Volevo scrivere anch’io del Bunga Bunga, ossia dell’ennesima cazzata del nostro premier Silvio Berlusconi. Poi mi sono arreso davanti alla potenza di fuoco dei massimi giornaloni italiani. Venerdì e ieri, il Corriere della sera ha dedicato al Bunga Bunga ben dodici pagine, e la Repubblica addirittura quattordici. Che poteva dire di più il povero Bestiario, rispetto alle corazzate della stampa italica? Allora ho deciso di applicarmi a un’altra vicenda assai meno grossolana, e soprattutto per niente fangosa. Che tuttavia dice parecchio sul conto dell’Italia anti-Cavaliere. Anch’essa un tantino storta e piena di domande senza risposte.
La vicenda parte da Roberto Saviano, l’autore di “Gomorra”, e dalla sua ingenuità. Si può aver scritto un libro molto fortunato e, al tempo stesso, essere ingenui? Certo che si può. Lo dimostra Saviano che ha deciso di consegnarsi alla televisione, accettando l’invito di Fabio Fazio e del suo spin doctor, Michele Serra, quest’ultimo già autore del talk show faziesco “Che tempo che fa”. Il terzetto produrrà per la Rete Tre della Rai “Vieni via con me”, un programma che in qualche puntata pretende di raccontare il rebus impazzito dell’Italia di oggi.
Saviano e Fazio hanno reso noto il loro manifesto politico-culturale in un lungo servizio di Sette, il magazine del Corrierone. Rivelando una quantità di ottimi propositi, raccolti da un adorante Aldo Cazzullo, in estasi come succede soltanto ai fedeli al cospetto dei santi. Domande generiche e risposte a cascata. Dall’insieme mi pare di aver compreso che Saviano abbia due obiettivi. Il primo è dire la verità. Il secondo è di «parlare a tutti: alla sinistra come alla destra, ai meridionali come alla base leghista».
Non dubito che, nella sua prima avventura televisiva, l’autore di “Gomorra” voglia mostrarsi ecumenico e imparziale. Ma se è così, ha sbagliato partner. Anzi, per dirla con schiettezza, è stato tanto sprovveduto da mettersi nelle mani di due furboni che sono sempre stati tutto tranne che imparziali.
Di Serra sappiamo quel che serve. Lui non ha mai voluto mostrarsi al di sopra delle parti. Per rendersene conto, basta leggere le sue rubriche su Repubblica e sull’Espresso. È rimasto il vecchio satirico rosso di un tempo. Intendo il tempo del vecchio Pci, quando il nemico da distruggere era la Balena democristiana. Oggi l’avversario da radere al suolo è Silvio Bunga Bunga. Per questo Michele mi piace. È un noioso al cubo. Però non ci prende di soppiatto con qualche sorpresa. E in questi tempi perigliosi è già un merito.
Per Fazio, il primo dei due furboni, la faccenda è diversa, Anche lui è rosso, un ciliegione che non ha eguali neppure nella vermiglia Rai Tre. Però ama interpretare il ruolo opposto. Quello dell’abatino innocente senza parrocchia, amico di tutti e nemico di nessuno. In realtà, nella Rai odierna frantumata in sultanati, non c’è nessuno più fazioso di lui. Ha la manina avvolta nel velluto grigio, ma dentro vi nasconde lo stiletto avvelenato.
È con questa lama che Fazio pratica una censura inflessibile. Truccata da libertà di scelta, quella che spetta a tutti i conduttori di talk show. In realtà, il pallido Fazio non sceglie, ma discrimina. Gestendo in modo autoritario il potere più forte di “Che tempo che fa”: promuovere libri e autori. Un regime accettabile in una tivù privata, però non alla Rai. Che è pur sempre pagata dal canone versato dai “tutti” ai quali Saviano vorrebbe parlare.
In più di un caso, il settarismo di Fazio ha offerto, sempre a spese di tutti, spettacolini grotteschi. Accadde quando presentò un libro del direttore dei giornali radio Rai unificati. Gli utenti ebbero sott’occhio un’ammucchiata indecente: rete di sinistra, conduttore di sinistra, autore di sinistra in quota Ds. Un conflitto d’interessi sfacciato. Anzi, una marchetta rossa, fra compagnucci che si strizzano l’occhio a vicenda. Felici di averla fatta franca, ancora una volta.
In altri casi, la marchetta si rivelò penosa. Fazio aveva invitato Pietro Ingrao, affinché presentasse l’autobiografia, “Volevo la luna”, pubblicata da Einaudi. In preda a vuoto di memoria, il vecchio capo comunista sostenne che il Pci aveva preso aspre distanze dall’invasione sovietica dell’Ungheria, nel 1956. Un falso totale, come ci insegna la storia. Ma Fazio, e il pubblico invitato, si guardarono bene dall’obiettare. Nemmeno un mormorio, un colpo di tosse, un’occhiata di sbieco.
Come mai? Edmondo Berselli, un intellettuale libero scomparso da poco, lo spiegò così sull’Espresso: «Perché in quel momento si stava celebrando l’apoteosi senescente, ma non senile, di un comunismo impossibile, l’utopia, il grande sogno, l’assalto al cielo. E quindi tanto peggio per i fatti, se i fatti interrompono le emozioni».
A Fazio la verità dei fatti non interessa. Soprattutto quando traccia un quadro della storia e della realtà italiana che fa a pugni con il suo ristretto orizzonte politico. Per questo mi stupisco che Saviano pensi che il compagno Fabio lo aiuti a dire la verità e a parlare a tutti. Fazio e Serra sono come il Gatto e la Volpe della favola di Collodi. Auguro a Saviano di non fare la fine di Pinocchio.
Nel raccogliere per Sette i proclami su “Vieni via con me”, il mio amico Cazzullo, che passa per ipercritico, non si è posto queste domande. E tanto meno le ha presentate a Saviano & Fazio. In compenso, il dittatore di “Che tempo che fa” gli regalerà una comparsata per dare una spintarella al suo libretto appena uscito.
(di Giampaolo Pansa)
La vicenda parte da Roberto Saviano, l’autore di “Gomorra”, e dalla sua ingenuità. Si può aver scritto un libro molto fortunato e, al tempo stesso, essere ingenui? Certo che si può. Lo dimostra Saviano che ha deciso di consegnarsi alla televisione, accettando l’invito di Fabio Fazio e del suo spin doctor, Michele Serra, quest’ultimo già autore del talk show faziesco “Che tempo che fa”. Il terzetto produrrà per la Rete Tre della Rai “Vieni via con me”, un programma che in qualche puntata pretende di raccontare il rebus impazzito dell’Italia di oggi.
Saviano e Fazio hanno reso noto il loro manifesto politico-culturale in un lungo servizio di Sette, il magazine del Corrierone. Rivelando una quantità di ottimi propositi, raccolti da un adorante Aldo Cazzullo, in estasi come succede soltanto ai fedeli al cospetto dei santi. Domande generiche e risposte a cascata. Dall’insieme mi pare di aver compreso che Saviano abbia due obiettivi. Il primo è dire la verità. Il secondo è di «parlare a tutti: alla sinistra come alla destra, ai meridionali come alla base leghista».
Non dubito che, nella sua prima avventura televisiva, l’autore di “Gomorra” voglia mostrarsi ecumenico e imparziale. Ma se è così, ha sbagliato partner. Anzi, per dirla con schiettezza, è stato tanto sprovveduto da mettersi nelle mani di due furboni che sono sempre stati tutto tranne che imparziali.
Di Serra sappiamo quel che serve. Lui non ha mai voluto mostrarsi al di sopra delle parti. Per rendersene conto, basta leggere le sue rubriche su Repubblica e sull’Espresso. È rimasto il vecchio satirico rosso di un tempo. Intendo il tempo del vecchio Pci, quando il nemico da distruggere era la Balena democristiana. Oggi l’avversario da radere al suolo è Silvio Bunga Bunga. Per questo Michele mi piace. È un noioso al cubo. Però non ci prende di soppiatto con qualche sorpresa. E in questi tempi perigliosi è già un merito.
Per Fazio, il primo dei due furboni, la faccenda è diversa, Anche lui è rosso, un ciliegione che non ha eguali neppure nella vermiglia Rai Tre. Però ama interpretare il ruolo opposto. Quello dell’abatino innocente senza parrocchia, amico di tutti e nemico di nessuno. In realtà, nella Rai odierna frantumata in sultanati, non c’è nessuno più fazioso di lui. Ha la manina avvolta nel velluto grigio, ma dentro vi nasconde lo stiletto avvelenato.
È con questa lama che Fazio pratica una censura inflessibile. Truccata da libertà di scelta, quella che spetta a tutti i conduttori di talk show. In realtà, il pallido Fazio non sceglie, ma discrimina. Gestendo in modo autoritario il potere più forte di “Che tempo che fa”: promuovere libri e autori. Un regime accettabile in una tivù privata, però non alla Rai. Che è pur sempre pagata dal canone versato dai “tutti” ai quali Saviano vorrebbe parlare.
In più di un caso, il settarismo di Fazio ha offerto, sempre a spese di tutti, spettacolini grotteschi. Accadde quando presentò un libro del direttore dei giornali radio Rai unificati. Gli utenti ebbero sott’occhio un’ammucchiata indecente: rete di sinistra, conduttore di sinistra, autore di sinistra in quota Ds. Un conflitto d’interessi sfacciato. Anzi, una marchetta rossa, fra compagnucci che si strizzano l’occhio a vicenda. Felici di averla fatta franca, ancora una volta.
In altri casi, la marchetta si rivelò penosa. Fazio aveva invitato Pietro Ingrao, affinché presentasse l’autobiografia, “Volevo la luna”, pubblicata da Einaudi. In preda a vuoto di memoria, il vecchio capo comunista sostenne che il Pci aveva preso aspre distanze dall’invasione sovietica dell’Ungheria, nel 1956. Un falso totale, come ci insegna la storia. Ma Fazio, e il pubblico invitato, si guardarono bene dall’obiettare. Nemmeno un mormorio, un colpo di tosse, un’occhiata di sbieco.
Come mai? Edmondo Berselli, un intellettuale libero scomparso da poco, lo spiegò così sull’Espresso: «Perché in quel momento si stava celebrando l’apoteosi senescente, ma non senile, di un comunismo impossibile, l’utopia, il grande sogno, l’assalto al cielo. E quindi tanto peggio per i fatti, se i fatti interrompono le emozioni».
A Fazio la verità dei fatti non interessa. Soprattutto quando traccia un quadro della storia e della realtà italiana che fa a pugni con il suo ristretto orizzonte politico. Per questo mi stupisco che Saviano pensi che il compagno Fabio lo aiuti a dire la verità e a parlare a tutti. Fazio e Serra sono come il Gatto e la Volpe della favola di Collodi. Auguro a Saviano di non fare la fine di Pinocchio.
Nel raccogliere per Sette i proclami su “Vieni via con me”, il mio amico Cazzullo, che passa per ipercritico, non si è posto queste domande. E tanto meno le ha presentate a Saviano & Fazio. In compenso, il dittatore di “Che tempo che fa” gli regalerà una comparsata per dare una spintarella al suo libretto appena uscito.
(di Giampaolo Pansa)
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