giovedì 4 novembre 2010

Fli, movimento senza radici


Chi volesse rinvenire a tutti i costi i caratteri, sbiaditi, di una destra riconoscibile e dunque coerente con la sua tradizione storico-culturale nel nascituro partito di Gianfranco Fini, dovrebbe prodursi in spericolate acrobazie intellettuali che comunque lo lascerebbero insoddisfatto.

Si dirà che è prematuro qualificare politicamente Futuro e libertà: è necessario attendere la convention di Bastia Umbra per saperne di più. a dal lavorio prodotto finora non è difficile intuire che il soggetto finiano non ha la benché minima intenzione di autorappresentarsi come movimento legato ad una visione del mondo che potremmo definire di destra. Lo si capisce, inoltre, dall'accorta regia movimentista che ha segnato la vicenda di Fli in questi ultimi mesi; dal ripudio, ancorché non esplicitato, ma abilmente fatto intuire, di radici politiche qualificanti, forse per potersi spendere a seconda delle occasioni e non pagare dazi ideologici; dal confuso "manifesto d'ottobre" criticato un po' da tutti per l'indeterminatezza dei riferimenti e degli obiettivi; dall'unico testo organico di cui il nuovo partito dispone: "I1 futuro della libertà", scritto da Fini, nel quale, è impossibile riscontrare un qualsivoglia riferimento ad una cultura tradizionalista, conservatrice, antiprogressista da parte dell'ex-leader del Msi e di An.

E probabilmente era proprio questo il suo obiettivo. Si nota, di conseguenza, un accentuato smarcamento da parte di Fli da quei valori che fino a qualche tempo fa erano i pilastri su cui si reggeva l'impalcatura etico-politica della destra nazionale e molto spazio, al contrario, viene dato al laicismo, al relativismo, al politicamente corretto. È come se si fosse arruolato nel vasto schieramento del pensiero unico. Non c'è bisogno di attendere trattati ponderosi per convincersi del fatto che la Fli è un partito post-moderno, post-ideologico, post-valoriale, post-identitario. Azzardiamo: è un soggetto che cerca nella prassi quotidiana un posizionamento al fine di rendere appetibile quello che sarà il suo peso nel panorama politico. Insomma, ha rinunciato in partenza a qualificarsi per potersi spendere al di là della destra e della sinistra. Perciò l'aver perso per strada uomini certamente di destra, da Domenico Fisichella a Gaetano Rebecchini, segna il distacco definitivo da un progetto che doveva concretizzare l'incontro tra la modernità e la tradizione, innestandosi in un filone di pensiero decisionista, sovranista, identitario nel quale le "anime" cattolica, nazionale, liberale e riformista si sarebbero dovute fondere.

Questa, almeno, era l'ambizione che da Fiuggi in poi aveva mosso Fini ed i suoi più stretti collaboratori. Che cosa sia rimasta dell'esperienza post-missina e post-aennina in Fli è difficile dirlo. I generici richiami all'identità e all'unità nazionale, connessi con il rotta-mato multiculturalismo su cui si attardano alcuni esponenti finiani, l'invocazione ad investire di più nella cultura e nella ricerca, non possono certo qualificare un movimento poiché non sono questi fattori specifici di riconoscimento.

Così come non lo è l'ossessiva sottolineatura della legalità: ma chi l'avverserebbe? Piuttosto, in termini di riforma dello Stato, del conflitto tra Stato-nazione e globalismo politico, di nuove povertà ed economie emergenti come potenze planetarie, delle inquietudini mediterranee e del governo delle risorse mondiali quali sono le posizioni di Fli?

E, per restare nel cortile di casa, un partito davvero può giocare la sua esistenza prescindendo da una collocazione strategica, trascurando di declinare alleanze connesse con progetti coerenti con le Stesse? Finora non abbiamo avuto risposte. Solo una dichiarazione d'intenti abbiamo compreso: "un patto per la rinascita della res publica". Magnifico. Ma ci si faccia sapere con chi e come attuarlo.

(di Gennaro Malgieri)

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