Quando l'ideale divorzia dal reale nasce il
tragico, poi il comico, quindi il sognatore, infine il pazzo. In una
parola, Don Chisciotte. Lui, il Cavaliere dalla trista figura, in
conflitto eroicomico con la realtà e il suo tempo, li riassume tutti.
Il più importante commento al Don
Chisciotte di Miguel de Cervantes è di un filosofo spagnolo del primo
Novecento, Miguel de Unamuno. Nativo di Bilbao, insegnò all'Università
di Salamanca, fu esiliato alle Canarie. Di lui esce ora una raccolta di
saggi, In viaggio con Don Chisciotte (Medusa, pagg. 140, euro 16,50). Il
suo Don Chisciotte è un Cristo folle, con «i baffi, grandi neri e
spioventi» e questa sua immagine ricorda l'ultimo Nietzsche nelle
braccia della pazzia. Unamuno sottrae Don Chisciotte al suo autore, lo
rende autonomo, universale, lo consegna alla mitologia, ne fa il genio
di un popolo.
A dir la verità questi saggi non sono un granché, nulla
di paragonabile al Commento uscito nel 1905. Qualche anno fa Medusa
aveva pubblicato con il titolo Cultura e nazione un'altra opera di
Unamuno uscita nel '45 in Italia a cura di Carlo Bo col titolo Essenza
della Spagna. Meglio sarebbe quest'anno ricordare di Unamuno i cent'anni
della sua opera filosofica più significativa, Del sentimento tragico
della vita, uscita nel 1913, tradotta da SE nel 1989 (importante è pure
L'agonia del cristianesimo).
«Non sento la filosofia che poeticamente - scrive Unamuno - e innanzi
tutto religiosamente». Unamuno è con Ortega y Gasset il filosofo più
importante del Novecento spagnolo, spesso paragonati a Croce e Gentile.
Ambedue vitalisti ma Unamuno in versione tragica e con tratti più
letterari. In Italia i primi a scoprirlo furono Papini e Prezzolini. Il
filosofo cattolico M. F. Sciacca gli dedicò un gran bel libro, Il
chisciottismo tragico di Unamuno. La sua filosofia è ispirata a un
sentimento tragico e onirico della vita, figlio di Don Chisciotte e del
Sigismondo de La vita è sogno di Calderon de la Barca. Percorre i suoi
scritti un vivo senso del paradosso e del capovolgimento, fino
all'irrealismo magico. Unamuno esalta la guerra come «scuola di
fraternità e vincolo d'amore» e in uno scritto tristemente profetico
scrive nel 1915: «Sia benedetta da Dio la guerra civile... senza sangue
fraterno non c'è patria». Il suo terribile auspicio fu esaudito nella
sanguinosa guerra civile spagnola che Unamuno non vide conclusa perché
morì l'ultimo giorno del 1936. Se l'avesse vissuta, si sarebbe pentito?
La
verità per Unamuno si dissocia dalla realtà e vince sulla menzogna
tramite la follia. Vera, per Unamuno è «ogni cosa che alimenta nobili
slanci e partorisce opere feconde» e falsa è «ogni cosa che soffoca gli
impulsi generosi e produce sterili aborti». Una visione emotiva, etica
ed estetica della verità fondata sulla superiorità dell'Inutile.
L'insuccesso è il sigillo che nobilita l'azione, «la vittoria delle
vittorie è perdere tutto». Risuona il motto dell'hidalgo: «la sconfitta è
il blasone dell'anima ben nata». «Solo gli amori infecondi sono fecondi
di frutti spirituali - scrive don Miguel -, solo la sterilità temporale
dà la fecondità eterna». L'amore per lui è «ciò che vi è di più tragico
al mondo», figlio dell'inganno e padre del disinganno. Il fato è la
fratellanza d'amore e dolore. Non a caso Unamuno cita spesso Leopardi e
in particolare La ginestra.
Gli uomini per lui si dividono in
carnali, cardiaci e intellettivi: la sua barba nera, il suo sguardo
appassionato e i suoi occhialini penetranti li riassumono de visu. Anche
Dio e l'immortalità sono sogni per Unamuno, ma sogni che fanno vivere,
dunque sono veri. Se la vita è sogno «lascia che io la sogni immortale».
Il ponte tra la vita e il sogno è la gloria, la stessa che persegue Don
Chisciotte. La gloria è la speranza di continuare a vivere negli altri,
immortalità terrena. In una pagina vibrante Unamuno scrive:
«L'essenziale è non morire. Non morire! Non morire! Questa è l'ultima
radice della follia chisciottesca. Ansia di vita, ansia di vita eterna
ti dette l'immortalità, Don Chisciotte mio, il sogno della tua vita fu
ed è il sogno di non morire». Egli, nota Sciacca, «non vuole, non ama
Dio, vuole e ama se stesso; se la sua sopravvivenza potesse essergli
assicurata anche senza Dio, non chiederebbe di più e forse di meglio».
Unamuno resta nell'orizzonte umano e immanente del soggettivismo
eroico, in una visione disperata e solitaria, anche se il suo sentimento
tragico si riferisce non solo ai singoli ma anche ai popoli. Ricorrente
è il richiamo all'essenza spagnola e alla sua tradizione eterna. Il Don
Chisciotte per lui è una specie di Vangelo dell'hispanidad, categoria
geospirituale, etno-metafisica. I suoi discendenti sono l'esteta, il
dandy, l'eroe solitario. Il chisciottismo è l'altra faccia dell'utopia
rivoluzionaria che ha percorso la modernità. Versione fantastica e
singolare l'una, visione storica e collettiva l'altra. Ma la differenza
tra Don Chisciotte e i rivoluzionari è essenziale: il primo carica sulle
proprie spalle il costo proibitivo dei suoi sogni solitari, i secondi
invece li riversano sugli altri, anzi pretendono che gli altri facciano i
loro stessi sogni e li vadano ad abitare. E quando il sogno si oppone
alla realtà, tanto peggio per la realtà. In quella differenza c'è tutta
l'abissale distanza tra la magnifica, solitaria, gentile e disperata
grandezza dei cavalieri che vivono e muoiono del loro ideale nel loro
romantico delirio e la cupa, feroce, messianica ideologia dei
rivoluzionari che impongono al mondo la pretesa di una società perfette.
Certo, anche fra gli utopisti rivoluzionari vi furono nobili
sognatori, martiri dei loro ideali; ma quando i rivoluzionari puri vanno
al potere sono più crudeli e intransigenti dei rivoluzionari impuri,
disposti al compromesso con la realtà. Perché ogni assoluto trasferito
in terra produce mostri, tiranni, violenze, regimi totalitari. Invece i
sogni rimasti nella sfera ideale e singolare si traducono in creatività,
opere d'arte, figure letterarie. Uno rappresenta il sentimento tragico
della vita, gli altri il risentimento tragico della storia. Un plotone
di Don Chisciotte farebbe paura; invece un Cavaliere solitario e
anacronistico, fuor di senno e di tempo, accompagnato solo dal suo fido
scudiero e da un grappolo di sogni e allucinazioni, suscita un nugolo di
sentimenti: riso, tenerezza, pietà e nostalgia. La solitudine è la sua
follia ma è anche la nostra salvezza. Il suo irrealismo cavalleresco lo
destina alla sconfitta storica e alla gloria letteraria. In palio per
Don Chisciotte non c'è la conquista del potere ma il favore di Dulcinea
del Toboso e dei suoi lettori.
(di Marcello Veneziani)
Nessun commento:
Posta un commento