FASCISTI e FASCISMO
Ci sono i fascisti e il fascismo; sono termini complementari ma non identici.
I fascisti sono caratterizzati da vitalismo, mistica eroica, anarchismo ma con scelta del Capo, interventismo, solidarismo, trasgressione e disprezzo della vita conforme e comoda.
Il fascismo è fenomeno inclusivo volto a (e mosso da) sintesi.
Al fascismo partecipano i fascisti ma non solo i fascisti. Anche nella scelta dei ministri Mussolini non si limitava ai fascisti. Gli squadristi poi, ovvero i fascisti doc, espressero poche cariche di governo ma rimasero semmai nelle retrovie fungendo, però, da esempio, da pungolo e da deterrente per i politici.
Può esistere un fascismo senza fascisti? Non a lungo.
Possono esistere i fascisti senza il fascismo? Sì.
ORFANI DI MUSSOLINI
Dopo la sconfitta mondiale gli “orfani di Mussolini” hanno fatto opera di testimonianza (a prescindere dalle scelte di campo intese sempre come tattiche). Ma cosa volevano opporre alla democrazia e al comunismo? Da quest'indecisione parte la dicotomia che si fossilizza nelle categorie gentiliani/evoliani; ovvero da un lato abbiamo la concezione di un nuovo pragmatismo idealistico improntato su scelte sociali e nazionali, come la socializzazione, e dall'altro una mistica esistenziale che faceva dei neofascisti (o meglio di una presunta élite di neofascisti) degli uomini differenziati.
La dicotomia è meno secca di quanto ci appaia ex-post, perchè negli anni Sessanta (quando ancora ferveva una reale battaglia politica) troviamo gruppi che esprimono ambo le aspirazioni e che sono espressioni di entrambe queste polarità (Lotta di Popolo per esempio).
ANNI SETTANTA e JULIUS EVOLA
Gli anni Settanta segnano la sconfitta politica di tutte le scelte neofasciste, sia quelle partitiche (la grande destra, spazzata via, ripartirà solo dopo la fine del bipolarismo internazionale), sia quelle golpistiche, sia quelle movimentistiche stroncate, anche, dallo stesso Msi. I fascisti diventano così carne da macello senza alcuna protezione. Assistiamo alla ripetizione tragico/caricaturale della guerra civile e dell'epurazione. In risposta a questa condizone disperata si realizza un ancoraggio o radicamento (da cui il termine radicale) in una cultura mistica di stampo eroico e metafisico. Il vate è Evola. Ma lo stesso Evola è in qualche modo bicipite. Si rifà, difatti, alla Weltanschauung tedesca e in parte alla Mistica italiana e detta così le pagine migliori in opere quali “Cavalcare la tigre” (di sfondo nicciano) e “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo”. Va riconosciuto a Freda il merito di aver colto l'essenziale ne “La dottrina aria di lotta e vittoria” che la Ar pubblicano.
Un anziano “vezzo” aristocratico del Barone e un comprensibilissimo pessimismo storico (s'immagini uno che passa dal frequentare Codreanu, Farinacci e Mussolini a ritrovarsi, paralizzato, in compagnia di Rauti) lo spingono ad allinearsi su concezioni reazionarie della storia che nulla, ma davvero nulla, hanno a che fare con il fascismo e neppure con il nazionalsocialismo. Responsabili di queste sbandate evoliane sono anche i suoi discepoli che gli chiedono un programma per le loro azioni fantasmagoriche. Alle quali, ovviamente, Evola non crede e pertanto si rifugia in un pessimismo politico diametralmente opposto al suo entusiasmo eroico/titanico di genere esistenziale. “Gli uomini e le rovine” attestano perfettamente questa duplicità di piani. “Orientamenti” e “Il fascismo visto da destra” vanno invece nella direzione dell'immobilismo e sono a mio avviso dannosi. Insomma da un lato Evola esprime una “radicalità” esistenziale, filosofica, metafisica, un rilancio eroico-guerriero, dall'altro si ancora ad un pessimismo immobilista di “destra”. La generazione che si radicalizzò su Evola, meritandosi la definizione dr, non sciolse mai queste questioni, si ancorò culturalmente, coscienziosamente e spiritualmente sulla metafisica esistenziale e fu questo che le permise, unica in assoluto, di vincere nella sconfitta. Perché non combatté per vincere ma per rispondere a un richiamo e per vincersi. Vincere se stessi non gli altri!
La “radicalità” non fu solo concettuale se è vero, come è vero, che tutti i principali esponenti delle formazioni di allora vissero sempre e comunque in modo frugale e spartano a differenza degli esponenti delle destre estreme delle generazioni successive. L'impersonalità o almeno la spersonalizzazione nella funzione, l'aderenza ad uno stile di vita unitario, intero, autentico, sono dati ascrivibili agli esponenti di punta di allora e non solo a quelli di punta.
Se la “radicalità” ebbe un valore essenziale e formò spiritualmente e caratterialmente le persone, la chiusura nella “destra” fu assai meno certa e condivisa visto che ci furono non poche tentazioni d'anarca e anche di movimentismo acceso e spregiudicato (si pensi a “La disintegrazione del sistema”). E visto che molte spinte universaliste, anti-imperialsite, terceriste e tanti rinnegamenti della categoria di destra maturano proprio in questo humus.
DOPO GLI ANNI CALDI LA DESTRA BARRICATA
Dopo la fine degli anni di piombo e l'avvento del consociativismo, la questione irrisolta tra gentiliani ed evoliani si ripresenta in forma scaduta; da una parte ci sono quelli che cercano di partecipare ai fenomeni giovanili protestatari di stampo ecologista/neolaburista e dall'altra quelli che si rinchiudono in torri d'avorio. Tuttavia non essendoci guerra è difficile che ci sia metafisca della guerra ed è così che vengono recepiti più gli schemi reazionari e antipolitici di Evola che non quelli esistenziali.
Ciò svuota un mondo e ne riduce l'essenza ad atteggiamento.
Ne approfittano le culture esterne. La parte “pragmatica”, figlia degli individualismi democratizzanti che s'impadronirono in buona parte della linea-hobbit, si appiattisce verso le tesi della sinistra postmarxista o produce immaginari fantasy non immuni da tentazioni new age, la parte “intransigente”, chiusa in un'immobilità determinata anche dalla venuta meno dello scontro e ella sfuda, diviene permeabile agli integralismi reazionari. La destra barricata ha inizio. A differenza della destra radicale, questa è chiusa in un attendismo da “deserto dei tartari” e non cura più la propria formazione e la propria esperienza. Cristalli, concetti sclerotici e dogmi intervengono a imbandierare i fortini nel deserto mentre l'assenza di lotta e la recisione con le generazioni precedenti (quasi tutti morti o prigionieri) fa abbandonare la sfida intesa come realizzazione di sé.
IL MSI AL GOVERNO
La svolta del 1994, con il Msi al governo, segna un ulteriore passo avanti delle sacche estreme verso la destra terminale. Prive da tempo di radicamento, di ancoraggio, di continuità viva, esse si fanno catalizzatrici di ogni scontento di bassa lega, di ogni frustrazione e finiscono con l'imitare in peggio il Msi sia sul piano delle scelte (l'elettoralismo) che dell'assenza di selezione e di verifica.
Esse pensano, erroneamente, di poter catalizzare lo scontento di AN; ma ci sono tre equivoci di fondo che le avviano nel cul de sac.
Il primo equivoco riguarda il presunto tradimento degli elettori missini, un tradimento non vissuto come tale dalla maggioranza di essi.
Il secondo equivoco riguarda la qualità delle guide. Esse sono, solitamente, gli scarti e i trombati di An; alla destra di An non ci si qualifica con un + ma con un – sia come qualità che come capacità.
Il terzo equivoco sta nel materiale con cui si vorrebbe cementare qualcosa; il materiale è argilla. Non c'è nulla di “radicale” in questa destra, c'è molto di “destra” ma l'insieme di rancori, fallimenti, fastidi, acidità, sconforti, ne fanno la pessima copia di An. Una An che, d'altronde, le destre terminali inseguono senza cessa, posizionandosi ogni anno laddove An era posizionata due anni prima.
L'avvento del berlusconismo e la solidificazione della Lega danno il colpo di grazia alle ambizioni della destra terminale e alle sue prospettive.
E la destra terminale si avvita in ambizioni di portafoglio, di rimborso elettorale, in liti di boutique che nessuno di coloro che si formarono con il modello della destra radicale può capire o condividere o può non disprezzare.
LA PARABOLA DELLE DESTRE
Possiamo dire che la parabola dagli anni Sessanta agli anni Zero è stata la seguente:
Destra interventista
Destra radicale
Destra barricata
Destra terminale
FUTUR-ARDITI
Nel frattempo, per fortuna, il mondo si muove. La sclerosi e la mancanza di senso senso della destra terminale da una parte e l'alzata del piano d'intervento delle gerarchie di An (dunque meno coinvolte nel controllo ossessivo dell'apparato) dall'altro, hanno dinamizzato le basi e i quadri e aperto spazi alle relazioni trasversali e ai vasi comunicanti generando le condizioni per un nuovo cambiamento estese a tutti coloro che non hanno voluto aderire al riformismo alleanzino né all'esibizionismo alla sua destra. E' iniziato così a pullulare un insieme eterogeneo di realtà (individui e associazioni) che hanno cercato di rinnovare pescando comunque nel passato (reale però, non imbalsamato).
Le punte di diamante di questo processo sono le avanguardie futur/ardite e non-conformi, le quali, ricollegandosi con il modello fiumano e squadrista, hanno ripreso la mentalità originaria e, con esso, il gene esistenziale.
Non è, questa, una “destra radicale” ma ha una serie di legami con il radicalismo, vuoi per frequentazioni di qualche anziano, vuoi per una cultura ideal/politica.
Un elemento è a mio avviso molto significativo. Esse hanno scelto un modello culturale, esistenziale e comportamentale (lo squadrismo futur/ardito) che è una delle varianti del modello eroico. Lo hanno scelto come archetipo perché sono, comunque “radicali” o megio “radicate”.
Il Mito è quello che differenzia il fascismo dall'anarchismo che si orienta all'Utopia.
Il valore del mito come modello per l'azione su se stessi (nulla a che vedere con la mimesi, l'imitazione, la caricatura) è centrale. Ed è valido nella misura in cui il modello innova, produce una continuità che non sia formale ma essenziale. In cui produca qualcosa di attuale, di nuovo, che sia contemporaneamente antico ed eterno. E su questa linea a mio avviso le avanguardie futur/ardite ci stanno in pieno.
CONCLUSIONI
Per quanto mi concerne non sono mai stato fanatico della definizione “destra radicale”; come ho avuto modo di dire già in Tortuga, se proprio non si può fuoriuscire dalla categoria, ambirei a quella di “destra rivoluzionaria” definita da Zeev Sternhel.
Sono invece incondizionatamente “radicalista” dal punto di vista cultural/etico/esistenziale e penso che ci sia necessità di un ulteriore “radicamento” da parte delle frange propositive e vive.
Diciamo che ci si può benissimo ritrovare a destra ma non si deve assolutamente essere di destra; né come categoria, né come indole, né come mentalità. Lo scopo è un altro. ネ appunto inclusivo, sintetico, trasversale, unitario e trascendente.
Di qui due considerazioni che vanno messe in risalto
LA PRIMA: una distanza siderale passa, mentalmente e comportamentalmente, tra la destra radicale di ieri e la destra terminale di oggi
LA SECONDA: le chances. Esse a mio avviso risiedono nello sposalizio (che spesso c'è) tra tre componenti: la “radicalità” (sul genere evoliano ma anche ricciano, mezzasomiano ecc), l'avanguardismo futur/ardito e una nuova concezione della politica che non credo possa discostarsi molto da quanto ho espresso in “Sorpasso Neuronico”.
Di Gabriele Adinolfi (www.norepoter.org)
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