A Massimo Fini, giornalista e scrittore “contro”, le ingerenze occidentali in guerre lontane non sono mai piaciute. E, rispondendo alle domande di IntelligoNews, dice chiaro e tondo che non gli piace neanche l’andazzo che sta prendendo la guerra civile siriana, con gli opposti schieramenti foraggiati da forze straniere, che di fatto rischiano di allungare all’infinito un conflitto che sarebbe già finito da tempo.
La soluzione? “In Siria c’è un dittatore, appoggiato da una parte della popolazione, e un’opposizione. Bisognerebbe lasciare che il campo di battaglia dia il suo verdetto. Il più forte vincerà”. Ma forse è troppo tardi…
La situazione siriana somiglia sempre più a quella libica. Vede anche lei qualche analogia?
«Ce ne sono molte. Ma Gheddafi non aveva gli appoggi internazionali che ha Assad. Tutto l’Occidente era schierato contro di lui. In Siria la situazione è diversa perché il regime è difeso dalla Russia e soprattutto da Iran ed Hezbollah».
Anche in Siria, come in Libia, è sempre più evidente il ruolo della Francia, che è molto più interventista degli Usa. A che gioco sta giocando Parigi?
«Credo che voglia ritagliarsi una posizione di nazione militarmente, oltre che economicamente, forte all’interno dell’Unione europea. Gli Stati Uniti in questo caso sono molto più prudenti perché la situazione è complessa. Tra i rivoltosi ci sono anche i jihadisti (non al Qaeda, che non esiste), che hanno in testa la guerra totale al mondo occidentale».
Negli ultimi tempi si era creato uno spazio di potenza regionale anche la Turchia di Erdogan. Le rivolte dei giorni scorsi hanno indebolito questa leadership?
«Certamente. Ma nei disordini turchi noto però un fatto che non risponde alla domanda ma che mi impressiona».
Ci dica…
«La rivolta turca è cominciata perché il governo voleva mettere un centro commerciale e altre stronzate di questo genere in uno dei pochi punti verdi di Istanbul. La ribellione si è poi trasformata in ribellione politica ma è cominciata così. A Milano, che ha pochi spazi verdi quanto Istanbul, fanno lo stesso da anni e l’unica cosa che riusciamo a fare è un ricorso al Tar, cioè un c…»
Sembra dirlo con rammarico…
«In Italia c’è una totale mancanza di vitalità, che altri popoli invece hanno. In Tunisia, in due giorni di ribellione, hanno destituito Ben Ali, che ne combinate meno della nostra classe dirigente. È una questione di vitalità e di vecchiaia. L’età media italiana è di 44 anni, in Tunisia è di 32».
Tornando alla Siria, i media occidentali si è parlato molto di utilizzo di gas e armi chimiche da parte di Assad. È un argomento che ricorda qualcosa…
«Dopo quello che è successo in Iraq, questa storia delle armi chimiche è grottesca. La figuraccia di allora è costata 750mila morti. Un dato frutto di una ricerca di una rivista inglese, che ha calcolato i morti iracheni durante l’epoca Saddam e quelli dall’occupazione americana in poi. Sarebbe bene evitare questo argomento, almeno per pudore.
Gli stessi servizi di intelligence di Usa e Gran Bretagna non hanno alcuna certezza, anche perché le armi chimiche in Siria potrebbero essere usate da Assad come dai ribelli».
Sempre per “merito” degli aiuti stranieri…
«Esatto. E in questo modo salta il principio dell’autodeterminazione dei popoli. In Siria c’è un dittatore, appoggiato da una parte della popolazione, e un’opposizione. Bisognerebbe lasciare che il campo di battaglia dia il suo verdetto. Il più forte vincerà. Invece le altre nazioni si precipitano e non fanno altro che aggravare le cose».
Senza ingerenze internazionali la guerra sarebbe già finita?
«Senza dubbio. Non so con la vittoria di chi, ma sarebbe finita da tempo. Invece si usano le solite argomentazioni umanitarie, l’esportazione della democrazia e altre stronzate del genere e non si fa altro che prolungare il conflitto. L’esempio clamoroso è quello afghano».
Quindi non crede che il conflitto siriano si possa concludere in tempi brevi, in un modo o nell’altro?
«Se Assad riceve le armi dalla Russia e i ribelli dagli europei, il conflitto resta in una situazione di stallo prolungabile all’infinito».
L’Italia, anche in questo caso, sembra contare davvero poco…
«Conta zero e in questo caso non mi dispiace. Non vedo perché dovremmo andare a ficcare il naso in questioni che non ci interessano. Come dicono a Genova: “Ghemu già detu”, abbiamo già dato. Stiamo seguendo gli americani in Afghanistan, in una guerra assurda che stanno perdendo. Li seguiamo nella politica anti-Iran e noi siamo il secondo partner commerciale di Teheran. Avremo anche noi qualche interesse nazionale o lo devono avere solo gli Stati Uniti?»
La soluzione? “In Siria c’è un dittatore, appoggiato da una parte della popolazione, e un’opposizione. Bisognerebbe lasciare che il campo di battaglia dia il suo verdetto. Il più forte vincerà”. Ma forse è troppo tardi…
La situazione siriana somiglia sempre più a quella libica. Vede anche lei qualche analogia?
«Ce ne sono molte. Ma Gheddafi non aveva gli appoggi internazionali che ha Assad. Tutto l’Occidente era schierato contro di lui. In Siria la situazione è diversa perché il regime è difeso dalla Russia e soprattutto da Iran ed Hezbollah».
Anche in Siria, come in Libia, è sempre più evidente il ruolo della Francia, che è molto più interventista degli Usa. A che gioco sta giocando Parigi?
«Credo che voglia ritagliarsi una posizione di nazione militarmente, oltre che economicamente, forte all’interno dell’Unione europea. Gli Stati Uniti in questo caso sono molto più prudenti perché la situazione è complessa. Tra i rivoltosi ci sono anche i jihadisti (non al Qaeda, che non esiste), che hanno in testa la guerra totale al mondo occidentale».
Negli ultimi tempi si era creato uno spazio di potenza regionale anche la Turchia di Erdogan. Le rivolte dei giorni scorsi hanno indebolito questa leadership?
«Certamente. Ma nei disordini turchi noto però un fatto che non risponde alla domanda ma che mi impressiona».
Ci dica…
«La rivolta turca è cominciata perché il governo voleva mettere un centro commerciale e altre stronzate di questo genere in uno dei pochi punti verdi di Istanbul. La ribellione si è poi trasformata in ribellione politica ma è cominciata così. A Milano, che ha pochi spazi verdi quanto Istanbul, fanno lo stesso da anni e l’unica cosa che riusciamo a fare è un ricorso al Tar, cioè un c…»
Sembra dirlo con rammarico…
«In Italia c’è una totale mancanza di vitalità, che altri popoli invece hanno. In Tunisia, in due giorni di ribellione, hanno destituito Ben Ali, che ne combinate meno della nostra classe dirigente. È una questione di vitalità e di vecchiaia. L’età media italiana è di 44 anni, in Tunisia è di 32».
Tornando alla Siria, i media occidentali si è parlato molto di utilizzo di gas e armi chimiche da parte di Assad. È un argomento che ricorda qualcosa…
«Dopo quello che è successo in Iraq, questa storia delle armi chimiche è grottesca. La figuraccia di allora è costata 750mila morti. Un dato frutto di una ricerca di una rivista inglese, che ha calcolato i morti iracheni durante l’epoca Saddam e quelli dall’occupazione americana in poi. Sarebbe bene evitare questo argomento, almeno per pudore.
Gli stessi servizi di intelligence di Usa e Gran Bretagna non hanno alcuna certezza, anche perché le armi chimiche in Siria potrebbero essere usate da Assad come dai ribelli».
Sempre per “merito” degli aiuti stranieri…
«Esatto. E in questo modo salta il principio dell’autodeterminazione dei popoli. In Siria c’è un dittatore, appoggiato da una parte della popolazione, e un’opposizione. Bisognerebbe lasciare che il campo di battaglia dia il suo verdetto. Il più forte vincerà. Invece le altre nazioni si precipitano e non fanno altro che aggravare le cose».
Senza ingerenze internazionali la guerra sarebbe già finita?
«Senza dubbio. Non so con la vittoria di chi, ma sarebbe finita da tempo. Invece si usano le solite argomentazioni umanitarie, l’esportazione della democrazia e altre stronzate del genere e non si fa altro che prolungare il conflitto. L’esempio clamoroso è quello afghano».
Quindi non crede che il conflitto siriano si possa concludere in tempi brevi, in un modo o nell’altro?
«Se Assad riceve le armi dalla Russia e i ribelli dagli europei, il conflitto resta in una situazione di stallo prolungabile all’infinito».
L’Italia, anche in questo caso, sembra contare davvero poco…
«Conta zero e in questo caso non mi dispiace. Non vedo perché dovremmo andare a ficcare il naso in questioni che non ci interessano. Come dicono a Genova: “Ghemu già detu”, abbiamo già dato. Stiamo seguendo gli americani in Afghanistan, in una guerra assurda che stanno perdendo. Li seguiamo nella politica anti-Iran e noi siamo il secondo partner commerciale di Teheran. Avremo anche noi qualche interesse nazionale o lo devono avere solo gli Stati Uniti?»
(fonte: http://www.intelligonews.it)
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