Langone chi? Il critico gastronomico? Il critico liturgico? Sì, lui. Langone Camillo. Ieri sul Foglio ha inanellato una serie di luoghi comuni sul Msi, Fabio Granata e il neofascismo che meriterebbero di comparire in un bignamino di storia patria a uso dei camionisti. Ci sono cose che non si digeriscono, e Langone non sembra digerire Granata. Avesse letto Nietzsche – e sicuramente lo avrà fatto – saprebbe che secondo il filosofo le cattive morali scaturiscono da cattive digestioni. L’uomo che digerisce male non si rinnova, tutto gli rimane sullo stomaco e il lento sminuzzamento di ciò che ha ingerito si appiccica come giudizio bilioso sul mondo circostante, separando i buoni dai cattivi. Diciamo che Langone ha esercitato questo vezzo da “ultimi uomini” su Fabio Granata e sulla sua storia (che è anche la nostra, e perciò siamo obbligati a scriverne).
Veniamo al nocciolo delle sue argomentazioni: «Voi – dice a Granata – non siete mai stati di destra, voi eravate neofascisti. Voi siete stati concepiti nel 1943 durante la stesura del Manifesto di Verona e siete perciò repubblicani e non monarchici, rivoluzionari e non conservatori». L’incipit non è neanche così male: rivoluzionari e non conservatori. Potremmo anche starci. Ma Langone lo dice perché vuol arrivare a confutare che Granata e la sua famiglia politica abbiano traghettato la “destra” nel Pdl. «Voi avete fatto confluire nel Pdl la storia del neofascismo». Pagina per Langone impresentabile, che si trova dove si trova solo per gentile concessione di Berlusconi «umanamente troppo buono» che si è fatto carico, appunto, dei neofascisti, «rottami della storia» che nessuno voleva.
Pregiudizi? Peggio. Malafede. Intanto se la destra nel lungo dopoguerra è stata confinata nel recinto missino ciò è avvenuto perché nessun altro rivendicava quell’etichetta e perché il regime partitocratico trovava comodo che a fare il lavoro sporco dell’anticomunismo di piazza (con le consgeuenze nefaste che la cronaca degli anni di piombo ha registrato) ci fossero solo i missini. Dove si trovasse all’epoca Langone non ha importanza e non ce ne frega niente, ma il dato storico non si può cambiare. Il Msi era collocato a destra per questo, e la destra era il neofascismo anche e soprattutto per questo.
Poi Langone passa a confutare la ragione stessa dell’esistenza del Msi perché – argomenta – non si poteva più essere fascisti nel 1946 nel nome di un Mussolini liquidato come «un deficiente entrato in guerra perché gli piaceva essere applaudito a Piazza Venezia». Magari, nel giudizio, Langone sarà stato sviato dal paragone con altri e più recenti capi carismatici, ma di certo il semplicismo rozzo con cui si accosta all’argomento non fa onore alla profondità della sua analisi. Se tra una rubrica di enogastronomia e l’altra ne avesse voglia, gli consigliamo la lettura del libro postumo di Giano Accame, "La morte dei fascisti", nel quale si spiega con dovizia di particolari perché il neofascismo non poteva non esistere dopo Piazzale Loreto e quali controverse eredità il “deficiente” avrebbe trasmesso alla popolazione italiana, ancora oggi incapace di trovare una via di conciliazione con una memoria che andava ben al di là delle adunate oceaniche e che si è tradotta anche in morte, sangue, disperate storie di fedeltà, testimonianze di amor patrio, totale dedizione a ideali che non si volevano abbandonare all’umiliazione. Certo, per capirlo, bisogna far parte di un certo tipo di umanità, quella che conta, come scriveva Wilhelm Fürtwangler nei suoi "Appunti", anime sensibili alle sofferenze dell’Occidente. Invece oggi, sempre per dirla con Fürtwangler, è il tempo di «scrocconi giocherellanti dell’uman genere, sfacciati, impudenti, cinici» che non sanno «che cosa fosse, che cosa ancora sia, l’Europa». Dove si collochi Langone è fatto che interessa il suo foro interiore, non noi.
Andiamo avanti. A Granata viene imputato l’uso dell’aggettivo “antica” per definire quella tradizione della destra che An avrebbe portato in dote al Pdl. Antica, secondo l’invettiva del Foglio, è la destra di De Maistre e di Dante. Non certo quella di Granata, visto che il Msi non era altro che «la Rsi senza il governicchio di Salò». Una formazione caricaturale, perdente, sopravvissuta a macerie storiche che mai si sarebbero dovuto “restaurare”. In più quella tradizione neofascista non sarebbe neanche così nobile, e qui veniamo a un altro punto forte dell’articolo, in quanto le sezioni del Msi – come testimonia Marcello Veneziani nel suo libro "Sud" – non erano che «tane puzzolenti di reduci e reietti, petomani e ruttatori».
In questo caso sarà stata forse la cattiva bibliografia cui appoggia le sue impressioni, o la forte antipatia che Granata deve avere suscitato in Langone per avere agitato una questione morale che coinvolge anche Denis Verdini oppure il fatto che semplicemente, come accade a molti acuti colleghi, parla di cose che non sa e lo fa con l’arroganza di chi non sa di non sapere. Sarebbe anche bastato non prendere a esempio di tutte le sedi missine una sede missina di Bisceglie, ma Langone in questo passaggio del suo articolo ha voluto infierire, optando per il paragone iperbolico. Ma lo possiamo rassicurare: gente siffatta non si trovava nelle sezioni del Msi. C’era gente normale, italiani perbene, da non confondere con i compagni di merende con cui Langone magari si siede a tavola (e non sempre pagando il conto...).
Infine l’ultimo rutto del nostro Langone (tanto per restare in tema) è riservato all’aggettivo “trasparente” con cui Granata ha definito la tradizione politica da cui proviene. Langone osserva che i neofascisti, bombaroli per definizione e terroristi per gentile concessione (allora) del duo consociativo Dc-Pci, non potevano essere certo trasparenti, semmai portatori di una storia limacciosa. Chi le ha messe infatti le bombe sui treni se non loro? E qui il cerchio, signori, si chiude. I sinistrorsi finiani sono trattati dai somari berlusconiani come i neofascisti lo erano dalle squadre di Potere Operaio. Si trova sempre infatti qualche millantatore che, credendosi un “unto del Signore”, dice chi deve stare sul rogo e chi dev’essere salvato, e che mostra indulgenza solo con chi rinnega il proprio passato eretico. I “pentiti” del Msi che prendono ordini da Berlusconi entreranno nel regno. Gli altri no, gli altri sono come gli eretici “relapsi”, ricadono sempre nell’errore, non perdono il vizio, appesantiscono lo stomaco di Langone e di chissà quanti altri scribacchini che si esercitano in queste ore nel giornalismo da “cattiva digestione”. Ma la secrezione che alla fine viene distillata da questi alambicchi va a finire sempre lì, nelle fogne il cui colore nero sarebbe la cifra identificante della storia di Granata e della nostra, ma che sono anche la cloaca accogliente dove vanno a depositarsi i ragionamenti di Langone. I Granata di un tempo non sono stati messi a tacere dall’antifascismo militante di PotOp, figuriamoci se può riuscire nell’intento, oggi, uno che va in giro a descrivere come sono fatte le acquasantiere delle chiese d’Italia.
Veniamo al nocciolo delle sue argomentazioni: «Voi – dice a Granata – non siete mai stati di destra, voi eravate neofascisti. Voi siete stati concepiti nel 1943 durante la stesura del Manifesto di Verona e siete perciò repubblicani e non monarchici, rivoluzionari e non conservatori». L’incipit non è neanche così male: rivoluzionari e non conservatori. Potremmo anche starci. Ma Langone lo dice perché vuol arrivare a confutare che Granata e la sua famiglia politica abbiano traghettato la “destra” nel Pdl. «Voi avete fatto confluire nel Pdl la storia del neofascismo». Pagina per Langone impresentabile, che si trova dove si trova solo per gentile concessione di Berlusconi «umanamente troppo buono» che si è fatto carico, appunto, dei neofascisti, «rottami della storia» che nessuno voleva.
Pregiudizi? Peggio. Malafede. Intanto se la destra nel lungo dopoguerra è stata confinata nel recinto missino ciò è avvenuto perché nessun altro rivendicava quell’etichetta e perché il regime partitocratico trovava comodo che a fare il lavoro sporco dell’anticomunismo di piazza (con le consgeuenze nefaste che la cronaca degli anni di piombo ha registrato) ci fossero solo i missini. Dove si trovasse all’epoca Langone non ha importanza e non ce ne frega niente, ma il dato storico non si può cambiare. Il Msi era collocato a destra per questo, e la destra era il neofascismo anche e soprattutto per questo.
Poi Langone passa a confutare la ragione stessa dell’esistenza del Msi perché – argomenta – non si poteva più essere fascisti nel 1946 nel nome di un Mussolini liquidato come «un deficiente entrato in guerra perché gli piaceva essere applaudito a Piazza Venezia». Magari, nel giudizio, Langone sarà stato sviato dal paragone con altri e più recenti capi carismatici, ma di certo il semplicismo rozzo con cui si accosta all’argomento non fa onore alla profondità della sua analisi. Se tra una rubrica di enogastronomia e l’altra ne avesse voglia, gli consigliamo la lettura del libro postumo di Giano Accame, "La morte dei fascisti", nel quale si spiega con dovizia di particolari perché il neofascismo non poteva non esistere dopo Piazzale Loreto e quali controverse eredità il “deficiente” avrebbe trasmesso alla popolazione italiana, ancora oggi incapace di trovare una via di conciliazione con una memoria che andava ben al di là delle adunate oceaniche e che si è tradotta anche in morte, sangue, disperate storie di fedeltà, testimonianze di amor patrio, totale dedizione a ideali che non si volevano abbandonare all’umiliazione. Certo, per capirlo, bisogna far parte di un certo tipo di umanità, quella che conta, come scriveva Wilhelm Fürtwangler nei suoi "Appunti", anime sensibili alle sofferenze dell’Occidente. Invece oggi, sempre per dirla con Fürtwangler, è il tempo di «scrocconi giocherellanti dell’uman genere, sfacciati, impudenti, cinici» che non sanno «che cosa fosse, che cosa ancora sia, l’Europa». Dove si collochi Langone è fatto che interessa il suo foro interiore, non noi.
Andiamo avanti. A Granata viene imputato l’uso dell’aggettivo “antica” per definire quella tradizione della destra che An avrebbe portato in dote al Pdl. Antica, secondo l’invettiva del Foglio, è la destra di De Maistre e di Dante. Non certo quella di Granata, visto che il Msi non era altro che «la Rsi senza il governicchio di Salò». Una formazione caricaturale, perdente, sopravvissuta a macerie storiche che mai si sarebbero dovuto “restaurare”. In più quella tradizione neofascista non sarebbe neanche così nobile, e qui veniamo a un altro punto forte dell’articolo, in quanto le sezioni del Msi – come testimonia Marcello Veneziani nel suo libro "Sud" – non erano che «tane puzzolenti di reduci e reietti, petomani e ruttatori».
In questo caso sarà stata forse la cattiva bibliografia cui appoggia le sue impressioni, o la forte antipatia che Granata deve avere suscitato in Langone per avere agitato una questione morale che coinvolge anche Denis Verdini oppure il fatto che semplicemente, come accade a molti acuti colleghi, parla di cose che non sa e lo fa con l’arroganza di chi non sa di non sapere. Sarebbe anche bastato non prendere a esempio di tutte le sedi missine una sede missina di Bisceglie, ma Langone in questo passaggio del suo articolo ha voluto infierire, optando per il paragone iperbolico. Ma lo possiamo rassicurare: gente siffatta non si trovava nelle sezioni del Msi. C’era gente normale, italiani perbene, da non confondere con i compagni di merende con cui Langone magari si siede a tavola (e non sempre pagando il conto...).
Infine l’ultimo rutto del nostro Langone (tanto per restare in tema) è riservato all’aggettivo “trasparente” con cui Granata ha definito la tradizione politica da cui proviene. Langone osserva che i neofascisti, bombaroli per definizione e terroristi per gentile concessione (allora) del duo consociativo Dc-Pci, non potevano essere certo trasparenti, semmai portatori di una storia limacciosa. Chi le ha messe infatti le bombe sui treni se non loro? E qui il cerchio, signori, si chiude. I sinistrorsi finiani sono trattati dai somari berlusconiani come i neofascisti lo erano dalle squadre di Potere Operaio. Si trova sempre infatti qualche millantatore che, credendosi un “unto del Signore”, dice chi deve stare sul rogo e chi dev’essere salvato, e che mostra indulgenza solo con chi rinnega il proprio passato eretico. I “pentiti” del Msi che prendono ordini da Berlusconi entreranno nel regno. Gli altri no, gli altri sono come gli eretici “relapsi”, ricadono sempre nell’errore, non perdono il vizio, appesantiscono lo stomaco di Langone e di chissà quanti altri scribacchini che si esercitano in queste ore nel giornalismo da “cattiva digestione”. Ma la secrezione che alla fine viene distillata da questi alambicchi va a finire sempre lì, nelle fogne il cui colore nero sarebbe la cifra identificante della storia di Granata e della nostra, ma che sono anche la cloaca accogliente dove vanno a depositarsi i ragionamenti di Langone. I Granata di un tempo non sono stati messi a tacere dall’antifascismo militante di PotOp, figuriamoci se può riuscire nell’intento, oggi, uno che va in giro a descrivere come sono fatte le acquasantiere delle chiese d’Italia.
(di Annalisa Terranova)
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