Ma esiste davvero un pensiero italiano, una linea filosofica che ha caratteristiche e originalità nazionali? Prima ancora di rispondere c’è chi boccia come insensata la domanda: ma come si può dare un confine, un territorio al pensiero che per sua natura è fluido e sfuggente, senza dimora; e come si può solo ipotizzare una cosa del genere nell’epoca della tecnica e del globale? A queste pregiudiziali di sbarramento aggiungetene un’altra che deriva dall’antica abitudine all’autodenigrazione nazionale: via, l’Italia è solo una provincia e un bordello, una periferia dell’occidente; la capitale del pensiero era la Germania, poi con gli analitici si è spostata sull’Atlantico. Che ci azzecca l’Italietta in questi scenari?
A un pensiero italiano credeva invece Augusto del Noce che considerava l’Italia non una provincia filosofica ma addirittura il laboratorio mondiale del pensiero, laddove il marxismo e l’idealismo hanno raggiunto il loro capolinea con Gentile e con Gramsci, e la rivoluzione si suicidò nel nichilismo. Prima di Del Noce al pensiero italiano aveva creduto lo stesso Gentile, ultimo risorgimentale. Ora, dopo di loro, riapre la linea italiana Roberto Esposito, filosofo della comunità sulle tracce di Bataille, della biopolitica sulle tracce di Foucault e dell’impolitico secondo la definizione di Mann. Esposito ha ora pubblicato da Einaudi Pensiero vivente dedicato all’origine e all’attualità della filosofia italiana (pagg. 265, euro 20). Notevole lavoro, non c'è dubbio, e azzeccati gli autori su cui fondare il percorso: Machiavelli e Bruno, Vico e Cuoco, Leopardi e De Sanctis. E poi Croce, Gramsci e Gentile, fino a Del Noce, Vattimo e Pasolini, più l’intrusione degli operaisti Toni Negri e Tronti. A eccezione degli ultimi due, sono gli stessi autori su cui fondai ne La rivoluzione conservatrice in Italia (1987), la linea di un pensiero italiano o una «ideologia italiana », come scrivevo parafrasando un’opera di Marx ( L’ideologia tedesca ). A loro aggiungevo Rosmini e Gioberti, Rensi e i fiorentini. Anch’io come Esposito ravvisavo in Vico il filosofo di «un’altra modernità»; e come lui notavo ma in un’accezione diversa, l’emergere in Italia di una geofilosofia comunitaria.
Il pensiero italiano è indagato da Esposito con categorie estranee al medesimo pensiero ma usuali nelle opere di Esposito (immunitas, biopolitica, impolitico); e per chi non conosce le altre opere di Esposito e il suo gergo la lettura si rende difficile. Ma torno alla domanda iniziale: allora esiste un pensiero italiano? Sì, rispondo, anche se per ragioni un po’ diverse da quelle espresse da Esposito. Se hanno ragione Vico e Machiavelli, l’origine è decisiva per fondare la differenza italiana. E l’origine non è un astratto fondamento o una vaga indole, ma coincide con i tre fondamenti storici dell’eccezionalità italiana: la civiltà romana, la civiltà cristiana che ebbe in Roma la sua sede e la civiltà dell'arte che dette all’Italia un primato mondiale. Il pensiero italiano sorge in relazione, a volte in contrasto, ma comunque all'ombra, di queste tre origini. Senza quella triplice radice non capiremmo Vico e Machiavelli, la valenza umanistica e artistica del pensiero italiano, la sua commistione filosofico-letteraria (in Dante e Leopardi, in Bruno e Campanella, ma anche in Cuoco, De Sanctis, Croce e Gramsci), la prevalenza di un pensiero comunitario e statale per correggere la naturale tendenza italiana all'individualismo e all' anarchia, il tormentato rapporto tra pubblico e privato o tra etica e morale; lo spiritualismo e il vitalismo intrecciati; il richiamo maestoso o retorico al mito delle origini, il fascino della fantasia creatrice, il sostanziale antimaterialismo, antiscientismo e antipositivismo, la diffidenza per l’illuminismo, la tendenza ad una fondazione teologica della politica, la vocazione educativa del pensiero, l’interventismo della cultura nel nome di un impegno civile se non ideologico, nazional-popolare, la spinta a identificare pensiero e azione, filosofia e storia, la diffidenza per le regole, e infine la percezione dell’anomalia italiana a volte come patologia, a volte come primato mondiale.
Il pensiero italiano ha partorito anche una sua linea d'ombra, anti-italiana, che ha accusato l’Italia di vivere prigioniera delle sue tre eredità: la romanità, la controriforma cattolica e l’umanesimo antiscientifico e antiprogressista. Non è possibile oggi pensare a un’ideologia italiana; ma è possibile oggi pensare a una ripresa vivace, post-globale e plurale della tradizione italiana. Non più nei termini angusti dello Stato nazione, dello Stato etico o del nazionalismo filosofico; ma sulla linea di una geofilosofia originaria e originale si può ripensare oggi la differenza italiana, la civiltà italiana e la sua attualità filosofica. Pensare italiano oggi è possibile e forse necessario. Piccolo particolare, mancano i pensatori, o passano inosservati. Abbondano i professori, gli impiegati di concetto della filosofia, prosperano i clan e le sette, pullulano i notai del nichilismo che certificano la morte del pensiero. Mancano i pensatori.
(di Marcello Veneziani)
A un pensiero italiano credeva invece Augusto del Noce che considerava l’Italia non una provincia filosofica ma addirittura il laboratorio mondiale del pensiero, laddove il marxismo e l’idealismo hanno raggiunto il loro capolinea con Gentile e con Gramsci, e la rivoluzione si suicidò nel nichilismo. Prima di Del Noce al pensiero italiano aveva creduto lo stesso Gentile, ultimo risorgimentale. Ora, dopo di loro, riapre la linea italiana Roberto Esposito, filosofo della comunità sulle tracce di Bataille, della biopolitica sulle tracce di Foucault e dell’impolitico secondo la definizione di Mann. Esposito ha ora pubblicato da Einaudi Pensiero vivente dedicato all’origine e all’attualità della filosofia italiana (pagg. 265, euro 20). Notevole lavoro, non c'è dubbio, e azzeccati gli autori su cui fondare il percorso: Machiavelli e Bruno, Vico e Cuoco, Leopardi e De Sanctis. E poi Croce, Gramsci e Gentile, fino a Del Noce, Vattimo e Pasolini, più l’intrusione degli operaisti Toni Negri e Tronti. A eccezione degli ultimi due, sono gli stessi autori su cui fondai ne La rivoluzione conservatrice in Italia (1987), la linea di un pensiero italiano o una «ideologia italiana », come scrivevo parafrasando un’opera di Marx ( L’ideologia tedesca ). A loro aggiungevo Rosmini e Gioberti, Rensi e i fiorentini. Anch’io come Esposito ravvisavo in Vico il filosofo di «un’altra modernità»; e come lui notavo ma in un’accezione diversa, l’emergere in Italia di una geofilosofia comunitaria.
Il pensiero italiano è indagato da Esposito con categorie estranee al medesimo pensiero ma usuali nelle opere di Esposito (immunitas, biopolitica, impolitico); e per chi non conosce le altre opere di Esposito e il suo gergo la lettura si rende difficile. Ma torno alla domanda iniziale: allora esiste un pensiero italiano? Sì, rispondo, anche se per ragioni un po’ diverse da quelle espresse da Esposito. Se hanno ragione Vico e Machiavelli, l’origine è decisiva per fondare la differenza italiana. E l’origine non è un astratto fondamento o una vaga indole, ma coincide con i tre fondamenti storici dell’eccezionalità italiana: la civiltà romana, la civiltà cristiana che ebbe in Roma la sua sede e la civiltà dell'arte che dette all’Italia un primato mondiale. Il pensiero italiano sorge in relazione, a volte in contrasto, ma comunque all'ombra, di queste tre origini. Senza quella triplice radice non capiremmo Vico e Machiavelli, la valenza umanistica e artistica del pensiero italiano, la sua commistione filosofico-letteraria (in Dante e Leopardi, in Bruno e Campanella, ma anche in Cuoco, De Sanctis, Croce e Gramsci), la prevalenza di un pensiero comunitario e statale per correggere la naturale tendenza italiana all'individualismo e all' anarchia, il tormentato rapporto tra pubblico e privato o tra etica e morale; lo spiritualismo e il vitalismo intrecciati; il richiamo maestoso o retorico al mito delle origini, il fascino della fantasia creatrice, il sostanziale antimaterialismo, antiscientismo e antipositivismo, la diffidenza per l’illuminismo, la tendenza ad una fondazione teologica della politica, la vocazione educativa del pensiero, l’interventismo della cultura nel nome di un impegno civile se non ideologico, nazional-popolare, la spinta a identificare pensiero e azione, filosofia e storia, la diffidenza per le regole, e infine la percezione dell’anomalia italiana a volte come patologia, a volte come primato mondiale.
Il pensiero italiano ha partorito anche una sua linea d'ombra, anti-italiana, che ha accusato l’Italia di vivere prigioniera delle sue tre eredità: la romanità, la controriforma cattolica e l’umanesimo antiscientifico e antiprogressista. Non è possibile oggi pensare a un’ideologia italiana; ma è possibile oggi pensare a una ripresa vivace, post-globale e plurale della tradizione italiana. Non più nei termini angusti dello Stato nazione, dello Stato etico o del nazionalismo filosofico; ma sulla linea di una geofilosofia originaria e originale si può ripensare oggi la differenza italiana, la civiltà italiana e la sua attualità filosofica. Pensare italiano oggi è possibile e forse necessario. Piccolo particolare, mancano i pensatori, o passano inosservati. Abbondano i professori, gli impiegati di concetto della filosofia, prosperano i clan e le sette, pullulano i notai del nichilismo che certificano la morte del pensiero. Mancano i pensatori.
(di Marcello Veneziani)
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