La Grande Guerra, la Vittoria Mutilata, l’Inutile Massacro. Eccola, la Prima Guerra Mondiale, compimento sanguinoso del nostro Risorgimento, apoteosi catastrofica della nostra Unità che diventa, con la coscrizione obbligatoria, unità popolare oltre che nazionale. Gioacchino Volpe (1876-1971) fu il principale storico dell’Italia in cammino, dal Medioevo alla Modernità, dal Risorgimento alla Prima Guerra mondiale e poi al fascismo. Raccontò l’Italia in guerra e il popolo in armi, scrisse pure una storia degli italiani per i ragazzi. Ma Volpe non raccontò solo quella storia, la visse in prima persona, fu decorato con la Medaglia d’argento e vi partecipò da ufficiale in borghese e da storico militare, perché era ormai un accademico sulla quarantina. Quel che presentiamo in questa pagina, piccolo assaggio del suo vasto carteggio, è il Volpe cronista, testimone e partecipe di quella stessa storia che poi scriverà da storico e accademico. Come accadde ad Erodoto, egli fu storico sul campo.
C’è un carteggio fitto di lettere scritte alla famiglia dal fronte o dall’ufficio storiografico della Mobilitazione che mostrano lo sguardo familiare con cui Volpe osserva quel che poi descriverà sul piano pubblico. Lettere tenere, a volte curiose, scritte con la calda umanità che contraddistinse la scrittura di Volpe. Lettere e cartoline che mi ha dato il suo pronipote Amedeo, indirizzate da Gioacchino a sua moglie Elisa Serpieri, spesso chiamata «cara bimba», o a suo figlio Nanni, che diventerà poi l’editore Giovanni Volpe, all’epoca poco più che bambino. Sono lettere autografe, a volte ricopiate da mano femminile o dattiloscritte nel retro di articoli volpiani. Lettere di un italiano che ama la sua patria anche quando è a casa, parla del suo paese natio Paganica e narra ai suoi bambini il fronte e le trincee. Sente di appartenere a un popolo, di condividerne la sorte e i sacrifici, immerso nella storia e nel destino del suo Paese. Un sobrio amor patrio, senza fanatismi.
Come fu la sua adesione al fascismo e la sua fedeltà alla monarchia, sottraendosi alla Rsi; per lui i regimi passano, l’Italia resta. E la sua passione di storico, temprata nello stile dal suo tirocinio nel giornalismo grazie ai suoi zii Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, a partire dal ruolo di correttore di bozze al Mattino di Napoli. Poi la cattedra, il sodalizio con Gentile, la sua critica al razzismo, la sua difesa di Ernesto Bonaiuti e dei fratelli Rosselli, i giudizi diffidenti di Mussolini su di lui, e dopo la guerra la sua epurazione dall’università, il suo dignitoso riserbo e la sua coerenza. Da storico capiva che non bisogna lasciarsi assorbire nel presente, ma lasciar decantare i fatti.
Avevo consultato i suoi carteggi inediti grazie ai suoi figli, Giovanni e Vittorio, e a sua nuora Elza. Pubblicai anni fa alcune sue missive, tra cui un conflitto epistolare e giudiziario con Marinetti; inevitabile, uno si occupava, da storico, del passato e l’altro si eccitava, da poeta, per il futuro. Volpe concepiva la sua missione di storico a metà tra l’arte e la scienza, perché la storia, diceva con Labriola, è scienza del procedimento e arte della narrazione. Volpe fu lo storico della Nazione, amò il Risorgimento ma ricordò a Croce che l’Italia era nata molto prima della sua Unità. Alla vigilia dei 150 anni, merita di essere ricordato come la principale guida al nostro passato nazionale. L’Italia che fu - titolo di un suo libro uscito nel 1961 per i cent’anni dell’unità d’Italia - non può dimenticare il suo Virgilio.
(di Marcello Veneziani)
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