Ho provato a guardare in faccia Fini e Berlusconi alla vigilia del duello finale. Li ho guardati mentre parlavano alla gente, alle telecamere, ma non ho badato a quel che dicevano. In fondo erano abbastanza scontati i loro messaggi, era più significativo notare quel che esprimevano le loro facce, i loro gesti e le loro smorfie. Delle parole pronunciate ho conservato solo il timbro di voce, la modulazione e gli sguardi che le accompagnavano, senza curarmi dei loro argomenti. Mi interessava vederli dal punto di vista umano. Guardarli rispetto alla loro vita, alla loro verità.
Per calarmi di più nella loro vita ho cercato di pensarli più giovani, li ho proiettati nel loro passato, li ho immaginati perfino bambini, e poi tornando al presente li ho visti tanto invecchiati. Ma ho notato una differenza abissale tra i due. Berlusconi tenta, anche in modo artefatto e grottesco, di resistere alla vecchiaia e alla morte, lo vedi che difende a morsi e sorrisi la vita, con un impeto, una determinazione assoluta. Fini invece sembra passato dalla parte della morte; la sua faccia lunga e ormai rugosa, i suoi occhi, perfino i suoi sorrisini, lanciano un solo messaggio lugubre: devi morire, vieni via con me, non puoi sfuggire, ti porterò con me nella tomba.
Non è solo la lotta per la sopravvivenza del governo che inchioda uno a difendere la vita del governo e l’altro a volerne la morte. No, c’è un messaggio che travalica la vicenda del governo e si fa personale, autobiografico. In Berlusconi c’è l’horror vacui, appena esorcizzato e mascherato nell’ottimismo iperdentato; in Fini c’è cupio dissolvi, appena mascherato e alleggerito dal viso beffardo, con le sopracciglia che si alzano per rimarcare il sorriso. Alle spalle del primo c’è l’indole di chi ha sempre fondato, costruito, piazzato. Alle spalle dell’altro c’è l’indole di uno che si è sempre opposto, ha votato contro, ha frenato e disciolto. C’è asprezza in entrambi, e vistosa memoria di torti subiti, si notano le cicatrici della lotta; ma si vede la differenza tra uno che combatte per la vita e l’altro per la morte.
In Fini le rughe che scendono accanto alle labbra segnano un incattivimento e una sete di vendetta; nel suo sguardo si nota una meticolosa ferocia, una voglia di farla pagare, un risentimento d’inferiorità a lungo covato. Non c’è l’ambizione della conquista, il progetto futuro, la tensione ideale verso il nuovo; c’è una studiata, sofferta, biliosa, carica di odio unita a una punta di sadismo, interamente rivolta al passato. Ma lo vedo lontano dal suo passato giovanile, lontano dai suoi, ricordo la dolcezza di sua madre, le tagliatelle caserecce preparate con le sue mani e mangiate con lei a casa di Patrizia... Passato sepolto.
In Berlusconi lo sguardo è alterato dal lifting, sembra la maschera del Casanova di Fellini o di un Luigi XIV del nostro secolo, con la chirurgia estetica al posto della parrucca e del trucco pesante. Ma si nota nel movimento degli occhi e nel serrare le labbra la disperata tenacia di chi vive in stato di assedio e non rinuncia a una sconfinata ambizione; il petto è gonfio come se sotto la giacca ci fosse una corazza, un giubbotto antiproiettile, qualcosa di coriaceo per difendersi. A volte ha la stessa espressione di un anno fa: un altro duomo gli ha lanciato in faccia un ex alleato. Sarà vanaglorioso ed egocentrico, ma si nota che difende quel che ha costruito, lotta per la vita. E sotto quintali di cerone è più autentico, più passionale, c’è più umanità dell’algido rivale che usa a rovescio le parole responsabilità, legalità, correttezza istituzionale.
Li guardo e non penso alle loro posizioni in politica, li guardo a cavallo della loro vita. Uno ha esagerato, in tutto, ha strafatto, ha parlato troppo, ha fatto di tutto e di più. Ha pure frequentato troppe cocottes; qualcuno dirà, meglio pagarle per una sera che sposarsele... Ma ha pure costruito imprese, imperi, reti, squadre, alleanze, partiti, maggioranze, governi, e a rovescio ha seminato promesse, ricchi premi e cotillons, pasticci e scheletri nell’armadio. È l’uomo che ha dato il suo nome agli ultimi sedici anni d’Italia, nel bene e nel male. L’altro invece ha fatto sempre troppo poco, ha giocato sempre di rimessa, ha vissuto da secondo, ha detto molto ma non ha mai fatto nulla, non ha sbagliato perché non ha osato o inventato qualcosa, ha comiziato per una vita ma non ha mai governato neanche un condominio, ha ereditato partiti e li ha seppelliti, ha ricevuto presidenze, rendite di posizioni, patrimoni immobiliari dal vecchio partito. Raramente ha detto nei suoi primi quarant’anni di vita politica qualcosa fuori luogo; anche quando esaltava Mussolini lo faceva nel quadro del suo contratto di impiego come segretario del Msi. Solo negli ultimi due anni ha pazziato, ma per una vita ha detto solo misurate ovvietà, nullità incravattate...
Ora li vedi nemici, il Troppo e il Nulla, interpreti del film Mors tua vita mea (o mors tua voto mio). È l’ultima puntata di una soap opera durata sedici anni; tanto, anche se meno di Beautiful. Il colpo di scena è il titolo sbagliato, perché la fine del ciclo berlusconiano comporterebbe la fine del suo frutto avvelenato, il finismo. Non capisci la ragion politica, o addirittura la ragion patriottica, di questo conflitto. Capisci che c’è solo un’origine e una motivazione personale. Tifi per la vita contro la morte, s’intende; ti auguri che i becchini restino a mani vuote, auguri all’Italia che la vita vinca sulla morte. Ma con l’augurio che poi si viva e non si sopravviva. E si pensi davvero al futuro.
P.S. A Pier Ferdinando Casini ricordo solo il suo anagramma: «Se andrai con Fini perdi». Si dimetta dall’agenzia di pompe funebri.
Per calarmi di più nella loro vita ho cercato di pensarli più giovani, li ho proiettati nel loro passato, li ho immaginati perfino bambini, e poi tornando al presente li ho visti tanto invecchiati. Ma ho notato una differenza abissale tra i due. Berlusconi tenta, anche in modo artefatto e grottesco, di resistere alla vecchiaia e alla morte, lo vedi che difende a morsi e sorrisi la vita, con un impeto, una determinazione assoluta. Fini invece sembra passato dalla parte della morte; la sua faccia lunga e ormai rugosa, i suoi occhi, perfino i suoi sorrisini, lanciano un solo messaggio lugubre: devi morire, vieni via con me, non puoi sfuggire, ti porterò con me nella tomba.
Non è solo la lotta per la sopravvivenza del governo che inchioda uno a difendere la vita del governo e l’altro a volerne la morte. No, c’è un messaggio che travalica la vicenda del governo e si fa personale, autobiografico. In Berlusconi c’è l’horror vacui, appena esorcizzato e mascherato nell’ottimismo iperdentato; in Fini c’è cupio dissolvi, appena mascherato e alleggerito dal viso beffardo, con le sopracciglia che si alzano per rimarcare il sorriso. Alle spalle del primo c’è l’indole di chi ha sempre fondato, costruito, piazzato. Alle spalle dell’altro c’è l’indole di uno che si è sempre opposto, ha votato contro, ha frenato e disciolto. C’è asprezza in entrambi, e vistosa memoria di torti subiti, si notano le cicatrici della lotta; ma si vede la differenza tra uno che combatte per la vita e l’altro per la morte.
In Fini le rughe che scendono accanto alle labbra segnano un incattivimento e una sete di vendetta; nel suo sguardo si nota una meticolosa ferocia, una voglia di farla pagare, un risentimento d’inferiorità a lungo covato. Non c’è l’ambizione della conquista, il progetto futuro, la tensione ideale verso il nuovo; c’è una studiata, sofferta, biliosa, carica di odio unita a una punta di sadismo, interamente rivolta al passato. Ma lo vedo lontano dal suo passato giovanile, lontano dai suoi, ricordo la dolcezza di sua madre, le tagliatelle caserecce preparate con le sue mani e mangiate con lei a casa di Patrizia... Passato sepolto.
In Berlusconi lo sguardo è alterato dal lifting, sembra la maschera del Casanova di Fellini o di un Luigi XIV del nostro secolo, con la chirurgia estetica al posto della parrucca e del trucco pesante. Ma si nota nel movimento degli occhi e nel serrare le labbra la disperata tenacia di chi vive in stato di assedio e non rinuncia a una sconfinata ambizione; il petto è gonfio come se sotto la giacca ci fosse una corazza, un giubbotto antiproiettile, qualcosa di coriaceo per difendersi. A volte ha la stessa espressione di un anno fa: un altro duomo gli ha lanciato in faccia un ex alleato. Sarà vanaglorioso ed egocentrico, ma si nota che difende quel che ha costruito, lotta per la vita. E sotto quintali di cerone è più autentico, più passionale, c’è più umanità dell’algido rivale che usa a rovescio le parole responsabilità, legalità, correttezza istituzionale.
Li guardo e non penso alle loro posizioni in politica, li guardo a cavallo della loro vita. Uno ha esagerato, in tutto, ha strafatto, ha parlato troppo, ha fatto di tutto e di più. Ha pure frequentato troppe cocottes; qualcuno dirà, meglio pagarle per una sera che sposarsele... Ma ha pure costruito imprese, imperi, reti, squadre, alleanze, partiti, maggioranze, governi, e a rovescio ha seminato promesse, ricchi premi e cotillons, pasticci e scheletri nell’armadio. È l’uomo che ha dato il suo nome agli ultimi sedici anni d’Italia, nel bene e nel male. L’altro invece ha fatto sempre troppo poco, ha giocato sempre di rimessa, ha vissuto da secondo, ha detto molto ma non ha mai fatto nulla, non ha sbagliato perché non ha osato o inventato qualcosa, ha comiziato per una vita ma non ha mai governato neanche un condominio, ha ereditato partiti e li ha seppelliti, ha ricevuto presidenze, rendite di posizioni, patrimoni immobiliari dal vecchio partito. Raramente ha detto nei suoi primi quarant’anni di vita politica qualcosa fuori luogo; anche quando esaltava Mussolini lo faceva nel quadro del suo contratto di impiego come segretario del Msi. Solo negli ultimi due anni ha pazziato, ma per una vita ha detto solo misurate ovvietà, nullità incravattate...
Ora li vedi nemici, il Troppo e il Nulla, interpreti del film Mors tua vita mea (o mors tua voto mio). È l’ultima puntata di una soap opera durata sedici anni; tanto, anche se meno di Beautiful. Il colpo di scena è il titolo sbagliato, perché la fine del ciclo berlusconiano comporterebbe la fine del suo frutto avvelenato, il finismo. Non capisci la ragion politica, o addirittura la ragion patriottica, di questo conflitto. Capisci che c’è solo un’origine e una motivazione personale. Tifi per la vita contro la morte, s’intende; ti auguri che i becchini restino a mani vuote, auguri all’Italia che la vita vinca sulla morte. Ma con l’augurio che poi si viva e non si sopravviva. E si pensi davvero al futuro.
P.S. A Pier Ferdinando Casini ricordo solo il suo anagramma: «Se andrai con Fini perdi». Si dimetta dall’agenzia di pompe funebri.
(di Marcello Veneziani)
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