La giornalista Lucia Annunziata ammette di averci pensato tantissimo «e la formula su cui mi sono assestata è questa: è finito il berlusconismo, semmai c’è stato, ma non Berlusconi. Nel senso che la crisi a cui noi assistiamo è una crisi del sistema berlusconiano, ossia di questa rivoluzione ideale che lui aveva portato avanti e degli uomini che si era scelto. Però il Cavaliere è ancora, secondo me, un leader. Un leader che non ha governo, ma consenso popolare. Il berlusconismo non è mai stato importante quanto Berlusconi. Anzi era quasi un nonsense perché una leadership carismatica come la sua non può diventare un sistema di regole e di pensieri. Quindi io da lui mi aspetto ancora molte cose. Non credo sia stanco. Berlusconi è un personaggio extra politico, tutte le narrative politiche che lo hanno voluto inchiodare a una situazione o un altra hanno sempre sbagliato. Io penso che abbia ancora molte risorse. Certo, non ha creato dietro di sé un sistema».
Lo storico Giordano Bruno Guerri non pensa che il berlusconismo sia finito, anzi. «Berlusconi è saldamente al governo; ha delle strategie; ha un partito che, nonostante gli episodi ben noti, è grosso e compatto; e ha, credo, anche una filosofia di governo. Oltretutto non ha ancora compiuto quella "rivoluzione liberale" che era la missione che si era proposto. C’è da augurarsi che, prima di chiudere il berlusconismo, la faccia. Io al suo posto sarei stanchissimo. Però, per quanto lo posso conoscere, la voglia ce l’ha sicuramente. Dopo Berlusconi sopravviverà qualcosa perché lui ha formato un gruppo dirigente nuovo in parte di buona, in parte di pessima e in parte di media qualità, che proseguirà il suo cammino. Quindi non è che con un eventuale ritiro di Berlusconi finisce tutto. Rimangono i suoi eredi, i suoi allievi e una certa filosofia di vedere la politica del Paese. Una filosofia che ha raggiunto risultati positivi. Anche se manca quel risultato finale, quella rivoluzione liberale che sembra ancora lontana».
Lo scrittore e giornalista Pietrangelo Buttafuoco invita a mettere da parte gli «ismi» che «appartengono al dibattito politico del ’900 e adesso sono inefficaci. Bisogna prendere in considerazione il soggetto in sè. Berlusconi ci ha abituato ad un’icona ben precisa, alla sua faccia, al suo personaggio. Però ha sempre mantenuto un’astuzia che è quella di proporsi attraverso continue metamorfosi. Berlusconi non fa altro che aggiornare sempre questa immagine. Dare la parola fine a questo è un azzardo perché non sappiamo mai quale sarà, domani, la sorpresa. Perché ogni volta, quando tutti lo hanno immaginato all’angolo, lui ha fatto venire fuori un fuoco d’artificio. Questo è il vantaggio che lui si è procurato non solo rispetto ai suoi avversari, ma soprattutto rispetto a quelli che ha avuto, di volta in volta, come alleati. Berlusconi stanco? Il tempo passa. Lo stesso Fini, in uno dei momenti massimi di rottura, ha sottolineato che lui ha vent’anni di meno. Ma la storia è piena di regnanti prenotati in attesa di regno».
Lo psichiatra Paolo Crepet non ha dubbi: «Quando le cose rimangono ferme, anche le migliori, invecchiano. Io sono un agnostico politico, credo però che la politica abbia sempre bisogno di rinnovarsi. Quindi non so cosa voglia dire la fine del berlusconismo, ma penso di poter dire che siamo vicini ad un cambiamento. Un movimento politico forte non ha mai paura di cambiare, sono le forze deboli, gli accordi che stanno insieme con la saliva, che hanno paura. Il problema di Berlusconi sono i berlusconiani e, come sempre, quando il generale invecchia, gli ufficiali fanno delle sommosse. Al di là di questo, però, quello che mi interessa di più è che il Paese possa affrontare con forza la difficoltà che ci sarà in autunno. L’autunno sarà molto difficile (pensi solo a quello che succederà nel comparto scuola dove migliaia di persone resteranno a casa). Quindi abbiamo bisogno di un governo e non di un governicchio. Di persone che riformano il Paese e non che litigano. E poi abbiamo bisogno di ammodernarci».
Per il politologo Roberto D’Alimonte ci sono tre questioni: «Il berlusconismo, se esiste, è un’anomalia della democrazia italiana. Mi riferisco al conflitto di interessi. Questo aspetto finirà con la fine dell’esperienza politica di Berlusconi? Me lo auguro. Il berlusconismo è anche un modo di fare politica fondato sulla personalizzazione, su una comunicazione molto diretta con una forte componente populista e su un uso sapiente delle tecniche di monitoraggio e di acquisizione del consenso. Non credo che questo modo di fare politica passerà. Ma il berlusconismo è anche una strategia politica, intesa come fissazione di un’agenda della politica, ma anche come costruzione dell’unità della destra. Questa è un’eredità che difficilmente Berlusconi lascerà perché l’unità della destra è troppo legata alla sua persona. In ogni caso io credo che la fine di questa esperienza dipenda, nel breve periodo, da tre condizioni: il ritiro dell’uomo, un violento shock esterno o interno, la presenza di un’alternativa credibile. Nell’immediato non mi sembra di vedere alcuna di queste condizioni».
Per Franco Debenedetti, imprenditore ed ex senatore Ds, «il berlusconismo, come modello di formazione di consenso politico è stato una novità nella politica italiana. Questo modello, basato sulla capacità di magnetizzare i consensi e, quindi, sulla capacità di formare coalizioni, è strettamente legato alla figura di Berlusconi. Ma non è solo per motivi fisiologici che siamo giunti alla fase finale di questa esperienza. Credo ci sia anche una ragione politica: Berlusconi è riuscito a radunare tutti i voti della non sinistra italiana, ma non è riuscito a formare una destra, sia nella sua coesione sia soprattutto nella sua cultura politica. Questo è il vero problema politico che c’è oggi. Perché a sinistra anche il Pd, fallita l’ambizione veltroniana dell’autosufficienza, è alla ricerca di una sua identità, tra richiami di modelli desueti, e tentazioni vendoliane. In entrambi i casi potendo al massimo mirare ad apportare i propri voti a una futura coalizione».
Per il direttore del Riformista Antonio Polito «l’esperienza politica del berlusconismo non è terminata altrimenti non saremmo qui a parlarne. Naturalmente il berlusconismo è una cosa così unica, essendo legata già nel nome ad una persona, che sapremo veramente se ha un futuro soltanto quando ci sarà un delfino. È un po’ come il gollismo che è nato quando qualcuno ha governato dopo De Gaulle. Questo è un po’ il grande mistero. La vera domanda non è se è finito il berlusconismo ma se, quando Berlusconi non ci sarà più politicamente, rimarrà un fenomeno chiamato berlusconismo o si passerà ad altro. Il punto vero per cui la stagione politica di Berlusconi continua è che, intanto, lui si appella a modi di ragionare e sentimenti che sono molto radicati nel Paese. Modi di ragionare e sentimenti che l’altra parte politica ha disprezzato e irriso a lungo. Per cui, anche se uno sa che poi Berlusconi le cose non le fa, sa che gli altri farebbero peggio».
Il professor Luca Ricolfi mette subito le mani avanti: «Io lo pensavo nel 2005 e sbagliavo. Per me era già finito allora. Ad un osservatore disincantato verrebbe da dire che sì, siamo alla frutta. Però, non vedendo solide alternative all’orizzonte, uno può anche pensare che Berlusconi è l’unico cemento che resta al centrodestra per cui, finché non trovano un "cemento alternativo" resterà. Lui scomparirà non quando avrà esaurito la sua "forza propulsiva" come direbbe Berlinguer, quella l’ha esaurita da tempo. Uno che promette la riduzione delle tasse da quasi vent’anni e ci sta portando al massimo della pressione fiscale nella storia del Paese, forse dovrebbe lascia perdere. L’unica alternativa che si vede è Tremonti che, però, è detestatissimo dal suo partito. Gli altri chi sono? Formigoni, Fini, Casini? Mi sembrano tutti non all’altezza. E quindi aspettiamo che nasca un altro astro. In ogni caso Berlusconi non ha alcuna intenzione di ritirarsi perché, se si va alle elezioni con lui si vince, senza non si sa. Io fossi un colonnello del centrodestra me lo terrei stretto».
(di Nicola Imberti)
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