Quando Bersani ha annunciato lo scouting per
traghettare i parlamentari grillini a sostenere la sinistra, aveva un
precedente illustre. Un altro leader della sinistra, Togliatti, aveva
teorizzato e compiuto la stessa strategia nei confronti dei fascisti.
Non sto parlando del cosìddetto entrismo,
ovvero la strategia di infiltrarsi nelle organizzazioni fasciste, né
del suo appello ai fratelli in camicia nera del '36 e poi del ruolo
avuto da Togliatti nell'estate del '39 per conto del Comintern per
convincere i compagni francesi e italiani sulla validità del Patto
Molotov-Ribbentrop tra Hitler e Stalin. Parlo della giovane repubblica
italiana, la democrazia antifascista, anche se le linee di quella
strategia erano già state tracciate da Togliatti al tempo del fascismo.
Ho tra le mani una sorprendente testimonianza di Lando Dell'Amico,
personaggio strano, «spione» e avventuriero del giornalismo e delle
idee. Di lui me ne parlò la prima volta Enrico Landolfi, socialista
venuto dalla sinistra neofascista, poi convertito al Psi e infine a
Bertinotti. Di Dell'Amico nel suo ruolo di cerniera tra comunisti e
neofascisti ne parlai pure con Giano Accame e perfino, una volta con
Augusto del Noce.
Ma di lui e del suo ruolo di traghettatore tra il Msi e il Pci ne
hanno scritto anche personaggi importanti del Pci, come Ugo Pecchioli ed
Emanuele Macaluso, storici come Paolo Buchignani in Fascisti rossi e
giornalisti come Piergiorgio Murgia in Ritorneremo, più vari autori che
si sono occupati di spionaggio, da De Lutiis a Gianni Cipriani.
Dell'Amico ebbe una precoce esperienza nella Repubblica sociale e nel
dopoguerra fu caporedattore di un giornale di frontiera tra il rosso e
il nero, Il pensiero nazionale, diretto da Stanis Ruinas. Il giornale di
sinistra fascista, scrive Dell'Amico, fu finanziato dal Pci.
Scavalcando Ruinas, idealista refrattario, Dell'Amico era stato chiamato
alle Botteghe Oscure - racconta ne La leggenda del giornalista-spia,
che esce ora da Koiné (pp.375, E.18) - da Giancarlo Pajetta,
responsabile di stampa e propaganda del Pci, con l'imprimatur di
Togliatti- per «una capillare azione di avvicinamento in funzione
antiNato della base giovanile neofascista», e per lavorare a fianco di
due giovani dirigenti comunisti, Ugo Pecchioli ed Enrico Berlinguer, che
poi accuserà Dell'Amico di «fascistizzare il partito». Lo scoutismo di
Bersani allora fu chiamato da Togliatti Operazione Caronte: il «dimonio»
in questione era proprio Dell'Amico che avrebbe dovuto traghettare i
neofascisti all'altra riva comunista. Il linguaggio muta non solo perché
mutano i tempi: Togliatti era uomo di lettere, Bersani uomo di coop.
Dell'Amico, 26 anni, diventò «consulente di Pajetta» per la propaganda
in ambito neofascista. Della sua opera di Caron Dimonio, Dell'Amico
scrisse su Il Mondo di Pannunzio e addirittura su Le Figaro, grazie a
due padrini d'eccezione: Ignazio Silone e Raymond Aron.
Erano gli anni in cui Togliatti apriva ai fascisti e ai sindacalisti
venuti dal fascismo. Dopo aver amnistiato i fascisti da Guardasigilli,
Togliatti fece scrivere Malaparte sull'Unità con lo pseudonimo di Gianni
Strozzi e poi apertamente, fino a mandarlo come inviato in Cina. Di
particolare interesse è il colloquio che Dell'Amico ebbe con Togliatti
alla presenza di Pajetta. È riportato un virgolettato togliattiano
sorprendente, non so quanto attendibile. Togliatti dice che si oppose
all'ossessione persecutoria verso i neofascisti di Mario Berlinguer e
Piero Calamandrei, poi consegna a Dell'Amico un fascicolo che documenta
le sue aperture ai giovani venuti dal fascismo, elogia Mussolini
giornalista, incoraggia il dialogo che Dell'Amico ha avviato tra i
comunisti e il giovane Pino Rauti. Anche Ingrao, venuto dal fascismo e
approdato al Pci, apre ai neofascisti sul settimanale dei giovani
comunisti, Pattuglia. Togliatti rassicura il neofascista Lando: «Stai
tranquillo, con noi si diventa tutti intelligenti». E sulla premiata
ditta Riciclaggi del Pci, Togliatti paragona la sorte di Gentile e Volpe
che non furono mai razzisti, difesero anzi ebrei e antifascisti, e
furono poi, l'uno ammazzato col plauso del Pci e l'altro epurato dalla
cattedra; e Delio Cantimori che era stato a suo dire filonazista,
dissentendo da Gentile che non volle pubblicare le sue voci antisemite
sull'Enciclopedia italiana; ma fu redento dal nazismo e dal razzismo e
salvato da Togliatti per «la sua adesione religiosa al Pci». Peraltro fu
proprio Cantimori, neofita del Pci a censurare le opere di Nietzsche
«protofascista» presso Einaudi... Un allievo di Cantimori fu Renzo de
Felice. Di lui Dell'Amico racconta che fu allontanato dalla Fgci dal
segretario Berlinguer per «gravissima deviazione ideologica» perché in
un articolo censurato dal Pci, accusò Hitler di aver tradito Stalin in
quell'alleanza a suo dire necessaria per sconfiggere «l'America
capitalista e imperialista».
De Felice fu presentato a Dell'Amico da Pecchioli e militò nel suo
movimento giovanile dei partigiani della pace. De Felice, racconta
Dell'Amico, fu arrestato nel '52 per aver lanciato volantini su un
corteo e fu scarcerato poche ore dopo, grazie a lui e a un poliziotto
che poi sarebbe diventato famoso, Federico Umberto D'Amato. Dell'Amico
racconta che molti anni dopo, lo storico ormai affermato si ritrovò a
cena all'Hilton con lui e D'Amato «per una rimpatriata e per un sia pur
tardivo ringraziamento». Nel '52 Pajetta aveva emanato una circolare
riservata alle federazioni per conquistare al Pci «la gioventù
monarchica e fascista». Nel frattempo Dell'Amico si era infiltrato nel
Msi. Almirante, con cui ebbe poi un aspro carteggio, lo nominò primo
segretario del raggruppamento studenti e lavoratori. Poi Dell'Amico
ruppe col Pci, pubblicò Il mestiere di comunista, e vagò tra
giornalismo, servizi segreti, partiti e poteri. Nel suo
libro-confessione racconta i suoi rapporti con Enrico Mattei e i
petrolieri, con Fanfani in funzione anti-Pacciardi, con Saragat e De
Lorenzo, i golpe e le stragi, l'Intelligence e Gelli, il ruolo della sua
agenzia di stampa Repubblica. Un personaggio che ha attraverso la
storia della repubblica italiana, i suoi retroscena e le sue fogne.
Pubblicando ora con la prefazione di suo figlio Ugo questo
libro-documento, in cui non mancano inesattezze, Dell'Amico cerca un
filo conduttore al suo ruolo di Caron Dimonio nel suo lungo viaggio
attraverso il neofascismo, il comunismo, la socialdemocrazia, i petroli,
i poteri e i misteri della repubblica italiana. E ci offre uno spaccato
delle viscere italiane, dove il cibo dell'ideologia in parte nutriva la
politica, in parte finiva negli escrementi della storia.
(di Marcello Veneziani)
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