“E’ l’ennesima prova dei contorcimenti argomentativi di un ambiente che, a forza di costruire pastiche mettendo insieme tutto e il suo contrario, non sa più come reagire a chi gli rinfaccia di non aver saputo costruire né un’identità né un progetto credibile di influenza sulla mentalità collettiva. Fa specie che si lamenti di veder mescolati Céline, Baget Bozzo e Peppino De Filippo proprio chi, da anni, punta a stupire con effetti speciali, e spesso grotteschi, il mondo esterno per apparire simpatico e moderno, appropriandosi di tutto quello che gli capita a portata di mano. Non è stato proprio il trust di cervelli finiano a produrre la mozione dell’ultimo congresso di Alleanza nazionale, dove si dichiarava di riconoscersi in una ‘idealità italiana’ (chissà cosa sarà…) mantenuta viva – cito testualmente – da Guareschi, Longanesi, Flaiano, Calamandrei, Pannunzio, dal cinema di Fellini e Sergio Leone e dalla musica di Battisti, Mogol e Pavarotti? Con l’aggiunta di Enzo Ferrari, Enrico Mattei e qualche altro coscritto, questa era la squadra del ‘Novecento che merita di essere traghettato nel nuovo secolo, a fondamento culturale del nuovo partito che stiamo costruendo’, secondo quello che hanno scritto i farefuturisti. Un po’ di decenza ogni tanto, in questo gioco di piroette, non guasterebbe”.
Il professore fiorentino non fa parte della schiera dei delusi, scontenti o traditi. Ha votato l’ultima volta per il Msi nel 1979 ed è uscito definitivamente dal partito nel 1981. Inoltre, ha dichiarato conclusa, nel 1994, l’esperienza della Nuova Destra, di cui è stato l’indiscusso animatore in Italia. Nonostante ciò continua a essere tirato in ballo ogni volta che in Italia si accende il dibattito sulla destra, politica o culturale che sia. “Che ciò accada, non mi stupisce: mi sono occupato della destra in molti libri e articoli scientifici. E, avendo vissuto quel mondo dall’interno, penso di conoscerne bene idee, attitudini psicologiche e comportamenti. Il problema è come vengo chiamato in causa: rivangando storie stravecchie o attribuendomi paternità di iniziative politico-culturali da cui sono lontano. Per giunta, in questi casi mi si cita ma ci si guarda bene dal chiedermi come davvero la penso…”.
Al congresso di fondazione del Pdl è stato rifiutato l’accredito, per presunti “motivi di sicurezza” ai ricercatori dell’Osservatorio italiano sulle trasformazioni dei partiti, progetto coordinato proprio da Tarchi. “I ragazzi avrebbero dovuto distribuire un questionario. Forse non si voleva far sondare gli umori e le opinioni dei delegati, temendo che dalla ricerca emergessero discrasie fra chi proveniva da An o da Forza Italia. E’ stato un errore, dato che il nostro lavoro è lontano da qualsiasi uso a fini di parte. Non credo che il mio nome dia fastidio al Pdl. Qualcuno certamente non apprezza né la mia distanza da quel partito (e da tutti gli altri presenti nel panorama italiano) né la mia libertà di giudizio critico. Ma poiché, non disponendo di alcuna tribuna massmediale, sono di fatto ridotto al silenzio nel dibattito pubblico, non penso di costituire un problema”.
Lo spazio negato Tarchi cerca di recuperarlo attraverso la pubblicazione di riviste come Diorama letterario e Trasgressioni, dalle cui pagine continua la sua azione “metapolitica”. Il sospetto è che però la circolazione delle sue idee riesca a interessare solo un certo ambiente, che pervicacemente si ostina a ritenerlo, sbagliando, uno dei suoi intellettuali di punta. “Non direi. La maggior parte degli inviti per conferenze e partecipazioni a dibattiti che ricevo proviene da ambienti collocati a sinistra. A dicembre i giovani del Pd mi hanno chiamato a parlare di populismo nella loro scuola nazionale di formazione. Ne è scaturito un confronto franco e approfondito. La mia più recente intervista è comparsa su Gli altri, il settimanale di Piero Sansonetti, ex Prc. Le mie riviste mi consentono di mantenere un proficuo dialogo con uomini di idee che hanno una formazione lontana dalla mia, come Danilo Zolo. I miei libri, in particolare “Contro l’americanismo”, edito da Laterza, a destra sono in genere passati nel più assoluto silenzio. Tuttalpiù mi si cita risalendo ai tempi della Nuova Destra, per far credere che quanto dicevo e scrivevo a quel tempo prefigurasse le odierne posizioni finiane. Mentre è vero il contrario: chiunque può sincerarsene leggendo quel che allora scrivevamo io e i miei amici – anche qualcuno che oggi, per ragioni sue, ha cambiato opinioni e frequentazioni”. Per Tarchi, non si possono ritenere legittimi eredi della ND personaggi come Alessandro Campi, un tempo suo sodale, attualmente direttore scientifico di Farefuturo. “Per una semplice ragione: perché lo stesso Campi, quando faceva parte della Nuova Destra, sosteneva idee lontanissime da quelle che oggi difende. Fatti suoi, e soprattutto buon per lui, ma questo è un evidente segno di discontinuità, non certo di accoglimento di quell’eredità. Del resto, se il Campi che nel 1993 scriveva che, se avesse buttato via ‘dieci anni di eterodossia e di sano anticonformismo intellettuale solo per assecondare l’irresistibile ascesa della ‘destra di governo’ si sarebbe sentito ‘un idiota perfetto’ fosse rimasto di quel parere, oggi non starebbe dove sta, e ci perderebbe molto. E’ persona intelligente, e lo sa. Può dispiacermi, e mi dispiace, ma non mi scandalizzo di questi dietrofront, di cui la storia politica e intellettuale è costellata. Mi basta che si abbia il coraggio di dire: ‘Ho cambiato idee’, senza far finta del contrario. Tra la ‘destra nuova’ dei farefuturisti e la Nuova Destra non c’è il benché minimo rapporto di parentela. Tutto qui”.
Tarchi tiene a sottolineare che il suo rapporto con Alain de Benoist, padre della Nouvelle Droite francese, è eccellente e non ha conosciuto crisi. “Concordiamo su gran parte delle analisi della realtà attuale e quasi sempre le nostre opinioni convergono. La nostra evoluzione è stata autonoma ma parallela, e dimostra che il nostro incontro intellettuale non era stato frutto di un caso, ma di sensibilità affini”. Ma se in Francia la dizione Nouvelle Droite ancora è spendibile, questo non è più possibile in Italia: “con l’affiorare di una serie di destre più o meno nuove nel panorama politico italiano del 1994, mantenere una sigla che avevo sempre giudicato ambigua non aveva senso, anche perché con le idee della ND quei soggetti poco e nulla avevano da spartire. In un libro che sta per uscire da Vallecchi (“La rivoluzione impossibile. Dai campi hobbit alla nuova destra”) cerco di chiarire come e perché si fosse creata, già negli anni Ottanta, questa distanza. La mia ricerca segue i binari tracciati da tempo: condensare, nel solco di una visione del mondo unitaria, analisi e proposte di intervento oggi sparse nei punti più diversi dell’orizzonte politico-culturale: il comunitarismo, la decrescita, la valorizzazione delle specificità culturali, l’autodeterminazione dei popoli, l’ecologia profonda, l’economia solidale”.
(di Massimo Ciullo)
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