giovedì 4 marzo 2010

Quella epopea nell'agro pontino specchio dell'orgoglio fascista

Lungo gli argini del Canale Mussolini, anche se oggi non ci sono i nidi degli aironi bianchi, né fanno il bagno i ragazzini, ci si inebria del profumo intenso degli eucalipti mentre il ronzio delle idrovore ti ricorda che al di là di quelle Acque Alte c'era la palude dove si rotolavano le bufale e le colonie di zanzare che assalivano le lestre. Poi la melma divenne una terra nuova, bonificata dai progetti ambiziosi del Duce che lì volle la sua città di fondazione per le migliaia di persone arrivate dal Nord. «Canale Mussolini» è l'ultimo libro del fasciocomunista Antonio Pennacchi, pontino doc, che ha fatto della storia di questa terra il suo must.
«Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo».
Addirittura Pennacchi?
«E perché? Ognuno ha una mission. Steinbeck diceva che un uomo deve piantare un albero, avere una casa e fare un figlio. Ecco, io da bambino, non avevo chiaro come, ma sapevo che volevo raccontare la storia della mia famiglia, degli zii, del podere...».
E gli altri libri?
«Tutti in funzione di questo».
Però ha iniziato tardi a scrivere?
«Vero, mi sono sottratto al mio compito e mi sono dato alle lotte, ai casini... Il mio diletto era leggere, studiare, la scrittura invece è una condanna, un demone, un dovere e questa storia dovevo proprio scriverla. Sentivo che se mi fossi sottratto all'impegno, questa epopea sarebbe andata persa e ciò non doveva accadere».
Quindi ora il ribelle Pennacchi si sente pacificato?
«La storia l'ho raccontata, adesso facesse quel c... che le pare...certo spero vada bene...».
Premio Strega compreso?
«Lasciamo perdere lo Strega, spero vada bene perché ho 60 anni e non c'è stato giorno che non ho avuto il pensiero di arrivare a fine mese. Comunque dopo questo libro, posso morire tranquillo... altrimenti dovevo rinascere».
Per essere un rompiballe come ora o cosa?
«Essere un monaco. Questa vita se n'è andata facendo il guerriero, in un'altra vorrei essere monaco e tacere».
Lo faccia.
«No, perché il dolore ti dà uno sguardo lucido, surreale, io ho avuto due infarti, ho tre bypass, un piede di qua e uno di là nella fossa e ho tanta rabbia dentro anche se so che incazzarmi non mi fa bene».
Ma perché è arrabbiato?
«Ma lei li legge i giornali?».
Veramente ci scrivo...
«Quindi sa che quello che scrivete sono tutte fregnacce, e quando mi prendono in giro io divento una bestia».
Torniamo a Littoria, qualcuno dice che lei ha un'ossessione agro-pontina.
«Cambiamo domanda se no dico parolacce. Non dico quello che penso di chi mi fa questa accusa.... Comunque sto in buona compagnia, anche Dante era ossessionato da Firenze e Steinbeck ha concentrato i suoi romanzi tra Salinas e Monterey. Gli scrittori veri scrivono di pancia, raccontano quello che conoscono. Io le storie non le invento, le raccolgo per terra, anzi, mi vengono addosso».
Fascismo compreso diventato per lei quasi una questione di "educazione sentimentale"?
«Ma andassero affan....Io non sono fascio, io sono comunista, ma non mi si può dire che il fascismo era tutto cattivo o tutto buono, quando l'intero popolo italiano era fascista. Non erano tutti cattivi, il male sono stati la dittatura, le leggi razziali e perdere le guerre...».
Il buono è stato il progetto del Duce, la bonifica fatta dai cispadani, gli extracomunitari d'antan a cui lei rende quasi omaggio?
«Il fascismo ha levato le terre e le paludi ai ricchi e le ha date ai poveri, a quei 30 mila tra veneti, friulani, romagnoli che per fame hanno trasformato in terra fertile la melma, una palude piena di zanzare, diventando nemici dei "marocchini", gli abitanti dei monti Lepini che guardavano storto noi polentoni, contadini che puzzavamo di fame, e le nostre donne, forti e decise alla guida dei carri, allegre e spavalde nei balli davanti al podere».
Crede che questo "giardino terrestre", famoso per la sua architettura razionalista, non sia stato mai tanto considerato per pura ideologia?
«Intanto in Italia non si sono mai fatti i conti con il fascismo e molte cose sono state rimosse. L'ideologia? - urla Pennacchi - Basta etichettare la gente, io non sono fascio, resto un materialista storico, sono per l'egualitarismo assoluto, sono un marxista eppure ho amici fascisti, persone per bene, e conosco compagni che andrebbero messi al muro.... E poi chi vietava ai fascisti o agli scrittori nati qua di scrivere la storia dell'Agro pontino? Credo ci siano molto conformismo mentale e tanta pigrizia intellettuale: la gente cammina al centro della strada, ai lati vanno in pochi. Scoprire la poetica della quotidianità non è da tutti, invece vanno raccontate le storie, la vita di ognuno perché è sempre unica... E io ringrazio Dio perché riesco a farlo».
«Canale Mussolini» è dedicato a Gianni: quanto le manca suo fratello?
«A Birà.....» Non aggiunge altro l'arrabbiato scrittore ex operaio Antonio. Piange.

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