lunedì 4 marzo 2013

Malgieri: ricominceremo un cammino momentaneamente interrotto


In questa tornata elettorale, non figuri nelle liste del «Pdl». Ritieni anche tu, come tanti altri esponenti di ex «An», di essere stato macellato in via dell’Umiltà dove, tra gli altri, erano di casa i tuoi vecchi amici di cordata, Altero Matteoli e Maurizio Gasparri?

«Mi sono salvato dalla rottamazione soltanto perché cinque anni fa, all’apertura della campagna elettorale, annunciai che questa sarebbe stata la mia ultima legislatura. Un po’ per stanchezza, ma ancor di più perché prevedevo la deriva del PdL, partito improvvisato e sostanzialmente monarchico, nel quale la destra avrebbe avuto sempre minore spazio e peso. Non era e non è stato il mio partito anche se, lealmente credo, mi sono comportato nei confronti del gruppo parlamentare al quale ho aderito con correttezza, tanto da segnalare esplicitamente i miei tanti voti in dissenso. In questi ultimi anni ho fatto presente più volte la necessità di prendere atto del fallimento del partito unico berlusconiano, nato in maniera rocambolesca a dir poco, e tornare all’idea di una federazione di soggetti autonomi ma legati da uno stesso progetto. Non sono stato ascoltato.

E così la destra si è dissolta. Matteoli e Gasparri, penso che abbiano creduto in buona fede alla possibilità di trasformazione del PdL, non rendendosi conto, e me ne rammarico, che avendo Berlusconi una visione proprietaria della politica non avrebbe lasciato spazio al dissenso, alla discussione, al confronto ed alla progettualità politica. Ho creduto profondamente, prima di tanti altri, scrivendone e discutendone, nel partito unico come punto d’approdo di un bipolarismo maturo. Ma la strada per arrivarci doveva essere diversa. Era innanzitutto necessario verificare le affinità culturali tra soggetti che concorrevano a formarlo, elaborare una nuova identità senza buttare a mare quelle idee nelle quali ci si era riconosciuto. Insomma, un’operazione di aggregazione e non di annessione come è stato. Perciò il PdL è fallito e la destra con esso ed in esso è sparita, si è annullata».

Se hai avuto sentore della tua esclusione, come mai non hai aderito a «Fratelli d’Italia» o a «La Destra», dove specialmente nella prima hanno trovato ospitalità tanti ex «camerati»? Sia Ignazio La Russa, sia Francesco Storace, hanno affermato che la loro è la nuova casa della destra, dopo la liquefazione di Alleanza Nazionale. Condividi questa loro opinione?

«Precisato che non sono stato escluso e che per cinque anni ho esercitato, soprattutto scrivendone sui giornali, il mio diritto di critica nei confronti del declinante berlusconismo, che Fini non ha saputo cogliere nella sua complessità e capitalizzarne la crisi per rinnovare la destra piuttosto che allontanarsi da essa, nessun altro micro-movimento mi ha mai interpellato. E se fosse accaduto avrei declinato cortesemente l’invito, non soltanto dal punto di vista dell’impegno elettorale che non mi interessa più avendo già trascorso troppi anni in Parlamento, ma soprattutto perché non vedo prospettive nelle formazioni improvvisate come “Fratelli d’Italia” la cui incongruenza, lasciamelo dire, è abnorme.

Ma come, prendono le distanze da Berlusconi, ne criticano gli atteggiamenti politici, gli imputano il sabotaggio delle primarie e del rinnovamento, gli si scagliano contro sulla questione del voto utile e poi si riconoscono nella coalizione da lui capeggiata? E per di più si devono sorbire gli appelli del Cavaliere in favore del voto utile che per lui sarebbe al PdL o al Pd. Valli a capire. “La Destra” segue dinamiche che non ho ben compreso, pur stimando la battaglia in favore della sovranità.

Va dato atto a Storace di essere stato coerente nel corso della sua traversata del deserto. Quanto alle dinamiche cui mi riferisco, resta da capire il grado di intensità di “destrismo” che anima le diverse componenti. Se si riuscirà un giorno ad uscire dalla logica delle sommatorie e ad organizzare una vera discussione politica sulla costruzione di un movimento unitario, abbandonando idiosincrasie e diffidenze sedimentatesi purtroppo per responsabilità del correntismo che ha fatto cortocircuitare la destra italiana, credo che si potrà dare vita ad un soggetto che definire di destra è limitativo. Lo definirei piuttosto “conservatore sociale”, fondato sui princìpi della centralità della persona, della ricostruzione della comunità nazionale, dello Stato. Gli elementi dovrebbero essere quelli della sussidiarietà concretizzata in una Big Society, dell’autorità, della libertà, della difesa delle culture e delle identità, della costruzione di un’Europa dei popoli, delle nazioni, degli Stati. La differenza come discrimine, l’antiegualitarismo come presupposto per il riconoscimento della meritocrazia e strumento per agire contro il conformismo, l’omologazione culturale, il pensiero unico, il comunitarismo quale obiettivo morale a sostegno della coesione nazionale. E su tutto, la riconquista ragione della sovranità, presupposto per l’indipendenza, l’autonomia, l’auto determinazione dei popoli».

A tuo parere perché Silvio Berlusconi ha operato, nei confronti degli ex «An», una «pulizia etnica», così come è stata definita dalla stragrande maggioranza dei commentatori politici? Numerosi parlamentari uscenti ex «An», infatti, hanno occupato infelici posizioni nelle liste. Giorgia Meloni, ex ministro del governo Berlusconi, ha detto di non provare alcun pentimento per la sua uscita dal «Pdl» e per avere costituito «Fratelli d’Italia». Infatti, nonostante l’esclusione di alcuni cosiddetti impresentabili a Camera e Senato hanno ugualmente trovato posto altri impresentabili.

«Non mi soffermerei sui nomi. Sono garantista fino alla prova del contrario. E non mi interessa appellare in alcuna maniera persone discusse e discutibili. Berlusconi ed i suoi oligarchi hanno scientificamente asfaltato la destra perché non più funzionale ai loro progetti. Numerosi parlamentari onesti, preparati, leali, brillanti non hanno trovato posto in lista per fare spazio ad altri fedelissimi del Cavaliere. Nessuno li ha difesi. Non ho ben capito che cosa hanno ottenuto alcuni degli ex colonnelli di An rimasti nel Pdl: mi sembra molto poco. L’operazione “Fratelli d’Italia” è frutto di un accordo parziale, peraltro a tempo abbondantemente scaduto, a tutela presunta di un gruppo di amici legati da vincoli correntizi, più l’inserimento di Crosetto e Cossiga. Stimabilissime persone, ma che non credo siano portatori di istanze compatibili con quelle della Meloni, per esempio. Tutto comunque ci può stare purché abbia un progetto. Auguro pertanto ai promotori di tenere vive le idee della destra anche se mi risulta difficile comprendere le differenze da Storace e da quanti sono rimasti nel Pdl. Mi chiedo poi per quale motivo La Russa non abbia spaziato tra le diverse componenti di An per ottenere un maggior seguito sia elettorale che politico? L’operazione mi appare francamente confusa. Poteva essere una buona occasione se si fosse concretizzata per tempo e fuori dall’area di influenza berlusconiana che oggettivamente la penalizza. Un polo di destra, per esempio, pure limitato al tempo elettorale, non sarebbe stato inutile. Avrebbe attratto molti delusi e forse una buona percentuale l’avrebbe ottenuta. Temo che la lista Meloni-La Russa si dissolverà dopo le elezioni, sempre che non si muova nella direzione di una ricomposizione...».

Onestamente, il declino della classe dirigente di destra (ex «Msi», ex «An») non può essere imputato a Silvio Berlusconi, a Denis Verdini o a Angelino Alfano. Troppo comodo. Il declino è iniziato nel febbraio 2008, quando è stata decisa improvvidamente la fusione di Alleanza Nazionale con Forza Italia. In quel momento la chiave della casa dei «postfascisti» è stata consegnata nelle mani di Berlusconi. Questa decisione, bada bene, non è stata presa solo da Gianfranco Fini (che si è sempre ritenuto, a torto, di essere più furbo ed intelligente del Cavaliere), ma da tutta la classe dirigente «postfascista», orfana purtroppo di Giuseppe Tatarella, scomparso prematuramente. Anche in questo caso, i vari La Russa (uno dei più entusiasti dell’unione), Maurizio Gasparri, Altero Matteoli, Adolfo Urso, Gianni Alemanno, ritenevano di essere più abili dei dirigenti del «partito di plastica» e, con l’andare del tempo, di dominare all’interno del nuovo soggetto politico.

« Come ho detto c’è stata una sottovalutazione del peso di Berlusconi e una sopravvalutazione da parte dei colonnelli i quali ritenevano, non senza ragione di conquistare il partito dall’interno. Inutile piangere sul latte versato. La verità è che non si è affermata una prospettiva politico-culturale. Il correntismo, male endemico di An, ha messo piombo nelle ali di una destra possibile all’interno di una aggregazione tanto composita quanto fragile. Fini non è stato in grado di animare culturalmente un mondo che improvvisamente si è sentito orfano. Pochi hanno tentato di innestare idee in un corpo ormai moribondo. Paradossalmente, finita la destra, è tramontato anche il sogno berlusconiano di cambiare il Paese che certo non è migliore di vent’anni fa».

È indubbio che nel prossimo Parlamento, mancherà un soggetto unitario di destra. All’esterno, è stata distrutta una comunità politica che era riuscita a sopravvivere anche negli anni di piombo. Quali le prospettive? Può riemergere un soggetto politico che possa definirsi di destra? E quale tipo di destra?

«Ricominciare. Non resta altro da fare. E non con risibili operazioni aritmetiche, ma immaginando un soggetto nuovo che interpreti i valori della destra incistati con quelli della nazione. Un soggetto cui ognuno potrà dare il proprio contributo, ma dimenticando le vecchie e dannose correnti, riscoprendo la dignità di una storia che è stata tragica e nobile nella sua essenzialità. La destra può offrire il suo apporto alla rivoluzione morale e culturale degli italiani che precede il riformismo istituzionale e politico. Sarà inevitabile che si ritrovi, non per testimoniare una sopravvivenza che non serve a nessuno, ma per continuare a nutrire progetti ambiziosi abbastanza da ricreare entusiasmo in chi l’ha perduto. Ci credo fermamente. E, per quanto mi sarà possibile, insieme con tanti amici che vivono questi stessi sentimenti, ricominceremo un cammino che soltanto momentaneamente si è interrotto.

Il tempo, grande scultore, dirà se l’utopia può diventare storia. Nel 1946 se lo chiese una pattuglia di giovani malmessi e disorientati. Ecco, a qualcuno bisogna pure ispirarsi. E non è detto che la modernità sia la vernice indelebile che cancella ogni cosa. I movimenti che hanno un’anima possono eclissarsi per un breve o per un tempo lungo. Ma non muoiono nelle coscienze dei popoli. La “destra diffusa” esiste, non c’è ragione per cui non debba diventare un soggetto politico unitario e riconoscibile».

(fonte: www.totalita.it)

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