giovedì 10 settembre 2009

Il progressista pentito contro la Chiesa sociale


Nulla di più lontano da Jacques Maritain della celebre formula di Augusto Comte: «Tutto è relativo, ecco il solo principio assoluto». Nelle sue opere l’aveva sempre duramente criticata, affermando che la verità è una sola, non si adatta ai tempi e non si può modificare. «Non c’è niente al di sopra della verità”: ecco la sua affermazione netta, non velata da alcun dubbio. Ma adesso, nel 1966, nella atmosfera inquieta del dopo Concilio, si rendeva conto che c’era in giro molta confusione; che, per l’appunto, la verità della dottrina veniva messa in discussione e che proprio alcuni uomini di Chiesa, addirittura teologi insigni come il domenicano Edward Schillebeeckx e il gesuita Karl Rahner, si facevano alfieri di uno sconcertante neo-modernismo.

Bisognava reagire a colpi di buoni argomenti, con determinazione pacata, utilizzando le armi della fede e di una serrata dialettica e, se necessario, facendo ricorso all’ironia. E Maritain lo fece con un libro che suscitò scalpore e che oggi, a 43 anni dalla prima edizione, viene riproposto dal Cerchio: Il contadino della Garonna. Un vecchio laico si interroga sul mondo presente, a cura di Antonio Costa, pp. 256, euro 19).

Tante battaglie

Diciamo subito che l’84enne Maritain, oltre la profondità del pensiero e la forza delle convinzioni, aveva dalla sua uno status intellettuale di prim’ordine e un prestigio che si era andato consolidando negli anni. Insomma, “veniva da lontano” e di battaglie ne aveva fatte tante, soprattutto da quando si era convertito. Evento tutt’altro che indolore, visto che il giovane Jacques, figlio di una “coppia scoppiata” (il padre era un cattolico per tradizione, la madre, protestante, si dichiarava «libera da ogni religione» e «nemica giurata dei preti»), era il classico borghese con pruriti sovversivi.

«Traditore della propria classe» - era lui stesso a definirsi così - viveva per la rivoluzione, sputando allegramente su ogni forma di perbenismo conservatore. Probabilmente in inconsapevole attesa di qualche “incontro” che, per dirla con Borges, fosse anche un “appuntamento”.

E gli incontri vennero: Ernest Psichari, greco di religione ortodossa, filologo e professore alla scuola Hautes Etudes di Parigi; Charles Peguy, uno strano tipo di socialista umanitario “tentato” dal cristianesimo; Raïssa Oumancoff, una giovane immigrata russa di origini ebraiche, sua compagna di studi alla facoltà di Scienze naturali della Sorbona; Leon Bloy, “cattolico belva” e reazionario.

Sarà proprio l’impeto missionario di Bloy a far approdare al cattolicesimo, sottraendola alle suggestioni di Bergson, la coppia Jacques-Raïssa: i due, infatti, giovanissimi, si sono sposati.

Magistero tomista

È il 1905 e da allora, sotto la guida di un valente direttore spirituale, il domenicano P. Humbert Clerissac i due vivranno una forte esperienza di crescita spirituale. All’insegna del magistero tomista che illumina tutto il cammino di Maritain ed è la viva sostanza della sua opera da Antimoderno (1922), dove critica la pretesa del pensiero moderno di ritenersi autosufficiente, a Umanesimo integrale (1936), in cui viene proposta una filosofia e una politica per i tempi nuovi, nemica dell’antropocentrismo, dell’individualismo borghese, dei totalitarismi di destra e di sinistra, e fondata sulla persona (Maritain ha collaborato con Emanuelle Mounier alla fondazione della rivista “Esprit” e guarda con simpatia al movimento “personalista comunitario”) che, nella sua essenza reale, è sempre incarnazione di Cristo, ma non deve sottrarsi all’incontro/scontro con la storia. Proposizioni in odor di eresia? A qualcuno parvero tali: su Umanesimo integrale piovvero strali e l’opera rischiò di essere messa all’Indice.

Intanto, lo “scandaloso” Maritain, che pure ne era stato un simpatizzante, aveva preso le distanze dall’Action Française, accusandola di far della politica un parametro assoluto, dunque di strumentalizzare la religione, e si era espresso con durezza nei confronti di Hitler e della persecuzione antisemita. Tanto che, nel 1940, ricercato dalla polizia nazista, si trasferì con la famiglia negli Usa, dove visse fino al 1960, insegnando nelle Università di Princeton, della Columbia e di Yale.

Nel 1960, morta Raïssa, Maritain rientrò in Francia e si stabilì a Tolosa presso i Piccoli Fratelli di Gesù per una vita di preghiera e di testimonianza cristiana. Ma la testimonianza è milizia e Maritain non si sottrae alla battaglia.

Più che mai quando, nel dopo Concilio, in sintonia con preoccupazioni e amarezze dell’amico Paolo VI (Maritain, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede dal 1944 al 1948, ha incontrato più volte Giovan Battista Montini), si rende conto che il timone della barca di Pietro va raddrizzato contro le ondate violenti del modernismo, del relativismo, del nichilismo. E così scrive Il contadino della Garonna, destinato a stupire chi aveva erroneamente visto in lui una specie di dc di sinistra, un progressista, un pensatore che non si inchinava di fronte alla Tradizione e voleva una Chiesa a misura d’uomo e aperta al sociale. Facendo proprie le parole di Paolo VI, Maritain critica l’umanesimo profano, l’antropocentrismo, l’uomo che pretende di sostituirsi a Dio attraverso tortuose speculazioni filosofiche tese ad annientare la verità della Rivelazione.

Ostile alle ideologie

Non si possono innestare nel tronco cattolico presunte illuminazioni “messianiche” in odore di protestantesimo, non si può adattare ai tempi il Vangelo. Maritain mette in guardia dalle ideologie che contaminano la dottrina e che, negli anni ’60, infettano tanti cristiani: non si è «cristiani per il socialismo», ma per Cristo, per l’Uomo, per la Verità. Forte anche la critica contro il naturalismo che lega l’uomo ai processi dell’evoluzione e contro il sociologismo che subordina la persona al gruppo sociale, il privato al politico, capovolgendo ogni gerarchia di valore e togliendo alla vita quel “significato” che è tensione verso l’Essere e volontà del Bene.

Attenzione, insomma: la Chiesa va verso il mondo, ma non è il mondo. E la Verità non è elaborazione sofisticata di teologi o arruffata costruzione di un “gruppo spontaneo”. Non è l’uomo-Dio, ma il Cristo incarnato. E cioè una continua provocazione antirelativista e antinichilista.

(di Mario Bernardi Guardi)

Nessun commento:

Posta un commento