L’amore conta. Perfino sovrabbondante è quello che circonda Gianfranco Fini e i suoi farefuturisti nella tenzone contro il regime berlusconiano. Una corrispondenza d’amorosi sensi, e sinistri, alla quale il fascista è storicamente sensibili fin dai tempi delle catacombe. Come nulla poteva illanguidire il cuore granitico di un camerata più del sorriso d’una compagna appena uscita dal collettivo femminista dedicato all’interdetto di giacersi con un antidemocratico, così nulla poteva inorgoglire l’autostima in camicia nera più d’una lusinga intellettuale del comunista egemone di turno – “ma come fai ad essere fascista, tu che hai queste idee così avanzate?”.
La meccanica non è cambiata, si è anzi dilatata con gli anni e lievita adesso che il finismo ambisce al martirologio antiberlusconiano. Non c’è soltanto chi, come Fiorella Mannoia reclama da mesi un Fini alla guida del Pd; né l’orgia di affetti si limita all’ospitalità solidale che il Fatto Quotidiano riserva alle idee e ai blog finiani; né tutto si compie con la svenevolezza nella quale Repubblica incornicia quasi ogni giorno le prestazioni libertarie del presidente della Camera (da ultimo c’è il poeta di corte pachistano adottato in spiaggia ad Ansedonia tra le dune della gente che piace alla sinistra che piace). Ieri s’è aggiunto sul Manifesto, per Fini, lo spettacolare coming out fasciocomunista del prof. Alberto Asor Rosa: “… ha giocato un ruolo positivo nelle ultime vicende il ‘fascismo di sinistra‘ cui attinge la formazione di diversi componenti del suo gruppo (non di Fini, naturalmente), e che io giudico migliore del berlusconismo”. Non fa una piega. Dal sansepolcrismo a Salò, dal manifesto di Verona alle speculazioni di Beppe Niccolai, tutto si teneva nel cerchio rossobruno del socialfascismo missino. Mancava, questo sì, l’ultima riabilitazione sentimentale, la certificazione da sinistra che Nicola Bombacci non morì invano. Infine il cuore traboccante di Asor Rosa, camerata in camicia rossa, ha colmato la distanza. A saperlo ci si poteva risparmiare il lavacro di Fiuggi, bastava maganellare il Cav. 15 anni prima. Eccolo, il rimpianto dei farefuturisti. Ma si sa che l’amore ha i suoi tempi.
(di Alessandro Giuli)
La meccanica non è cambiata, si è anzi dilatata con gli anni e lievita adesso che il finismo ambisce al martirologio antiberlusconiano. Non c’è soltanto chi, come Fiorella Mannoia reclama da mesi un Fini alla guida del Pd; né l’orgia di affetti si limita all’ospitalità solidale che il Fatto Quotidiano riserva alle idee e ai blog finiani; né tutto si compie con la svenevolezza nella quale Repubblica incornicia quasi ogni giorno le prestazioni libertarie del presidente della Camera (da ultimo c’è il poeta di corte pachistano adottato in spiaggia ad Ansedonia tra le dune della gente che piace alla sinistra che piace). Ieri s’è aggiunto sul Manifesto, per Fini, lo spettacolare coming out fasciocomunista del prof. Alberto Asor Rosa: “… ha giocato un ruolo positivo nelle ultime vicende il ‘fascismo di sinistra‘ cui attinge la formazione di diversi componenti del suo gruppo (non di Fini, naturalmente), e che io giudico migliore del berlusconismo”. Non fa una piega. Dal sansepolcrismo a Salò, dal manifesto di Verona alle speculazioni di Beppe Niccolai, tutto si teneva nel cerchio rossobruno del socialfascismo missino. Mancava, questo sì, l’ultima riabilitazione sentimentale, la certificazione da sinistra che Nicola Bombacci non morì invano. Infine il cuore traboccante di Asor Rosa, camerata in camicia rossa, ha colmato la distanza. A saperlo ci si poteva risparmiare il lavacro di Fiuggi, bastava maganellare il Cav. 15 anni prima. Eccolo, il rimpianto dei farefuturisti. Ma si sa che l’amore ha i suoi tempi.
(di Alessandro Giuli)
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