La più massiccia astensione elettorale della 
storia repubblicana registrata nella tornata di ballottaggio ha 
certificato, al di là di qualsiasi giustificazione che si potrebbe 
addurre (a cominciare dal "fisiologico calo" al secondo turno che pure 
abbiamo sentito evocare), la più grave manifestazione di sfiducia nel 
sistema politico in genere e in chi lo incarna in particolare. Sfiducia 
immaginabile naturalmente, ma non nelle proporzioni evidenziate da 
percentuali alle quali non eravamo abituati. Ed essa risulta tanto più 
grave perché espressa in occasione delle elezioni amministrative: 
rivela, infatti, soprattutto una "condanna" senza appello da parte dei 
cittadini di amministratori, uscenti ed entranti, non ritenuti 
evidentemente all'altezza del compito. 
Se perfino il municipio, luogo di 
rappresentanza comunitaria per eccellenza, non attrae come un tempo, 
vuol dire che la disaffezione, l'indifferenza, la delusione hanno fatto 
breccia nel corpo elettorale non più incline a firmare cambiali in 
bianco a chi dovrebbe amministrare la loro quotidianità. Il che è tanto 
più sconcertante se si considera lo stato di degrado di innumerevoli 
centri urbani la cui gestione viene ritenuta inadatta posto che i lacci e
 i lacciuoli delle dipendenze economiche dai vari patti di stabilità 
europei e nazionali impediscono ai Comuni il dispiegamento di 
provvedimenti adeguati a governare le città. Di questo dato poco si 
tiene conto, eppure sembra che sia essenziale per quanti si sono tenuti 
lontani dalle urne consapevoli, magari sbagliando, che chiunque vinca 
poco o nulla può fare per mutare l'esistente. 
Il dato politico, comunque, è prevalente nel
 guardare all'astensionismo come a un fattore di decrescita 
dell'interesse politico. Due settimane fa, davanti a cifre già 
clamorose, credevamo che si fosse toccato il livello più basso. Ci 
illudevamo. Quando vota soltanto meno della metà degli aventi diritto 
(il 48%), è inevitabile concludere che le responsabilità sono tutte del 
sistema dei partiti nel quale soltanto una minoranza lo riconosce come 
veicolo per la formazione del consenso. A Roma è andata peggio rispetto 
alla media nazionale: ha votato il 44% e Ignazio Marino, nuovo sindaco, 
governerà per volontà di una minoranza di cittadini dovendosi porre 
problemi di legittimità drammatici, non nel senso del diritto ad 
esercitare le sue funzioni, ma come rappresentante della Capitale la cui
 maggioranza numerica, non elettorale (la differenza non è da poco), non
 lo riconosce. Così come soltanto una minoranza dell'elettorato del 
centrodestra ha ritenuto di dare fiducia ad Alemanno la cui "caduta" 
apre una riflessione che non sappiamo dove porterà nel suo schieramento e
 in particolare in merito alla scomparsa a Roma della destra, come più o
 meno ovunque in Italia - scomparsa prevista, paventata e analizzata 
della quale non si è voluto valutare l'impatto da parte di esponenti 
storici della stessa destra allocati nel Pdl - che testimonia la fine 
dell'illusione che la "fusione a freddo" tra Alleanza nazionale e Forza 
Italia avrebbe dischiuso chissà quali vantaggi politici. E invece…
Il rifiuto della politica testimonia che la 
notte della Repubblica è profonda. Se la classe politica è consapevole 
di quanto sta avvenendo nel Paese, riformi il sistema, ma senza prendere
 in giro gli italiani. Non c'è bisogno di Comitati, Commissioni, Saggi. 
C'è un Parlamento (per quanto di discutibile qualità, vista la sua fonte
 di nomina e il non eccelso valore di tutti i suoi componenti) che 
potrebbe lavorare se il contesto fosse diverso. Come si fanno a 
conciliare le posizioni del Pdl e del Pd, tralasciando gli altri 
soggetti minori, sulla legge elettorale, la forma di governo e di Stato,
 la politica economica e sociale, la ridefinizione dei rapporti tra i 
poteri costituzionali? E ancora. C'è qualcuno disposto a dire con 
chiarezza che l'Italia sta sprofondando nel baratro dell'immoralità 
pubblica e privata, dell'irrilevanza culturale, della indifferenza 
civile? 
Sbaglierebbe chi per miopia o perché ferito 
nell'orgoglio, si scagliasse contro coloro che hanno deciso di non 
votare neppure questa volta. Le forze politiche prendano atto, 
piuttosto, che il sistema è fallito, mentre ombre inquietanti si 
allungano sulle prospettive di metterne in piedi un altro. Non c'è un 
clima "costituente" che consenta di essere ottimisti. E questo gli 
elettori lo hanno percepito testimoniandolo tenendosi lontani dalle 
urne. È probabile che la notte della Repubblica sia ancora lunga. 
Speriamo che nel frattempo non affondi anche la democrazia, sempre più 
fragile, sempre più sotto attacco. 
(di Gennaro Malgieri) 
 

 
Nessun commento:
Posta un commento