«Deve correre dai frati a farsi benedire». Lo diceva mia nonna Caterina Zaffiro di una persona afflitta da troppe disgrazie. Vorrei dare lo stesso consiglio al Partito democratico. Ma può lo stato maggiore del Pd precipitarsi al convento più vicino e chiedere di essere benedetto dal primo frate che incontra? Penso proprio di no. È vero che nel Pd gli ex democristiani sono tanti. E non mancano le pie donne come Rosy Bindi. Però immagino che, dopo un’apposita assemblea, un dibattito ampio e la presentazione di più mozioni, il consiglio di mia nonna verrebbe respinto.
Eppure il settembre 2010 passerà alla storia come il più iellato del partito di Pierluigi Bersani. Preso di mira dalla sfortuna anche nelle piccole faccende. Per dirne una, sapete che cosa è accaduto alla Festa del Pd a Reggio Emilia, roccaforte post-comunista? I dirigenti reggiani avevano accolto un gruppo di nove detenuti del carcere locale che, in prigione, si erano iscritti a un corso per addetto alla ristorazione.
I galeotti sembravano contenti di fare i cuochi alla festa democratica. Godevano di un permesso speciale, dalle 12 alle 24. Poi ritornavano a dormire in cella. Hanno fatto così tutti, tranne due. A festa conclusa se ne sono andati chissà dove. Uno di loro doveva scontare una condanna per omicidio. E sino a oggi non li hanno ripresi.
Sembra un film con Alberto Sordi e Nino Manfredi. Invece è una storia vera, scovata dalla Gazzetta di Reggio, il primo quotidiano della città. Non ne ha parlato quasi nessuno, per un motivo banale e, insieme, fantozziano. Il Pd non fa più notizia, se non per le risse interne che lo squassano. Dovrebbe essere il contrario, visto lo stato comatoso del centro-destra e l’ipotesi di elezioni anticipate. Eppure succede. Infatti i titoloni di questi giorni hanno un suono lugubre. Sono rulli di tamburo che annunciano una sanguinosa resa dei conti interna fra Bersani, Max D’Alema e il redivivo Perdente di Successo, ossia Walter Veltroni.
Un commentatore perspicace come Massimo Franco, del Corriere della sera, ha paragonato il dramma del Pd a quello del Pdl che ha portato alla scissione i futuristi di Gianfranco Fini. È un’osservazione che mi ha colpito, però non del tutto. Al fondo del contrasto fra il mondo di Silvio Berlusconi e quello finiano c’era, e c’è tuttora, anche una separatismo culturale ormai definitivo. Leggo ogni giorno il Secolo d’Italia e mi sembra di rivedere il vecchio Espresso degli anni Cinquanta. Tornano a rivivere autori, libri, film, mode culturali, personaggi, manie e vizi snobistici che erano stati decisivi per la mia disordinata formazione di imberbe laico-socialista. Quello del Secolo è un antiquariato che mi commuove. Ma non so quanto sia adatto ai furibondi tempi d’oggi.
Le stesse domande mi suscita la guerra scoppiata dentro il Pd. Perché è esplosa? A che cosa mira? Quali retroscena nasconde? Per quale motivo il magico Uolter ha appiccato l’incendio che rischia d’incenerire il primo partito d’opposizione? Nessun quotidiano riesce a spiegarlo con chiarezza. C’è un solo fatto evidente: il virus del suicidio politico, dopo aver fatto il suo lavoraccio nel Pdl, adesso ha traslocato nei democratici per mandare anche loro al tappeto. E proprio nel momento meno adatto a una malattia senza speranza: quello che vede l’avversario di sempre, il Caimano, menomato da una scissione e nel terrore di una sconfitta in Parlamento.
Da ex elettore del Pd, diventato un astensionista abituale, mi sento solidale con quel povero cireneo di Bersani. A proposito dell’insorgenza veltroniana ha esclamato: «Ecco un bel pacco di Natale per Berlusconi!». E se non ricordo male ha aggiunto: quando un partito guarda soltanto il proprio ombelico, può anche chiudere bottega perché non ha più nessun futuro davanti a sé.
Qualche lettore del Bestiario avrebbe il diritto di domandarmi: «Visto che lei non va più a votare, perché le preme tanto la sopravvivenza della parrocchia di Bersani?». Me lo sono chiesto anch’io. E ho trovato una risposta che mi sembra convincente. Cari amici, stiamo vivendo tempi ruvidi, che diventeranno sempre più cattivi e difficili. La paralisi del sistema partitico sta eccitando troppi spiriti malvagi che vedono nel caos politico un’occasione formidabile per mettere in mostra la loro vocazione al ribellismo, alla violenza fisica, alla conquista militare della piazza.
Ce lo confermano le aggressioni a Dell’Utri a Como e Milano, poi alla festa nazionale del Pd a Torino contro il presidente del Senato e il segretario della Cisl. Quindi alla festa del Pd di Milano contro il senatore Ichino. E quanto è accaduto dopo. Giovedì il ministro Gelmini non ha potuto andare a un dibattito al Corriere della sera per l’assedio di bande antagoniste. Persino la Lega ha dovuto annullare la festa per Miss Padania a Genova, dal momento che il ribellismo rosso non la voleva.
Leggo dodici quotidiani al giorno per capire quel che sta accadendo in Italia. E ne ho tratto una convinzione raggelante: la libertà di parola in pubblico è dimezzata. Certo, si può tentare di metterla in pratica con la protezione massiccia delle forze dell’ordine. Ma è una prova avvilente. Di solito sono i regimi autoritari a decidere chi può parlare e chi no. Però non mi pare che ci sia stato nessun golpe.
Con questi chiari di luna, dobbiamo augurarci la dissoluzione del Pd? Per quanto mi riguarda, non sono così sciocco. Dunque mi schiero con Bersani. Salvate il soldato Pierluigi. E lasciatelo lavorare in pace.
(di Giampaolo Pansa)
Eppure il settembre 2010 passerà alla storia come il più iellato del partito di Pierluigi Bersani. Preso di mira dalla sfortuna anche nelle piccole faccende. Per dirne una, sapete che cosa è accaduto alla Festa del Pd a Reggio Emilia, roccaforte post-comunista? I dirigenti reggiani avevano accolto un gruppo di nove detenuti del carcere locale che, in prigione, si erano iscritti a un corso per addetto alla ristorazione.
I galeotti sembravano contenti di fare i cuochi alla festa democratica. Godevano di un permesso speciale, dalle 12 alle 24. Poi ritornavano a dormire in cella. Hanno fatto così tutti, tranne due. A festa conclusa se ne sono andati chissà dove. Uno di loro doveva scontare una condanna per omicidio. E sino a oggi non li hanno ripresi.
Sembra un film con Alberto Sordi e Nino Manfredi. Invece è una storia vera, scovata dalla Gazzetta di Reggio, il primo quotidiano della città. Non ne ha parlato quasi nessuno, per un motivo banale e, insieme, fantozziano. Il Pd non fa più notizia, se non per le risse interne che lo squassano. Dovrebbe essere il contrario, visto lo stato comatoso del centro-destra e l’ipotesi di elezioni anticipate. Eppure succede. Infatti i titoloni di questi giorni hanno un suono lugubre. Sono rulli di tamburo che annunciano una sanguinosa resa dei conti interna fra Bersani, Max D’Alema e il redivivo Perdente di Successo, ossia Walter Veltroni.
Un commentatore perspicace come Massimo Franco, del Corriere della sera, ha paragonato il dramma del Pd a quello del Pdl che ha portato alla scissione i futuristi di Gianfranco Fini. È un’osservazione che mi ha colpito, però non del tutto. Al fondo del contrasto fra il mondo di Silvio Berlusconi e quello finiano c’era, e c’è tuttora, anche una separatismo culturale ormai definitivo. Leggo ogni giorno il Secolo d’Italia e mi sembra di rivedere il vecchio Espresso degli anni Cinquanta. Tornano a rivivere autori, libri, film, mode culturali, personaggi, manie e vizi snobistici che erano stati decisivi per la mia disordinata formazione di imberbe laico-socialista. Quello del Secolo è un antiquariato che mi commuove. Ma non so quanto sia adatto ai furibondi tempi d’oggi.
Le stesse domande mi suscita la guerra scoppiata dentro il Pd. Perché è esplosa? A che cosa mira? Quali retroscena nasconde? Per quale motivo il magico Uolter ha appiccato l’incendio che rischia d’incenerire il primo partito d’opposizione? Nessun quotidiano riesce a spiegarlo con chiarezza. C’è un solo fatto evidente: il virus del suicidio politico, dopo aver fatto il suo lavoraccio nel Pdl, adesso ha traslocato nei democratici per mandare anche loro al tappeto. E proprio nel momento meno adatto a una malattia senza speranza: quello che vede l’avversario di sempre, il Caimano, menomato da una scissione e nel terrore di una sconfitta in Parlamento.
Da ex elettore del Pd, diventato un astensionista abituale, mi sento solidale con quel povero cireneo di Bersani. A proposito dell’insorgenza veltroniana ha esclamato: «Ecco un bel pacco di Natale per Berlusconi!». E se non ricordo male ha aggiunto: quando un partito guarda soltanto il proprio ombelico, può anche chiudere bottega perché non ha più nessun futuro davanti a sé.
Qualche lettore del Bestiario avrebbe il diritto di domandarmi: «Visto che lei non va più a votare, perché le preme tanto la sopravvivenza della parrocchia di Bersani?». Me lo sono chiesto anch’io. E ho trovato una risposta che mi sembra convincente. Cari amici, stiamo vivendo tempi ruvidi, che diventeranno sempre più cattivi e difficili. La paralisi del sistema partitico sta eccitando troppi spiriti malvagi che vedono nel caos politico un’occasione formidabile per mettere in mostra la loro vocazione al ribellismo, alla violenza fisica, alla conquista militare della piazza.
Ce lo confermano le aggressioni a Dell’Utri a Como e Milano, poi alla festa nazionale del Pd a Torino contro il presidente del Senato e il segretario della Cisl. Quindi alla festa del Pd di Milano contro il senatore Ichino. E quanto è accaduto dopo. Giovedì il ministro Gelmini non ha potuto andare a un dibattito al Corriere della sera per l’assedio di bande antagoniste. Persino la Lega ha dovuto annullare la festa per Miss Padania a Genova, dal momento che il ribellismo rosso non la voleva.
Leggo dodici quotidiani al giorno per capire quel che sta accadendo in Italia. E ne ho tratto una convinzione raggelante: la libertà di parola in pubblico è dimezzata. Certo, si può tentare di metterla in pratica con la protezione massiccia delle forze dell’ordine. Ma è una prova avvilente. Di solito sono i regimi autoritari a decidere chi può parlare e chi no. Però non mi pare che ci sia stato nessun golpe.
Con questi chiari di luna, dobbiamo augurarci la dissoluzione del Pd? Per quanto mi riguarda, non sono così sciocco. Dunque mi schiero con Bersani. Salvate il soldato Pierluigi. E lasciatelo lavorare in pace.
(di Giampaolo Pansa)
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