Se Sparta piange (ma sì, nobilitiamo un po’
le nostre miserie politiche), Atene non ride. Tempo tre lustri, e
l’aver voluto cambiare indirizzo e ragione sociale, ha significato per
gli ex missini del tempo che fu ritrovarsi senza fissa dimora.
Sfrattati. Quelli che si illusero con Fini, rischiano di scomparire
come partito alle prossime elezioni (a meno che non scompaiano
addirittura prima, nascosti e/o riciclati in una qualche coalizione).
Quelli che restarono con Berlusconi, pagano lo scotto di chi si ritrova
a contemplare il tramonto di un regno: ciascuno per sé, nessun vincolo
né pietà per i più deboli. Più numerosi dei transfughi del Fli, qui
naturalmente ci saranno più «salvati » rispetto agli «ex amici»
destinati a essere «sommersi», ma il quadro d’insieme non muta: la fine
di un mondo e di un’etichetta politica, la destra. Ironia della storia,
nemmeno vent’anni dopo essere stata sparata in orbita, la destra si
ritrova dunque dispersa nello spazio politico italiano, ma il paradosso
è che il moderatismo tenacemente perseguito in quest’arco di tempo per
ripulirsi e proteggersi da quell’estremismo «nero» così tanto
rinfacciato e, va riconosciuto, spesso e volentieri così avvilente, le
si ripresenta oggi come un boomerang.
Non è moderato il nuovo soggetto che ha
nome Movimento Cinque stelle e che minaccia di fare sfracelli; non è
moderato l’odiato-amato ex alleato leghista; non è moderato il fronte
elettorale astensionista, ovvero quella parte del popolo italiano che
se avesse fra le mani un parlamentare, senatore o deputato non fa
differenza, lo prenderebbe tranquillamente a calci, ma intanto come
protesta ha deciso di non andare a votare.
Per molti versi, è una situazione che ricorda quella di Tangentopoli e del tracollo della Prima Repubblica, solo che chi era allora estraneo, del tutto o in parte, al disastro istituzionale precedente, ora si ritrova, di fatto, corresponsabile e il non aver pensato per tempo a un ricambio e/o una successione è ciò che maggiormente ne condiziona la sua classe dirigente. Di questo, i «forza-italioti» sono destinati a pagare ovviamente il prezzo, ma si può dire che il loro legame con il capo fondatore era tale da rendere difficile, se non impossibile, come le rare eccezioni hanno dimostrato, una logica che non fosse di mera sudditanza.
È qui però che i difetti di quella che
allora era una destra «antisistema », si rivelano ancora più impietosi.
Perché con tutte le sue pecche ideologiche e le sue incapacità umane,
c’era dietro di essa una storia, un patrimonio anche morale, un bacino
elettorale, una certa idea del’essere e del vivere.
Si preferì invece un appiattimento sul più
potente alleato e, al proprio interno, uno sbrigativo regolamento dei
conti con chi non si mostrava entusiasta quanto al nuovo corso. Ancora:
ci si cullò sull’idea del delfinato, ovvero il passaggio più o meno
spontaneo del bastone del comando, ma non si ebbe nemmeno la pazienza e
l’intelligenza di condurla sino in fondo. Fallito anche questo, chi
comunque rimase dentro il più grande contenitore, lo fece per meglio
disperdersi, non certo per distinguersi. Il resto è storia di questi
ultimi, miseri tempi, la messa all’incanto di tutto ciò che c’era stato
prima.
Fatti salvi casi individuali, difficilmente
nel Polo della libertà post-berlusconiano ci sarà dunque posto per una
destra ormai senza identità né storia né dimora. Certo, in una logica
di liste civiche e di nuovi soggetti politici, ci può anche stare
l’ennesima rifondazione, ma va tenuto conto che un partito che si
chiama Destra, frutto anch’esso di una Fiuggi digerita fuori tempo, già
esiste e per quanto di dimensioni ridotte e di scarso e discutibile
appeal, appare più credibile, come collocazione, di una nuova costola
fuoriuscita sulla destra del Pdl.
Certo, ci potrebbe essere una fusione fra
questi due soggetti, ma i rancori fra gli ex colonnelli di quella che un
tempo fu Alleanza nazionale, ricordano quelli dei Duellanti del
racconto di Joseph Conrad. Continuano a odiarsi anche se non si
ricordano più il perché.
(di Stenio Solinas)
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