La cultura di destra ha vinto lo «Strega» con Canale Mussolini, quindi smettetela di lagnarvi, anche perché nemmeno esistete. Questo in sintesi il rimprovero che l’altro giorno, ma anche l’altro mese, l’altro anno, Pierluigi Battista rivolge dal Corriere della Sera a una non meglio definita cultura di destra. Battista è uno dei rari superstiti a ragionare ancora di cultura di destra nel presente. Chi di quella cultura si è nutrito ed ha forse nutrito (...) con le sue opere, non ne parla più da anni. Già nell’epoca in cui se ne parlava, avvertiva che la cultura di destra è solo una prospettiva, ma non esaurisce certo gli orizzonti della cultura: ci sono i classici che sfuggono a queste classificazioni, ci sono idee e opere che attraversano quelle categorie, ci sono sensibilità, valori, biografie che non si possono iscrivere d’ufficio a un pensiero militante.
La prima vera distinzione è tra buona cultura e cultura scadente. L’ultima volta che mi occupai organicamente del tema fu in un libro che intitolai La cultura della destra, cosa ben diversa dalla cultura di destra; era un viaggio critico non nel piccolo mondo della destra culturale, ma fra le tracce di una sensibilità diffusa, una mentalità, un sentire e un pensare, animate da un amore della tradizione, della comunità, del senso religioso della vita. (Se non ricordo male Battista era tra i giurati del premio «Capalbio» che premiò quel libro). Non dunque una conventicola, un partitino di intellettuali, ma qualcosa di più vasto. Ma se di cultura di destra non parlano più coloro che ne furono considerati i portatori, in compenso c’è ancora chi campa da decenni sui giochini «cos’è di destra e cos’è di sinistra», e chi ha eretto tutta la sua credibilità nel mostrarsi virtuosamente equidistante dalla destra e dalla sinistra. A loro, terzisti, cerchiobottisti, equilibristi, serviva uno straccio di cultura di destra per poter criticare l’egemonia di sinistra, ma in modo bilanciato.
Ci sono tanti ballerini e trapezisti che camminano sul filo e nei loro articoli danno un colpo a sinistra e poi, state certi, il prossimo colpo è riservato alla destra. Ah, come sono perfettini. Non hanno mai espresso un’idea che sia una, mai suscitato un pensiero, hanno solo fatto i maestrini dell’equilibrismo, autocompiacendosi di questo ruolo super partes, di questa saggezza infusa e di questa autorevolezza che non derivava dallo spessore delle idee, ma dalla collocazione. Eh, io sono virtuoso, non sto né con quelli né con questi, io sono militesente, cioè esente da una cultura militante. Sicché il paradosso è che ora sono rimasti loro a ragionare ancora nei termini di cultura di destra e di sinistra. Senza quelle due categorie, come potrebbero diagnosticare la castro-enterite perdurante nella sinistra, e subito dopo identificare la cultura di destra nel ducismo? E mentre fingono di essere loro i moderni, i consapevoli, i posteri, rispetto a questi antichi gladiatori di destra e di sinistra, sono rimasti solo loro a usare queste categorie e a cibarsi, non dirò come sciacalletti e iene, di cui parlava Il Gattopardo, ma come guardalinee del pensiero. E a ripetere come vuvuzelas sempre la stessa cosa: la sinistra culturale è conformista e la destra culturale non esiste. Bene, se non esiste, non preoccupatevene, lasciateli vivere da morti.
So che costoro non ci perdonano di non aver seguito o preceduto Fini nel viaggio verso il nulla; un esodo verso il Terzo Regno che ha tra gli autori della sceneggiatura Paolo Mieli. Da qui l’opera costante di delegittimazione degli «intellettuali di destra», morti, invalidi, lagnosi. Se tu poni, ad esempio, il problema che pensare è oggi il vero atto osceno in luogo pubblico, che c’è muffa nella cultura contemporanea e assenza di grandi opere, che il nichilismo alla fine ha prodotto il nulla, e che perdute le idee sono rimaste le cricche, le mafie culturali, il traduttore simultaneo ti riduce tutto a una questione di vittimismo di destra ed egemonia di sinistra.
Non mi lascio prendere dall’amor di polemica né dalla certificazione d’inesistenza rilasciata dal Battista delle Pompe funebri. So distinguere. Continuo a ritenere Battista un bravo giornalista culturale, ad apprezzare e a condividere a volte alcune sue opinioni, come l’editoriale sulla nomina di Brancher; e a ritenerlo, magari a sua insaputa, un vecchio e perfino caro amico (lo stesso direi di Mieli); nonostante il disprezzo che esprime in modo allusivo. Certo, non mi aspetto che si addentri nei territori delle idee e del pensiero, che discuta di tradizioni filosofiche e di percorsi profondi. Lui è segnalinee e si limita ad alzare la bandierina e a segnalare i falli. Il primo tempo controlla sul versante destro, il secondo sul versante sinistro. Però eviti questi processi sommari, non riduca opere, pensieri, saggi, articoli solo alla lagna, che ci sarà pure stata e che personalmente ho sempre deprecato, ma qualche volta praticato. Certo, potrei raccontare 333 episodi reali accaduti di discriminazione, negazione dell’esistenza della destra (incluso il negazionismo di Battista), ma convengo che non bisogna mai lagnarsi.
E non capisco cosa c’entri il premio «Strega» a Pennacchi (meritato, mi pare, al di là dei maneggi mielosi). Pennacchi è un ex fascista che diventò poi comunista; dubito che sarebbe stato premiato se avesse avuto il percorso inverso. Il suo poi è un romanzo, mica un saggio culturale controcorrente. E lo sdoganamento di temi fascio-antifascisti non è una novità. Basti pensare a Pansa il quale, provenendo da sinistra, riuscì ad avere quel meritato successo editoriale. Comunque, se il premio a Pennacchi servirà in futuro a far cadere i divieti su un Buttafuoco, per fare un esempio recente, ne sarò ben lieto. Non per la cultura di destra, ma per il riconoscimento dei meriti e delle qualità a prescindere se l’autore sia «di destra». È quello il vero problema, caro Pigi, la qualità non viene riconosciuta, non solo a scuola o nei ministeri, ma anche nei giornali e nella cultura. Se poi traduci pure questa critica con lagna, allora tutti i tuoi articoli sono lagne alternate sulla destra e sulla sinistra.
(di Marcello Veneziani)
La prima vera distinzione è tra buona cultura e cultura scadente. L’ultima volta che mi occupai organicamente del tema fu in un libro che intitolai La cultura della destra, cosa ben diversa dalla cultura di destra; era un viaggio critico non nel piccolo mondo della destra culturale, ma fra le tracce di una sensibilità diffusa, una mentalità, un sentire e un pensare, animate da un amore della tradizione, della comunità, del senso religioso della vita. (Se non ricordo male Battista era tra i giurati del premio «Capalbio» che premiò quel libro). Non dunque una conventicola, un partitino di intellettuali, ma qualcosa di più vasto. Ma se di cultura di destra non parlano più coloro che ne furono considerati i portatori, in compenso c’è ancora chi campa da decenni sui giochini «cos’è di destra e cos’è di sinistra», e chi ha eretto tutta la sua credibilità nel mostrarsi virtuosamente equidistante dalla destra e dalla sinistra. A loro, terzisti, cerchiobottisti, equilibristi, serviva uno straccio di cultura di destra per poter criticare l’egemonia di sinistra, ma in modo bilanciato.
Ci sono tanti ballerini e trapezisti che camminano sul filo e nei loro articoli danno un colpo a sinistra e poi, state certi, il prossimo colpo è riservato alla destra. Ah, come sono perfettini. Non hanno mai espresso un’idea che sia una, mai suscitato un pensiero, hanno solo fatto i maestrini dell’equilibrismo, autocompiacendosi di questo ruolo super partes, di questa saggezza infusa e di questa autorevolezza che non derivava dallo spessore delle idee, ma dalla collocazione. Eh, io sono virtuoso, non sto né con quelli né con questi, io sono militesente, cioè esente da una cultura militante. Sicché il paradosso è che ora sono rimasti loro a ragionare ancora nei termini di cultura di destra e di sinistra. Senza quelle due categorie, come potrebbero diagnosticare la castro-enterite perdurante nella sinistra, e subito dopo identificare la cultura di destra nel ducismo? E mentre fingono di essere loro i moderni, i consapevoli, i posteri, rispetto a questi antichi gladiatori di destra e di sinistra, sono rimasti solo loro a usare queste categorie e a cibarsi, non dirò come sciacalletti e iene, di cui parlava Il Gattopardo, ma come guardalinee del pensiero. E a ripetere come vuvuzelas sempre la stessa cosa: la sinistra culturale è conformista e la destra culturale non esiste. Bene, se non esiste, non preoccupatevene, lasciateli vivere da morti.
So che costoro non ci perdonano di non aver seguito o preceduto Fini nel viaggio verso il nulla; un esodo verso il Terzo Regno che ha tra gli autori della sceneggiatura Paolo Mieli. Da qui l’opera costante di delegittimazione degli «intellettuali di destra», morti, invalidi, lagnosi. Se tu poni, ad esempio, il problema che pensare è oggi il vero atto osceno in luogo pubblico, che c’è muffa nella cultura contemporanea e assenza di grandi opere, che il nichilismo alla fine ha prodotto il nulla, e che perdute le idee sono rimaste le cricche, le mafie culturali, il traduttore simultaneo ti riduce tutto a una questione di vittimismo di destra ed egemonia di sinistra.
Non mi lascio prendere dall’amor di polemica né dalla certificazione d’inesistenza rilasciata dal Battista delle Pompe funebri. So distinguere. Continuo a ritenere Battista un bravo giornalista culturale, ad apprezzare e a condividere a volte alcune sue opinioni, come l’editoriale sulla nomina di Brancher; e a ritenerlo, magari a sua insaputa, un vecchio e perfino caro amico (lo stesso direi di Mieli); nonostante il disprezzo che esprime in modo allusivo. Certo, non mi aspetto che si addentri nei territori delle idee e del pensiero, che discuta di tradizioni filosofiche e di percorsi profondi. Lui è segnalinee e si limita ad alzare la bandierina e a segnalare i falli. Il primo tempo controlla sul versante destro, il secondo sul versante sinistro. Però eviti questi processi sommari, non riduca opere, pensieri, saggi, articoli solo alla lagna, che ci sarà pure stata e che personalmente ho sempre deprecato, ma qualche volta praticato. Certo, potrei raccontare 333 episodi reali accaduti di discriminazione, negazione dell’esistenza della destra (incluso il negazionismo di Battista), ma convengo che non bisogna mai lagnarsi.
E non capisco cosa c’entri il premio «Strega» a Pennacchi (meritato, mi pare, al di là dei maneggi mielosi). Pennacchi è un ex fascista che diventò poi comunista; dubito che sarebbe stato premiato se avesse avuto il percorso inverso. Il suo poi è un romanzo, mica un saggio culturale controcorrente. E lo sdoganamento di temi fascio-antifascisti non è una novità. Basti pensare a Pansa il quale, provenendo da sinistra, riuscì ad avere quel meritato successo editoriale. Comunque, se il premio a Pennacchi servirà in futuro a far cadere i divieti su un Buttafuoco, per fare un esempio recente, ne sarò ben lieto. Non per la cultura di destra, ma per il riconoscimento dei meriti e delle qualità a prescindere se l’autore sia «di destra». È quello il vero problema, caro Pigi, la qualità non viene riconosciuta, non solo a scuola o nei ministeri, ma anche nei giornali e nella cultura. Se poi traduci pure questa critica con lagna, allora tutti i tuoi articoli sono lagne alternate sulla destra e sulla sinistra.
(di Marcello Veneziani)
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