Una fotografia, la rappresentazione di un declino politico. Almeno così io l'ho interpretata. Con un tanto di malinconia che mi si è accesa nel ricordo di un passato assai più promettente di quanto fa presagire il presente. Vedere Gianfranco Fini seduto tra Luciana Sbarbati e Giorgio La Malfa, degnissime persone e la senatrice repubblicana persino amica, mi ha fatto capire che l'ex leader di An, convocato come gli altri alla riunione indetta da Casini per dare vita a un coordinamento parlamentare preludio della costituzione di un non precisato Polo della nazione, mi ha fatto capire che una lunga stagione di passioni e prospettive è definitivamente alle nostre spalle. Nostre, nel senso di chi ha condiviso l'idea, un po' romantica se si vuole, di una rivoluzione conservatrice che da destra muovesse per conquistare l'Italia nel nome di una concezione della politica che coniugasse valori tradizionali e progetti modernizzatori.
Quel tavolo apparecchiato dai fantasmi del pentapartito, riemersi dopo 20 anni dal catabombale destino nel quale erano stati precipitati dalla storia, mi è sembrato una sorta di vendetta perpetrata contro chi aveva contribuito alla dissoluzione di un mondo per inventarne uno nuovo. E Fini, in questa wagneriana ipostatizzazione del passato che torna, mi è sembrato il convitato più improbabile, ma anche il più inquietante.
Forse mi sbaglio, ma se l'avvenire di chi per ventitré anni ha tenuto nelle sue mani la destra italiana si lega ora a quello di raccogliticci epigoni del centrismo decadente, vuol dire che la politica italiana, al di là del berlusconismo, che pure si dà morto, e sepolto, è impossibile che vada oltre la palude contemporanea, mentre c'è assoluto bisogno che si contruiscano nuove prospettive per l'Italia che non può restare avvinta a stereotipi.
Sono loro, a cominciare da Fini, che lasciano a Berlusconi solo ad immaginare un Paese che sia capace di reagire ad una possibile (per quanto remota) deriva sinistrorsa; sono loro, i cultori di un neo-nazionalismo senza spirito nè argomenti, ad accellerare la disfatta di una nazione che invece avrebbe bisogno di ritrovarsi e non di disperdersi nei rivoli di un partitismo patetico e paradossale allo stesso tempo nel momento in cui la gente chiede unità d'intenti nel misurarsi con problemi decisivi per il futuro.
Che cosa ci fa Fini in quella compagnia? O meglio che ci fanno Casini, Buttiglione, Rutelli con Fini posto che la sfida a cui mi riferisco è di carattere essenzialmente valoriale? Non vedete come stridono le immagini di un'eticità perduta sullo sfondo di un relativismo prossimo al nichilismo? Laicisti e cattolici per mettere in difficoltà ancora una volta il Pdl? Per uno Stato nuovo, per un'economia diversa, per una società organica? Ma tutto questo non c'entra niente con un Polo che s'intitola alla nazione senza declinarla. Sa di vendetta, piuttosto, contro un voto parlamentare che ha sancito la saldezza di una maggioranza ancorchè striminzita, ma politicamente promettente, dal momento che esssa impedisce pateracchi partitocratici, governi istituzionali, esecutivi di emergenza. E Fini, ancora, per quel tanto di destra che gli rimane nel cuore, come si colloca in quella fotografia, mentre anche i suoi intellettuali più avveduti gli suggeriscono un po' di prudenza nel disegnare il suo personale cammino? Ce lo chiederemo a lungo nei prossimi mesi anche se per molti non ne vale certamente la pena.
(di Gennaro Malgieri)
Quel tavolo apparecchiato dai fantasmi del pentapartito, riemersi dopo 20 anni dal catabombale destino nel quale erano stati precipitati dalla storia, mi è sembrato una sorta di vendetta perpetrata contro chi aveva contribuito alla dissoluzione di un mondo per inventarne uno nuovo. E Fini, in questa wagneriana ipostatizzazione del passato che torna, mi è sembrato il convitato più improbabile, ma anche il più inquietante.
Forse mi sbaglio, ma se l'avvenire di chi per ventitré anni ha tenuto nelle sue mani la destra italiana si lega ora a quello di raccogliticci epigoni del centrismo decadente, vuol dire che la politica italiana, al di là del berlusconismo, che pure si dà morto, e sepolto, è impossibile che vada oltre la palude contemporanea, mentre c'è assoluto bisogno che si contruiscano nuove prospettive per l'Italia che non può restare avvinta a stereotipi.
Sono loro, a cominciare da Fini, che lasciano a Berlusconi solo ad immaginare un Paese che sia capace di reagire ad una possibile (per quanto remota) deriva sinistrorsa; sono loro, i cultori di un neo-nazionalismo senza spirito nè argomenti, ad accellerare la disfatta di una nazione che invece avrebbe bisogno di ritrovarsi e non di disperdersi nei rivoli di un partitismo patetico e paradossale allo stesso tempo nel momento in cui la gente chiede unità d'intenti nel misurarsi con problemi decisivi per il futuro.
Che cosa ci fa Fini in quella compagnia? O meglio che ci fanno Casini, Buttiglione, Rutelli con Fini posto che la sfida a cui mi riferisco è di carattere essenzialmente valoriale? Non vedete come stridono le immagini di un'eticità perduta sullo sfondo di un relativismo prossimo al nichilismo? Laicisti e cattolici per mettere in difficoltà ancora una volta il Pdl? Per uno Stato nuovo, per un'economia diversa, per una società organica? Ma tutto questo non c'entra niente con un Polo che s'intitola alla nazione senza declinarla. Sa di vendetta, piuttosto, contro un voto parlamentare che ha sancito la saldezza di una maggioranza ancorchè striminzita, ma politicamente promettente, dal momento che esssa impedisce pateracchi partitocratici, governi istituzionali, esecutivi di emergenza. E Fini, ancora, per quel tanto di destra che gli rimane nel cuore, come si colloca in quella fotografia, mentre anche i suoi intellettuali più avveduti gli suggeriscono un po' di prudenza nel disegnare il suo personale cammino? Ce lo chiederemo a lungo nei prossimi mesi anche se per molti non ne vale certamente la pena.
(di Gennaro Malgieri)
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