lunedì 4 febbraio 2013

Il premio Nobel alla dittatura del relativismo


Il 10 dicembre 2012 i presidenti, rispettivamente, dell’Unione Europea Herman Van Rompuy, della Commissione europea, José Manuel Barroso e del Parlamento europeo, Martin Schultz, hanno ritirato a Stoccolma il premio Nobel per la Pace assegnato quest’anno all’Unione Europea. L’ assegnazione del premio e le sue motivazioni («L’Ue ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa») hanno un suono beffardo e provocatorio per i cittadini europei. Il Vecchio Continente conosce infatti uno dei momenti più difficili dalla sua storia più recente, proprio a causa delle tensioni sociali e delle violazioni della democrazia e dei diritti umani di cui è responsabile l’Unione.

L’Unione Europea, registra innanzitutto un pesante fallimento economico. L’euro, che avrebbe dovuto portare stabilità e coesione economica all’Europa, è in profonda crisi. Le differenze tra le strutture produttive dei Paesi dell’Unione si sono divaricate, con un trasferimento di ricchezza dal sud al nord dell’Eurozona. Mentre la Germania ha assunto la guida della locomotiva europea, i vagoni della Grecia, della Spagna, e dell’Italia, hanno iniziato a deragliare dai binari. Intanto la Banca Centrale Europea, che non è solo un organismo monetario ma è la vera cabina di regia politica, innalza a Francoforte il suo tempio: un colossale grattacielo che sorgerà nell’area dei vecchi mercati generali di Francoforte, e costerà la bellezza di 1,2 miliardi di euro, caricati sul debito dei 28 paesi della UE. E ciò proprio mentre il presidente della BCE e i suoi collaboratori fustigano gli Stati membri, invocando austerità e sacrifici per tutti.

Tra i leader dell’Unione Europea il più docile agli ordini della BCE è Mario Monti, designato al governo dell’Italia nel novembre 2012, senza investitura popolare, per designazione congiunta dei vertici europei e del presidente della Repubblica Napolitano. Ma, dopo un anno di governo, la ricetta di Mario Monti, per “salvare l’Italia” mantenendola nell’euro, si è rivelata disastrosa. L’aumento senza precedenti della pressione fiscale ha prodotto la crescita della disoccupazione, il crollo dei consumi e della produzione industriale, l’aumento dell’inflazione, e del debito pubblico. Eppure avrebbe dovuto bastare l’esempio della Spagna, dove le misure imposte della BCE hanno creato uno stato di gravissima depressione, con un tasso di disoccupazione complessivo che sfiora il 25%, e un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 50%.

La prova del fallimento economico della Unione Europea è però dimostrata soprattutto dall’aumento, negli ultimi cinque anni, di oltre il 25% del debito pubblico della eurozona, mentre l’obiettivo della moneta unica era proprio quello di assicurare all’Europa una maggiore solidità economica, attraverso una significativa riduzione del debito pubblico.

Altrettanto evidente risulta il fallimento politico dell’Unione Europea. L’ambizioso obiettivo era, in questo caso, quello di giungere ad una politica estera comune a tutti gli Stati membri, in modo che l’Europa si presentasse di fronte agli Stati Uniti, alla Cina e alle altre potenze emergenti, come un soggetto forte e coeso sulla scena internazionale. Oggi il fallimento della politica estera della UE è addirittura oggetto di tesi di laurea e rischia di essere pesantemente aggravato dal minacciato ingresso della Turchia musulmana tra gli Stati membri.

Nello spazio di venti anni, dai Balcani, al Medio Oriente, dalla crisi irakena a quella libica, l’Unione Europea ha conosciuto una profonda divergenza al suo interno e una sostanziale incapacità di assumere una leadership sul piano internazionale. Quando si è manifestata una certa convergenza di giudizi, come nel caso della “primavera araba”, si è aperta la strada al più sconsiderato autolesionismo.

Ma, ancora più clamoroso di quello economico e politico, è il fallimento nella difesa della democrazia e dei diritti umani, un campo in cui l’Unione Europea sta raggiungendo traguardi devastanti, esattamente opposti a quelli per i quali ha ricevuto il Nobel. Il primo dei diritti umani è infatti il diritto alla vita, che oggi è sistematicamente violato dalle legislazioni abortiste di tutti i Paesi europei. L’UE non solo non ha mai levato la sua voce contro la strage degli innocenti, peggiore di qualsiasi genocidio del XX secolo, ma esercita una intollerabile pressione giuridica e morale nei confronti di quegli Stati che resistono all’introduzione dell’omicidio di massa, o tentano una inversione di marcia.

Paesi come l’Irlanda, la Polonia e Malta, dove l’aborto è limitato da alcune restrizioni, sono accusati di non allinearsi agli standard anti-etici dell’Unione europea. E se qualche uomo politico, come il premier spagnolo Rajoi annuncia timidamente la possibilità di modificare la legge-simbolo dell’era Zapatero – ovvero il diritto all’aborto entro la quattordicesima settimana, anche per le sedicenni, senza necessità di informare i genitori – rischia di fare la fine di Viktor Orban, accusato di aver impresso una «svolta autoritaria» al suo Paese, per aver fatto approvare una nuova costituzione in cui si afferma, tra l’altro, che «l’Ungheria proteggerà l’istituzione del matrimonio inteso come l’unione coniugale di un uomo e di una donna», e che «la vita del feto sarà protetta dal momento del concepimento».

In ossequio al diktat, Pier Luigi Battista sul “Corriere della Sera” del 18 gennaio, minaccia:  «se si perpetua la logica dei “valori non negoziabili” e dell’oltranzismo ideologico  non si arriva a nulla. O si continua all’infinito nel vaniloquio». Lucio Romano, vicepresidente nazionale del Movimento per la Vita dal 2003 al 2012 e ora presidente nazionale dell’associazione “Scienza e Vita”, raccoglie l’ammonimento dichiarando, il 21 gennaio allo stesso giornale, che temi come l’aborto e la contraccezione sono «argomenti che non possono essere trattati in termini di integralismo e di interpretazione ideologizzata». Romano è uno degli uomini di punta della lista di Monti in Campania, alle prossime elezioni, e assicura di non voler «ingaggiare battaglie», ma di cercare condivisione «per proporre iniziative politiche credibili e affidabili».

Ma tutto questo non basta. Le lobby europeiste lavorano perché sia introdotta la proibizione dell’obiezione di coscienza per medici e infermieri in tema di aborto e perché sia esteso a tutti gli Stati il reato di omofobia nei confronti di chiunque neghi le unioni “matrimoniali” contro-natura.. Una lobby abortista di Bruxelles, l’EPF (European Parliamentary Forum on Population an Development), legata alla Planned Parenthood americana, ha redatto una lista di 27 “personalità europee anti-choice”, di cui viene monitorata l’attività per colpirle al momento opportuno in maniera “soft” o “hard”, a seconda dei casi. Così, ad esempio, in Italia, Luca Volonté, uno dei 27 “anti-choice”, troppo attivo in difesa della vita al Consiglio d’Europa è stato pretestuosamente eliminato dalla lista elettorale UDC-Monti, mentre in Francia  si minaccia, l’interdizione dell’associazione Civitas, presieduta da Alain Escada, un altro dei 27 “anti-choice”, colpevole di aver promosso manifestazioni contro il matrimonio omosessuale e la cristianofobia.

Misure simili minacciano i siti web cattolici troppo polemici, mentre dilagano sul web quelli dove bestemmiatori di ogni risma vomitano le loro blasfemie senza che nessuno pensi minimamente alla possibilità di oscurarli. Chi può dirsi tranquillo? Ed è legittimo chiedersi: ma il premio Nobel attribuito alla Unione Europea, che tanto piace a Mario Monti, costituisce un riconoscimento ai valori democratici o alla dittatura del relativismo promossa dalla tecnocrazia di Bruxelles?

(di Roberto de Mattei)

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