«Non ho mai minacciato le elezioni, sono sempre stato convinto che fossero un guaio». Con queste parole Silvio Berlusconi, nella conferenza stampa di ieri sera a Palazzo Chigi, ha voluto allontanare nuovamente lo spettro del voto anticipato, rilanciando i “cinque punti” appena presentati alle Camere. La strada che porta alle urne, ha spiegato il premier, non è “agevole”, anche perché un governo tecnico non è poi così difficile da realizzare. Non resta che concentrarsi sulle riforme, quindi, prendendo per buono l’impegno dei finiani a sostenere lealmente il governo e il suo programma.
«Il Cavaliere sembra davvero intenzionato ad affrontare un’impresa titanica - dice Giampaolo Pansa a Il Sussidiario.net. Ma il governo rispetterà gli impegni presi? Realizzerà quello che non ha ancora saputo realizzare? Ho paura che questa volta il proverbiale entusiasmo di Berlusconi potrebbe non bastare».
Ci spieghi meglio.
«Sarà una diagnosi banale, ma è chiaro a tutti che Fini ormai gioca in un’altra squadra, sta costruendo un nuovo partito ed è intenzionato a continuare la guerriglia. Nei fatti non è più parte della maggioranza che sostiene il governo. E, visto che la matematica ci dice che il Cavaliere ha potuto incassare la fiducia solo grazie ai voti di Futuro e Libertà, la conclusione è una sola».
Quale?
«Questa legislatura non può durare fino al 2013 e forse nemmeno fino al 2011. Pensare che il nuovo soggetto politico finiano possa fare da “terza gamba” al governo Berlusconi mi sembra davvero fantapolitica».
Gli impegni presi, secondo lei, vanno al di là di ciò che si riuscirà a realizzare?
«I punti che Berlusconi ha illustrato in Parlamento sono le cinque piaghe croniche del Paese. Prendiamone soltanto una: la giustizia. Da quanto tempo auspichiamo che venga risolto questo vero e proprio dramma che travolge soprattutto l’italiano senza potere, il cosiddetto “uomo della strada”. Siamo rimasti in pochi a non confondere Berlusconi né col Diavolo né col Padreterno e posso dire di aver ascoltato il Presidente del Consiglio senza pregiudizi. Le intenzioni mi sembrano buone, ma con “tre gambe” non si va lontano».
Ma come si spiega questo immobilismo, questa immensa difficoltà nel riformare il Paese vincendo i conservatorismi e i veti incrociati?
«A mio parere è il sistema dei partiti a essere andato in tilt, tant’è che centrodestra e centrosinistra sono andati in crisi soltanto per dissidi interni. In secondo luogo, è in atto una “lotta tra bande” che distrugge tutto. Se anche l’avversario ne combina una giusta l’importante è demolire».
Sono segnali che preannunciano la fine del bipolarismo?
«In parte è già finito, anche se mi sembra un destino fatale da cui non riusciamo a liberarci. Forse in un momento così complicato, a causa della crisi economica e sociale, resta la strada migliore. Perciò dico che il bipolarismo è malato e bisognerebbe curarlo perché chi vuole il ritorno del proporzionale potrebbe addirittura peggiorare le cose».
Se non crede al rilancio dell’azione del governo cosa sarebbe meglio augurarsi?
«Sono stato tra i primi, assieme al direttore del Tg1 Augusto Minzolini, a sostenere che non ci sono strade alternative al voto perché il quadro politico è compromesso. Basta un banale incidente per ritrovarci in un attimo alle urne. La stessa Lega non mi sembra intenzionata ad aspettare e potrebbe essere il vero detonatore delle nuove elezioni».
Lei era stato anche uno dei primi a denunciare un clima che si stava facendo sempre più pesante…
«È vero, sono stato il primo a ricordare a tutti gli “Anni di piombo” e, nonostante le ironie, sono convinto di non avere esagerato. Da giornalista ho seguito da vicino la stagione del terrorismo. Tante cose ovviamente sono diverse, anche perché sono passati 40 anni. Se però si torna con la mente all’“alba” delle Brigate Rosse si potrà ritrovare una “caccia all’uomo” che a mio parere è ancora in corso».
A cosa si riferisce?
«Le intimidazioni alla Cisl, l’agguato a Maurizio Belpietro e parecchi altri episodi inquietanti che si stanno ripetendo con una certa regolarità. Nel caso del direttore di Libero devo dire che, purtroppo, non ho visto una solidarietà sincera e incondizionata. Lo sento spessissimo e da tempo mi racconta minacce ed episodi che non posso riferirle. Devo ritenermi fortunato, perché in un certo senso sono “fuori dal mondo”. Quello che accade a lui, sono convinto che riguardi anche Vittorio Feltri e Mario Sechi. Il nostro è un Paese che si sta distruggendo con le proprie mani, anche grazie alla faziosità politica che secerne tutte le mattine attraverso alcuni giornali».
Ma se davvero ci ritrovassimo improvvisamente in campagna elettorale questo clima non potrebbe addirittura degenerare?
«Una campagna elettorale dura 45 giorni, sarebbe certamente violenta, ma, si spera, soltanto a parole. Se però siamo arrivati al punto di aver paura delle elezioni significa che siamo davvero finiti. Se è così meglio chiudere bottega, Montecitorio e Palazzo Madama...».
(fonte: http://www.ilsussidiario.net/)
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