Per Campi il Cav. “dovrebbe esercitare l’arte del comando anche per dividere e depotenziare il fronte dei critici”. Esempio: “Se avesse detto d’aver ascoltato con interesse e attenzione i rilievi espressi dal procuratore capo dell’Antimafia Piero Grasso, che non è un pretore d’assalto antiberlusconiano; se avesse promesso di tenerne conto, nessuno avrebbe potuto parlare di un suo cedimento”. Lo stesso vale per i rapporti tra il Cav. e quelli che giocano allo sfascio. “Un vero cambio di passo si avrebbe se Berlusconi non assecondasse coloro che gli suggeriscono di mettere in riga i dissidenti, se scegliesse di assumere su di sé la responsabilità della mediazione, nobilitandola con un compromesso”. Un patto con Fini, in queste condizioni di fredda guerriglia quotidiana. “Quali sono le alternative – si domanda Campi – l’espulsione? La separazione consensuale? La nascita di un terzo polo?”. Soluzioni nefaste. “Al limite dell’impraticabilità, a volerle vagliare razionalmente. L’espulsione prevede una procedura complicatissima, qualcosa di simile alla procedura straordinaria con la quale il Pci cacciò il gruppo del manifesto; sarebbe strano in un partito liberale”. Per la separazione consensuale “è decisivo che non ci sia disponibilità da parte di Fini”.
Per Campi le conseguenze politiche sancite dalla fine del Pdl sarebbero fallimentari. “A parte la crisi della maggioranza, ci troveremmo di fronte alla fine della scommessa comune di Fini e di Berlusconi, al fallimento della scommessa bipolare su cui entrambi hanno investito per quindici anni”. Da qui discende l’ineffettualità dell’ipotesi terzopolista sulla quale la stampa va almanaccando in queste ore. Il consigliere di Fini al riguardo parla in modo cristallino: “Che significa il terzo polo? Un’operazione di Palazzo nella quale spezzoni partitici in cerca di ricollocazione si troverebbero insieme, ma con quale base progettuale?”. La scomposizione della maggioranza. “Come a dire il cuneo di un governo tecnico che fa gola ai restauratori del proporzionalismo”. Fini è il primo a doversene guardare. “Sarebbe la sua tomba politica, oltretutto darebbe corpo all’accusa di essere un semplice cospiratore, certificherebbe la veridicità della polemica complottista dei cattivi consiglieri del Cav.”.
Campi definisce il fantasma del terzo polo come “il partito dell’interregno dal quale Fini rischia di essere utilizzato e successivamente scaricato, trovandosi con spazi di manovra ridotti e scarso appeal politico”. Giacché “la partita per l’egemonia si deve giocare all’interno del Pdl, la cui vocazione maggioritaria non è mai stata smentita da Fini”. Né ai piedi del Cav. né contro il Cav. Urge però un contravveleno per il reciproco malanimo. Forse un patto personale, un accordo di gentilhommerie tra duellanti solidali: al primo il lieto fine sul Quirinale, al secondo una centralità riconoscibile nel partito unitario indipendente dalla dialettica maggioranza/minoranza. “Questo ci sarà, magari con un incontro vis-à-vis, penso a una pagina politica senza cronaca giornalistica, senza testimoni, né falchi né colombe, dopo aver entrambi richiamato all’ordine le seconde file”.
Fuori i secondi. “Compreso Gianni Letta”. Ma prima deve intervenire “un passaggio intermedio”, prosegue Campi. “Se è vero che il Pdl è nato per sopravvivere ai suoi fondatori, Berlusconi è chiamato a vincere la propria idiosincrasia per le correnti (pena il ritrovarsele moltiplicate all’esterno come associazioni una volta bandite dentro il Pdl), ad accettare la competizione, e in prospettiva perfino che un nuovo leader abbia linee strategiche differenti dalle sue, come Sarkozy rispetto a Chirac”. Lo stallo non giova a nessuno. “Penso che Berlusconi stia anche soffrendo le leggerezze e gli errori del suo gruppo dirigente: non è più quello del ’94, lui lo protegge perché non è un cinico e questo gli fa onore, ma certe ‘trasgressioni’ politiche si possono concedere soltanto al Cav., non ai sottoposti”.
(di Alessandro Giuli)
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