Roma E cinque, più precisamente nove, ma fate pure undici. Ieri Nichi Vendola ha annunciato formalmente il suo distacco da Rifondazione comunista, e la nascita di una nuova formazione, Rps, Rifondazione per la sinistra. Così i partiti comunisti nel nostro Paese, quelli più noti che son stati in Parlamento e aspirano a tornare almeno a Strasburgo in primavera, salgono a cinque. Ma in realtà nove, contando i meno noti di tradizione trotskista o maoista, che han comunque presentato il loro simbolo, con tanto di falce e martello, alle elezioni dell’anno scorso. E aggiungendo al conto anche quelli che tengono l’ideale nel cuore ma stanno ugualmente all’estrema sinistra, Sole che ride e Sinistra democratica, eccoci a undici.
Tombola! E ci son poi postcomunisti come Veltroni e D’Alema che ironizzano su Berlusconi perché «vede ancora comunisti dappertutto» e fa «propaganda archeologica». Ma vi sembra un Paese normale, radicato in Europa e nell’Occidente, quello dove i partiti comunisti fioriscono e si moltiplicano, invece di scomparire? Nemmeno in Africa e in America Latina, come nel Belpaese. C’è un posto al mondo - oltre Cina, Cuba e Corea del Nord ove son ben saldati al potere e ai privilegi - dove dirsi o esser stati comunisti sia un vanto e un merito? In ogni altro Paese civile e democratico il comunismo «realizzato» è colpa e vergogna, nessuno si sognerebbe di giustificare le stragi compiute da Lenin, da Trotsky, da Stalin e pure da Breznev.
Ma quanto siamo fighi e intelligenti, noi italiani. Abbiamo il Partito della Rifondazione comunista guidato da Paolo Ferrero, dal quale si stacca ora con l’ennesima scissione la Rifondazione del governatore pugliese. Poi il Partito dei comunisti italiani di Oliviero Diliberto. Quindi il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, che ha avuto par condicio nelle tribune elettorali pur rimanendo escluso, come gli altri compagni più «grandi» in verità, dal Parlamento. Non avrete dimenticato Sinistra critica, ecologista, comunista, femminista di Flavia D’Angeli, quel peperino che dava lezioni anche a Porta a porta. I più attenti alle vicende globali della sinistra infine, conoscono bene Iniziativa comunista di Norberto Natali, costola rifondarola anch’egli, implicato con le nuove Br e poi prosciolto totalmente. Così il Partito comunista italiano marxista-leninista diretto da Domenico Savio, che contende l’eredità maoista alla Lista comunista per il blocco popolare di Pietro Vangeli. Infine il Partito di alternativa comunista, con la gobba della falce a sinistra come si conviene ai buoni trotskisti, affiliato alla Quarta Internazionale, Fabiana Stefanoni leader. Tutti regolarmente registrati al Viminale per le scorse elezioni.
A questo totale di otto, ora aggiunge lievito Vendola, che ieri a Chianciano - dove Ferrero lo aveva sconfitto nella corsa alla segreteria - ha formalizzato lo strappo. In prima fila ad applaudirlo c’erano ovviamente Franco Giordano e Gennaro Migliore. Nel logo del nuovo partito rifondarolo non c’è per ora la falce e martello, ma la stella rossa sì. Vendola dice che questo addio «non è un partire indolore», ma insiste spiegando che il Prc, nel congresso vinto da Ferrero «è precipitato in un buco nero». Ferrero, da Milano ha invitato «i compagni e le compagne riuniti a Chianciano a ripensare all’ipotesi di una scissione», ma Vendola ha seccamente risposto che «la scissione c’è già stata, nei fatti». O non è un susseguirsi di scissioni l’intera storia della sinistra italiana, anche quella riformista e democratica?
Amen, è andata così. Ben arrivato anche il nuovo partito comunista, che si presenterà alle elezioni europee strappando almeno un paio di eurodeputati. Voi, se volete ironizzare, pensate invece a Bertinotti, il compañero Fausto, padre nobile di tutti i rifondaroli, che inascoltato dai suoi epigoni va invece ripetendo - anche ieri sull’Unità - come «in Italia la sinistra non esiste più», e ammonisce i compagni: «Si può essere morti, senza saperlo». Ma è davvero un paradosso e un’assurdità, contare - e mantenere - undici partiti di estrema sinistra di cui ben nove dichiaratamente «comunisti»? A ben pensarci, mica tanto. Almeno per l’unico Paese al mondo dove i postcomunisti sono riusciti ad andare al governo dopo la caduta del Muro di Berlino. E dove un postcomunista che aveva benedetto i carrarmati sovietici a Budapest è diventato presidente della Repubblica. Dei lontani «fatti d’Ungheria» - avete notato che li chiamano ancora così, «fatti»? - Giorgio Napolitano s’è pentito facendo ampia ammenda, direte. Sì, ma della sua accanita battaglia contro l’installazione dei missili a Comiso, che è molto più recente, ha per caso fatto ammenda? Dunque tenetevi anche la pletora di partiti comunisti.
Tombola! E ci son poi postcomunisti come Veltroni e D’Alema che ironizzano su Berlusconi perché «vede ancora comunisti dappertutto» e fa «propaganda archeologica». Ma vi sembra un Paese normale, radicato in Europa e nell’Occidente, quello dove i partiti comunisti fioriscono e si moltiplicano, invece di scomparire? Nemmeno in Africa e in America Latina, come nel Belpaese. C’è un posto al mondo - oltre Cina, Cuba e Corea del Nord ove son ben saldati al potere e ai privilegi - dove dirsi o esser stati comunisti sia un vanto e un merito? In ogni altro Paese civile e democratico il comunismo «realizzato» è colpa e vergogna, nessuno si sognerebbe di giustificare le stragi compiute da Lenin, da Trotsky, da Stalin e pure da Breznev.
Ma quanto siamo fighi e intelligenti, noi italiani. Abbiamo il Partito della Rifondazione comunista guidato da Paolo Ferrero, dal quale si stacca ora con l’ennesima scissione la Rifondazione del governatore pugliese. Poi il Partito dei comunisti italiani di Oliviero Diliberto. Quindi il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, che ha avuto par condicio nelle tribune elettorali pur rimanendo escluso, come gli altri compagni più «grandi» in verità, dal Parlamento. Non avrete dimenticato Sinistra critica, ecologista, comunista, femminista di Flavia D’Angeli, quel peperino che dava lezioni anche a Porta a porta. I più attenti alle vicende globali della sinistra infine, conoscono bene Iniziativa comunista di Norberto Natali, costola rifondarola anch’egli, implicato con le nuove Br e poi prosciolto totalmente. Così il Partito comunista italiano marxista-leninista diretto da Domenico Savio, che contende l’eredità maoista alla Lista comunista per il blocco popolare di Pietro Vangeli. Infine il Partito di alternativa comunista, con la gobba della falce a sinistra come si conviene ai buoni trotskisti, affiliato alla Quarta Internazionale, Fabiana Stefanoni leader. Tutti regolarmente registrati al Viminale per le scorse elezioni.
A questo totale di otto, ora aggiunge lievito Vendola, che ieri a Chianciano - dove Ferrero lo aveva sconfitto nella corsa alla segreteria - ha formalizzato lo strappo. In prima fila ad applaudirlo c’erano ovviamente Franco Giordano e Gennaro Migliore. Nel logo del nuovo partito rifondarolo non c’è per ora la falce e martello, ma la stella rossa sì. Vendola dice che questo addio «non è un partire indolore», ma insiste spiegando che il Prc, nel congresso vinto da Ferrero «è precipitato in un buco nero». Ferrero, da Milano ha invitato «i compagni e le compagne riuniti a Chianciano a ripensare all’ipotesi di una scissione», ma Vendola ha seccamente risposto che «la scissione c’è già stata, nei fatti». O non è un susseguirsi di scissioni l’intera storia della sinistra italiana, anche quella riformista e democratica?
Amen, è andata così. Ben arrivato anche il nuovo partito comunista, che si presenterà alle elezioni europee strappando almeno un paio di eurodeputati. Voi, se volete ironizzare, pensate invece a Bertinotti, il compañero Fausto, padre nobile di tutti i rifondaroli, che inascoltato dai suoi epigoni va invece ripetendo - anche ieri sull’Unità - come «in Italia la sinistra non esiste più», e ammonisce i compagni: «Si può essere morti, senza saperlo». Ma è davvero un paradosso e un’assurdità, contare - e mantenere - undici partiti di estrema sinistra di cui ben nove dichiaratamente «comunisti»? A ben pensarci, mica tanto. Almeno per l’unico Paese al mondo dove i postcomunisti sono riusciti ad andare al governo dopo la caduta del Muro di Berlino. E dove un postcomunista che aveva benedetto i carrarmati sovietici a Budapest è diventato presidente della Repubblica. Dei lontani «fatti d’Ungheria» - avete notato che li chiamano ancora così, «fatti»? - Giorgio Napolitano s’è pentito facendo ampia ammenda, direte. Sì, ma della sua accanita battaglia contro l’installazione dei missili a Comiso, che è molto più recente, ha per caso fatto ammenda? Dunque tenetevi anche la pletora di partiti comunisti.
di Gianni Pennacchi (www.ilgiornale.it)
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