Bettino Craxi sa bene che non funzionò il tradimento del Psi verso il proprio leader. Il padre del Garofano che, nel momento del crollo, cercò in Enrico Boselli un suo Alfano, ebbe invece i Benvenuto e i Del Turco, poi ci fu la diaspora e un tradimento riuscito ci fu solo nel Pci, che non era più quello di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer, capi orbi di dissenso, ma quello di Achille Occhetto che, avendo tradito Alessandro Natta, fu a sua volta tradito da Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Tradire l’Urss fu vitale per il comunismo italiano e senza scomodare il luogo comune di Tomasi di Lampedusa il cambiare per non cambiare di Gorbaciov fallì perché solo un tradimento compiuto regge la pagina di Shakespeare, non la generica adesione ai principi dei diritti dell’uomo e della democrazia, i soviet crollarono e solo tra le macerie della macchina totalitaria poté venire alla luce, con chiarezza, l’eternità delle nevi di Russia.
Poiché solo Nicolò Machiavelli fa catechismo forse c’è materia – giusto insegnamento di Achille Bonito Oliva, “L’Ideologia del traditore” – per far dottrina di un’arte difficile quanto la messa in pratica di una morale: l’etica del traditore. E se proprio non vogliamo fare storia ché qui stiamo facendo il giornale, se quindi non vogliamo citare Ramón Mercader (cognato di Vittorio De Sica) che spaccò la testa a Lev Trotsky dopo essersi spacciato per amico suo, né Efialte che tradì Leonida suggerendo ai persiani di Serse (secondo Erodoto quasi cinque milioni di soldati) un percorso per aggirare i leggendari trecento opliti spartani presso il passo delle Termopili, ci sarà da ricordare almeno Steve Jobs che tradisce il suo socio in affari e geniale tecnico Steve Wozniak strappandogli la Apple; e ci sarebbe Facebook che non fu un’idea di Mark Zuckerberg ma dei fratelli Cameron e Tyler Winklevoss, raggirati dal social nerd che nel frattempo aveva anche chiesto all’amico – che poi ovviamente tradirà – Eduardo Saverin di aiutarlo a trovare finanziatori per l’impresa.
L’antimafia ha appunto origine dal tradimento di Tommaso Buscetta che, al pari di ogni bestemmiatore, tradisce quel sangue per confermarsi uomo d’onore. Come Napoleone, come Cristo. Non è un esercizio di stile il tradimento. E’ un viatico di solidità. E’ il rituale dell’umanità in cammino. Ed è la bassa cucina nel vapoforno della politica. Ci sono stati tempi da retroscena nell’Italia che fu teatro per Gano di Magonza e per Jago, il sussurratore delle Venezie. Romano Prodi tradì Ciriaco De Mita ma nel frattempo Mino Martinazzoli aveva già tradito la Democrazia cristiana portando a compimento il suicidio. Francesco Cossiga si peritò di picconare la Repubblica tradendo tutti, anche Marco Pannella si sentì tradito da Barbara Palombelli e Francesco Rutelli. Li battezzò i Ciano immedesimandosi lui nel Duce. Il figlio del Fabbro fa da archetipo e in Italia e nel mondo fa testo solo il 25 luglio. I venticinqueluglisti, oggi, sono merce rara. Servirebbero come il pane per dare una degna uscita di scena al Cav. e Berlusconi che ha dunque verificato l’impossibilità di essere tradito, dovrebbe procurarsi il modo – come Cristo con Giuda, come Otello con Jago, come Orlando il paladino con Gano di Magonza – di averlo un accoltellatore, un Renzi tutto per sé, e non un pm, che lo consegni alla durezza di una sconfitta. Solo il tradimento potrà salvare lui e il suo ventennio, solo un 25 luglio riuscito, a costo di pagarselo da solo e farlo nuovo di pacca, potrà fargli la strada libera verso la meritata pagina di storia e non al cortile querulo dei lotofagi, tutti mangiatori di quelle begonie dei prati d’Arcore, aedi di un tempo che almeno la violassero l’intimità di Palazzo Grazioli come un tempo Claudio Martelli, l’unico che potesse aprire il frigorifero in casa di Bettino, profanò senza scadere nella caricatura delle fedelissime amazzoni, devote quanto accecate nel fragore della disfatta mesta di un’età, quella dei Pdl, i Privi della Libertà dove tutti arrivano primi al traguardo del predellino. Quello dell’Ambulanza. Senza Quoque e senza Quid.
Non ha il Quid. Si sa. Ma non ha neanche il Quoque. Angelino Alfano che s’è ritrovato senza il “quid” del carisma, sottrattogli da Silvio Berlusconi, s’erge impettito ma adesso si scopre senza le idi in tasca. Non l’accoltella, infatti, il suo Cesare per essergli figlio nel “quoque tu”.
Non basta la rabbia consumata contro l’ex presidente di Confindustria – “nei sondaggi prende meno di me!” – e su cui ricorda a tutti quel che Rino Formica dice a proposito di Luca Cordero di Montezemolo (dice, il Formica, “Ma era solo un’altra Minetti, quello! Era la Minetti dell’Avvocato…!”). E non si accontenta, il determinato Angelino, della papera del gelataio, Federico Grom, gettata sul piatto come un’invettiva per svelarsi al dunque congiurato e opportunista.
Senza Quoque, l’uomo privo di Quid non sa come farlo il tanto atteso 25 luglio. Non è neppure Dino Grandi per risolvere giusto in questo novembre un Gran Consiglio, magari facendogli la sorpresa di un’Ambulanza parcheggiata nel cortile di Palazzo Grazioli che se lo porti via, infine, il Cavaliere Berlusconi, come nel 1943 accadde a Benito Mussolini dopo il colloquio col Re a Villa Savoia.
E’, dunque, il predellino dell’Ambulanza. “Sarebbe benemerita cosa levarsi dai c…”. Così, manco due giorni fa, questo auspicio riecheggiava a modo di mantra tra le fila degli ex An in marcia verso la riunione dell’ufficio di presidenza del partito dove vi arrivavano apposta in ritardo ma era così tutto teso, tutto livido e tutto così certificato nel fallimento che nessuno faceva caso del rovinio di sedie: “Non ci sono occhi per piangere”, mormorava accorato Ignazio La Russa.
E davvero l’Ambulanza ci vuole. Al Pdl, di quel che sarà, non resta altra possibilità che il tradimento. Non è più tempo di dirle le cose con le buone. Anche Antonio Di Pietro viene tradito in queste ore, tutti i suoi fedelissimi pretoriani e i consoli delle province remote lo lasciano solo e dilaniato tra le case. Beppe Grillo che lo indica per il Quirinale sembra riprendere il costume antico del decoro repubblicano di Roma. E il capo dei grillini fa con Di Pietro come l’Anziano che, ai senatori macchiatosi di sconfitta, consigliava un onorevole riparo: quello di prendere un bagno caldo e poi, congedatosi da tutto, aprirsi i polsi. L’elogio che ne fa Michele Santoro, poi, è pari pari preso dal discorso di Marco Antonio dopo che tanti Bruto-Donadi hanno già sciolto nel rancore tutte le loro arringhe.
E’ il voltafaccia che fa la storia. Se Napoleone Bonaparte non avesse tradito la Rivoluzione non avrebbe potuto vincere da Imperatore per confermarsi figlio dei Robespierre e della Ghigliottina. Così il Duce: se non avesse tradito il socialismo non avrebbe potuto fabbricare il fascismo e restituirsi all’idea proletaria di Salò. E così Cristo: se non avesse tradito gli ebrei non avrebbe potuto fondare il cristianesimo e riconfermare il giudaismo e lo stesso Cristo cercò qualcuno che lo tradisse, non solo Giuda, ma la stessa Chiesa, costretta mondanamente a tradire il figlio di Maria per sopravvivere e farne dogma di quell’Inquisitore di Fedor Dostoevskij che lo interroga il Nazareno, lo riconosce e, a maggior ragione, lo condanna.
Forse non riesce il 25 luglio su Berlusconi perché ha casa nella salda cassa dalla capacità illimitata di liquido e non ha neanche bisogno dei tedeschi per farsi rimettere in piedi. Di tutte le zucche, Berlusconi, ne ha fatto deputati. E siccome il tradimento è emancipazione e autonomia Berlusconi sa che non c’è riuscita nella congiura in atto per assenza di indipendenza e maturità nei suoi. Gli ha dato nome e cognome, gente che al più avrebbe avuto pubblicità solo al citofono di uno studio professionale. Ciò che ancora detta legge è il blasone di casa e cassa. Quando qualcuno prova ad andare via dall’azienda, Fedele Confalonieri, così sentenzia: “Vai, vai pure. Ma ricordati che fuori fa freddo”. E’ la misura dell’abbandono sotto la teca dell’archetipo, questa. L’unico che ha provato a tradire Berlusconi è Giulio Tremonti. Lo ha fatto con misura e calcolo. Senza passione e forse senza risultati se, come pare, Rino Formica ha già inviato all’indirizzo di Sondrio una lettera per levare all’ex ministro di Berlusconi la pelle e la patente di socialista riformista.
Non riesce il 25 luglio perché solo ora, con le dimissioni di Crimi, nel frattempo che l’Ambulanza corre, si scopre una difficile verità. I piediellini non hanno manco i soldi per pagarsi i manifesti. E sono Privi della Libertà, altro che Popolo della Libertà. Si tradisce sempre per qualcuno e con qualcuno. Senza qualcuno – come dire senza Quid e senza Quoque – si diventa cannibali.
Nel 1994, nell’infarto di Tangentopoli, si tradiva dandosi mani e piedi alla magistratura. I berlusconiani, oggi che non c’è un’altra parte non possono farne del Caimano un Cinghialone perché, al contrario, hanno solo la distruzione davanti a loro. E un destino di cannibalismo. E’ tutto un ripetersi, “Cosa sarà di noi, domani?”. E mentre Berlusconi gli mette sotto il muso un dinosauro dei suoi – “uno come me”, dice – magari Gianpiero Samorì da Modena, “un personaggio che fa tutto senza sporcarsi la giacca”, la scolaresca prova il rito dell’uccisione del padre, com’è accaduto puntando i piedi per ottenerle queste benedette primarie, dopo di che, si vede. E quel che si vede è che mancano santi cui votarsi.
Sono tempi senza santi, questi. Certo, c’è Giovanni Favia che tradisce Grillo. Ma è santo che non suda. C’è Emilio Fede che fa la ola intorno a Berlusconi e viene tradito a sua volta da Lele Mora (o è il contrario?). Valter Lavitola, poi, che tradisce tutti ma strilla continuamente di essere stato tradito da chiunque, e in particolare da Berlusconi, il santo che non paga. Ovvio, c’è Francone Fiorito che è stato tradito da Francesco Battistoni, poi c’è la Polverini che, dice lei, è stata tradita dal sistema. Formigoni, invece, è tradito dal look. E Berlusconi, che è abbandonato da Gianfranco Fini, non fa catena con Fini, rovinato dal cognato Tulliani. Quindi Alessandro Sallusti, tradito da Renato Farina. E Vittorio Feltri pure, tradito. E così il Santo Padre tradito dal “corvo”. Il Corvo dal Papa. I fiorentini sono traditi da Renzi (la città madre da uccidere) e Mitt Romney tradito, infine, dall’America.
Berlusconi che pure tradì Bettino Craxi sa bene che non funzionò il tradimento del Psi verso il proprio leader. Il padre del Garofano che, nel momento del crollo, cercò in Enrico Boselli un suo Alfano, ebbe invece i Benvenuto e i Del Turco, poi ci fu la diaspora e un tradimento riuscito ci fu solo nel Pci, che non era più quello di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer, capi orbi di dissenso, ma quello di Achille Occhetto che, avendo tradito Alessandro Natta, fu a sua volta tradito da Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Tradire l’Urss fu vitale per il comunismo italiano e senza scomodare il luogo comune di Tomasi di Lampedusa il cambiare per non cambiare di Gorbaciov fallì perché solo un tradimento compiuto regge la pagina di Shakespeare, non la generica adesione ai principi dei diritti dell’uomo e della democrazia, i soviet crollarono e solo tra le macerie della macchina totalitaria poté venire alla luce, con chiarezza, l’eternità delle nevi di Russia.
Poiché solo Nicolò Machiavelli fa catechismo forse c’è materia – giusto insegnamento di Achille Bonito Oliva, “L’Ideologia del traditore” – per far dottrina di un’arte difficile quanto la messa in pratica di una morale: l’etica del traditore. E se proprio non vogliamo fare storia ché qui stiamo facendo il giornale, se quindi non vogliamo citare Ramón Mercader (cognato di Vittorio De Sica) che spaccò la testa a Lev Trotsky dopo essersi spacciato per amico suo, né Efialte che tradì Leonida suggerendo ai persiani di Serse (secondo Erodoto quasi cinque milioni di soldati) un percorso per aggirare i leggendari trecento opliti spartani presso il passo delle Termopili, ci sarà da ricordare almeno Steve Jobs che tradisce il suo socio in affari e geniale tecnico Steve Wozniak strappandogli la Apple; e ci sarebbe Facebook che non fu un’idea di Mark Zuckerberg ma dei fratelli Cameron e Tyler Winklevoss, raggirati dal social nerd che nel frattempo aveva anche chiesto all’amico – che poi ovviamente tradirà – Eduardo Saverin di aiutarlo a trovare finanziatori per l’impresa.
L’antimafia ha appunto origine dal tradimento di Tommaso Buscetta che, al pari di ogni bestemmiatore, tradisce quel sangue per confermarsi uomo d’onore. Come Napoleone, come Cristo. Non è un esercizio di stile il tradimento. E’ un viatico di solidità. E’ il rituale dell’umanità in cammino. Ed è la bassa cucina nel vapoforno della politica. Ci sono stati tempi da retroscena nell’Italia che fu teatro per Gano di Magonza e per Jago, il sussurratore delle Venezie. Romano Prodi tradì Ciriaco De Mita ma nel frattempo Mino Martinazzoli aveva già tradito la Democrazia cristiana portando a compimento il suicidio. Francesco Cossiga si peritò di picconare la Repubblica tradendo tutti, anche Marco Pannella si sentì tradito da Barbara Palombelli e Francesco Rutelli. Li battezzò i Ciano immedesimandosi lui nel Duce. Il figlio del Fabbro fa da archetipo e in Italia e nel mondo fa testo solo il 25 luglio. I venticinqueluglisti, oggi, sono merce rara. Servirebbero come il pane per dare una degna uscita di scena al Cav. e Berlusconi che ha dunque verificato l’impossibilità di essere tradito, dovrebbe procurarsi il modo – come Cristo con Giuda, come Otello con Jago, come Orlando il paladino con Gano di Magonza – di averlo un accoltellatore, un Renzi tutto per sé, e non un pm, che lo consegni alla durezza di una sconfitta. Solo il tradimento potrà salvare lui e il suo ventennio, solo un 25 luglio riuscito, a costo di pagarselo da solo e farlo nuovo di pacca, potrà fargli la strada libera verso la meritata pagina di storia e non al cortile querulo dei lotofagi, tutti mangiatori di quelle begonie dei prati d’Arcore, aedi di un tempo che almeno la violassero l’intimità di Palazzo Grazioli come un tempo Claudio Martelli, l’unico che potesse aprire il frigorifero in casa di Bettino, profanò senza scadere nella caricatura delle fedelissime amazzoni, devote quanto accecate nel fragore della disfatta mesta di un’età, quella dei Pdl, i Privi della Libertà dove tutti arrivano primi al traguardo del predellino. Quello dell’Ambulanza. Senza Quoque e senza Quid.
(di Pietrangelo Buttafuoco)
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