martedì 11 giugno 2013

La grande fuga dalla politica


La più massiccia astensione elettorale della storia repubblicana registrata nella tornata di ballottaggio ha certificato, al di là di qualsiasi giustificazione che si potrebbe addurre (a cominciare dal "fisiologico calo" al secondo turno che pure abbiamo sentito evocare), la più grave manifestazione di sfiducia nel sistema politico in genere e in chi lo incarna in particolare. Sfiducia immaginabile naturalmente, ma non nelle proporzioni evidenziate da percentuali alle quali non eravamo abituati. Ed essa risulta tanto più grave perché espressa in occasione delle elezioni amministrative: rivela, infatti, soprattutto una "condanna" senza appello da parte dei cittadini di amministratori, uscenti ed entranti, non ritenuti evidentemente all'altezza del compito. 

Se perfino il municipio, luogo di rappresentanza comunitaria per eccellenza, non attrae come un tempo, vuol dire che la disaffezione, l'indifferenza, la delusione hanno fatto breccia nel corpo elettorale non più incline a firmare cambiali in bianco a chi dovrebbe amministrare la loro quotidianità. Il che è tanto più sconcertante se si considera lo stato di degrado di innumerevoli centri urbani la cui gestione viene ritenuta inadatta posto che i lacci e i lacciuoli delle dipendenze economiche dai vari patti di stabilità europei e nazionali impediscono ai Comuni il dispiegamento di provvedimenti adeguati a governare le città. Di questo dato poco si tiene conto, eppure sembra che sia essenziale per quanti si sono tenuti lontani dalle urne consapevoli, magari sbagliando, che chiunque vinca poco o nulla può fare per mutare l'esistente. 

Il dato politico, comunque, è prevalente nel guardare all'astensionismo come a un fattore di decrescita dell'interesse politico. Due settimane fa, davanti a cifre già clamorose, credevamo che si fosse toccato il livello più basso. Ci illudevamo. Quando vota soltanto meno della metà degli aventi diritto (il 48%), è inevitabile concludere che le responsabilità sono tutte del sistema dei partiti nel quale soltanto una minoranza lo riconosce come veicolo per la formazione del consenso. A Roma è andata peggio rispetto alla media nazionale: ha votato il 44% e Ignazio Marino, nuovo sindaco, governerà per volontà di una minoranza di cittadini dovendosi porre problemi di legittimità drammatici, non nel senso del diritto ad esercitare le sue funzioni, ma come rappresentante della Capitale la cui maggioranza numerica, non elettorale (la differenza non è da poco), non lo riconosce. Così come soltanto una minoranza dell'elettorato del centrodestra ha ritenuto di dare fiducia ad Alemanno la cui "caduta" apre una riflessione che non sappiamo dove porterà nel suo schieramento e in particolare in merito alla scomparsa a Roma della destra, come più o meno ovunque in Italia - scomparsa prevista, paventata e analizzata della quale non si è voluto valutare l'impatto da parte di esponenti storici della stessa destra allocati nel Pdl - che testimonia la fine dell'illusione che la "fusione a freddo" tra Alleanza nazionale e Forza Italia avrebbe dischiuso chissà quali vantaggi politici. E invece…

Il rifiuto della politica testimonia che la notte della Repubblica è profonda. Se la classe politica è consapevole di quanto sta avvenendo nel Paese, riformi il sistema, ma senza prendere in giro gli italiani. Non c'è bisogno di Comitati, Commissioni, Saggi. C'è un Parlamento (per quanto di discutibile qualità, vista la sua fonte di nomina e il non eccelso valore di tutti i suoi componenti) che potrebbe lavorare se il contesto fosse diverso. Come si fanno a conciliare le posizioni del Pdl e del Pd, tralasciando gli altri soggetti minori, sulla legge elettorale, la forma di governo e di Stato, la politica economica e sociale, la ridefinizione dei rapporti tra i poteri costituzionali? E ancora. C'è qualcuno disposto a dire con chiarezza che l'Italia sta sprofondando nel baratro dell'immoralità pubblica e privata, dell'irrilevanza culturale, della indifferenza civile? 

Sbaglierebbe chi per miopia o perché ferito nell'orgoglio, si scagliasse contro coloro che hanno deciso di non votare neppure questa volta. Le forze politiche prendano atto, piuttosto, che il sistema è fallito, mentre ombre inquietanti si allungano sulle prospettive di metterne in piedi un altro. Non c'è un clima "costituente" che consenta di essere ottimisti. E questo gli elettori lo hanno percepito testimoniandolo tenendosi lontani dalle urne. È probabile che la notte della Repubblica sia ancora lunga. Speriamo che nel frattempo non affondi anche la democrazia, sempre più fragile, sempre più sotto attacco. 

(di Gennaro Malgieri)

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