Il Muro ha due versanti, due punti di osservazione, uno al di qua e l’altro al di là. Un Muro abbattuto dovrebbe al contrario unificare le vedute, sgombrate le macerie. La caduta del Muro di Berlino ha invece generato, al di là del senso comune, due punti di osservazione divergenti.
Quando è crollato è stato possibile affermare due cose opposte: non ci sono più barriere, si va verso la società globale e l’ordine mondiale a una dimensione. Ma si è detto anche il suo contrario: rinasce la Germania, riprendono quota le identità nazionali e territoriali, finiscono i blocchi ideologici e artificiali e risorgono gli Stati nazionali, figli della storia, della lingua, delle tradizioni. La caduta del Muro ha avviato o galvanizzato ambo i processi. Da allora in poi si è parlato di globalizzazione.
In quei giorni pubblicai un libro, Processo all’Occidente, dedicato - come scrivevo nel sottotitolo - alla società globale e i suoi nemici. Che prendeva le mosse proprio dalla caduta del Muro. Negli anni Novanta la parola “globale” diventò ossessiva, e si coniugava sempre alla caduta del Muro e di conseguenza del regime sovietico. Ma da allora in poi si parlò pure di leadership europea della Germania, si parlò di nuovi nazionalismi rinati all’est sulle rovine del comunismo, risorsero le piccole patrie; perfino da noi, il patriottismo locale trovò nella Lega il suo vettore.
Su quell’ambiguità fu fondato il processo di unificazione europea che prese le mosse proprio dalla caduta del Muro. Infatti l’Europa unita conserva alle sue origini due letture opposte: può essere intesa come la dis-integrazione degli Stati nazionali e il gradino verso la società globale e lo Stato mondiale. E può essere intesa all’opposto come Europa delle patrie, come la concepì De Gaulle, ovvero come argine e risposta alla globalizzazione e come rinascita della civiltà europea e della geopolitica.
Dagli Stati Uniti giunsero due teorici a legittimare entrambi i processi. Francis Fukuyama parlò di fine della storia con la caduta del Muro di Berlino e Samuel Hungtinton al contrario vide rinascere, sulla caduta dei due blocchi contrapposti, le differenti civiltà e il loro scontro.
Di quel Muro caduto conservo un’immagine riflessa: quella di Ernst Jünger, il grande scrittore tedesco quasi centenario, grande soldato che aveva vissuto e descritto nei suoi diari il crollo della Germania, che riceve in diretta una telefonata dei suoi pronipoti mentre danzano sulle rovine del Muro. Il suo fiero carattere di antico prussiano non seppe trattenere in quell’occasione una pur composta emozione ed una sofferta euforia perché una tragedia finiva e la linea finalmente era attraversata, per dirla col suo linguaggio di militare e sismografo del nichilismo. Del resto, Jünger aveva scritto Al muro del tempo (uscito in Italia pochi anni dopo l’edificazione del Muro, tradotto da Evola per le edizioni Volpe) in cui mostrava che non solo i muri spaziali ma anche i muri temporali possono essere abbattuti e varcati. In effetti unificandosi, le due Germanie abbatterono anche il muro del tempo, perché il tempo vissuto nella Germania est non ero lo stesso della sorella occidentale.
La Germania Orientale era anacronistica rispetto a quella Occidentale, il comunismo aveva come imbalsamato tracce di Prussia e persino di Terzo Reich, mentre la Germania Ovest si era americanizzata e modernizzata più velocemente. La caduta del Muro di Berlino fu comunque un crollo salutare per l’umanità, a differenza dell’altro crollo di dodici anni dopo, le due torri a New York. Il terzo millennio non è nato su atti di fondazione ma su due distruzioni. Poi ci chiediamo perché prevale la tentazione dissolutiva...
Quando è crollato è stato possibile affermare due cose opposte: non ci sono più barriere, si va verso la società globale e l’ordine mondiale a una dimensione. Ma si è detto anche il suo contrario: rinasce la Germania, riprendono quota le identità nazionali e territoriali, finiscono i blocchi ideologici e artificiali e risorgono gli Stati nazionali, figli della storia, della lingua, delle tradizioni. La caduta del Muro ha avviato o galvanizzato ambo i processi. Da allora in poi si è parlato di globalizzazione.
In quei giorni pubblicai un libro, Processo all’Occidente, dedicato - come scrivevo nel sottotitolo - alla società globale e i suoi nemici. Che prendeva le mosse proprio dalla caduta del Muro. Negli anni Novanta la parola “globale” diventò ossessiva, e si coniugava sempre alla caduta del Muro e di conseguenza del regime sovietico. Ma da allora in poi si parlò pure di leadership europea della Germania, si parlò di nuovi nazionalismi rinati all’est sulle rovine del comunismo, risorsero le piccole patrie; perfino da noi, il patriottismo locale trovò nella Lega il suo vettore.
Su quell’ambiguità fu fondato il processo di unificazione europea che prese le mosse proprio dalla caduta del Muro. Infatti l’Europa unita conserva alle sue origini due letture opposte: può essere intesa come la dis-integrazione degli Stati nazionali e il gradino verso la società globale e lo Stato mondiale. E può essere intesa all’opposto come Europa delle patrie, come la concepì De Gaulle, ovvero come argine e risposta alla globalizzazione e come rinascita della civiltà europea e della geopolitica.
Dagli Stati Uniti giunsero due teorici a legittimare entrambi i processi. Francis Fukuyama parlò di fine della storia con la caduta del Muro di Berlino e Samuel Hungtinton al contrario vide rinascere, sulla caduta dei due blocchi contrapposti, le differenti civiltà e il loro scontro.
Di quel Muro caduto conservo un’immagine riflessa: quella di Ernst Jünger, il grande scrittore tedesco quasi centenario, grande soldato che aveva vissuto e descritto nei suoi diari il crollo della Germania, che riceve in diretta una telefonata dei suoi pronipoti mentre danzano sulle rovine del Muro. Il suo fiero carattere di antico prussiano non seppe trattenere in quell’occasione una pur composta emozione ed una sofferta euforia perché una tragedia finiva e la linea finalmente era attraversata, per dirla col suo linguaggio di militare e sismografo del nichilismo. Del resto, Jünger aveva scritto Al muro del tempo (uscito in Italia pochi anni dopo l’edificazione del Muro, tradotto da Evola per le edizioni Volpe) in cui mostrava che non solo i muri spaziali ma anche i muri temporali possono essere abbattuti e varcati. In effetti unificandosi, le due Germanie abbatterono anche il muro del tempo, perché il tempo vissuto nella Germania est non ero lo stesso della sorella occidentale.
La Germania Orientale era anacronistica rispetto a quella Occidentale, il comunismo aveva come imbalsamato tracce di Prussia e persino di Terzo Reich, mentre la Germania Ovest si era americanizzata e modernizzata più velocemente. La caduta del Muro di Berlino fu comunque un crollo salutare per l’umanità, a differenza dell’altro crollo di dodici anni dopo, le due torri a New York. Il terzo millennio non è nato su atti di fondazione ma su due distruzioni. Poi ci chiediamo perché prevale la tentazione dissolutiva...
(di Marcello Veneziani)
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