martedì 28 dicembre 2010

Parlato, Pennacchi e il fascismo: di "sinistra"


Uno dei più importanti storici italiani, Giuseppe Parlato, esperto di fascismo e postfascismo. Uno scrittore divenuto finalmente celebre, Antonio Pennacchi, vincitore del premio Strega e dell’Acqui Storia 2010 con il romanzo Canale Mussolini. Libero li ha messi a confronto, seduti in una stanza della Fondazione Spirito-De Felice presieduta da Parlato (che di questo giornale è collaboratore) mentre fuori, per le strade di Roma, gli studenti sfilavano protestando contro la riforma Gelmini. La sollevazione studentesca ha assunto anche forme parecchio violente e qualche opinionista ha avuto il fegato di giustificarla, con la scusa che l’Italia è vittima di un regime - quello berlusconiano - e contro i regimi ogni mezzo è lecito. Il punto è sempre quello: siamo ancora bloccati a parlare di fascismo, non riusciamo a fare i conti con il Ventennio, se non dividendoci e scambiandoci mazzate.

GIUSEPPE PARLATO: «Il fatto è che quando si parla di fascismo il buon livello di alcuni storici nell’aver analizzato, per esempio, il tema del consenso al regime non è stato recepito a livello di vissuto comune del Paese. Nei libri di testo delle scuole questo discorso fa fatica a passare. Così come la differenza tra fascismo e nazismo. Io vado nelle classi a parlarne e vengo guardato in modo strano».

ANTONIO PENNACCHI: «Le riflessioni sul consenso sono assodate, a sinistra, solo per i gruppi dirigenti Per i giornali, come per esempio l’Unità, no».

Resta il fatto che il suo romanzo, col nome di Mussolini nel titolo, ha trionfato nel salottino dello Strega. Segno che qualcosa è cambiato, in Italia. Anni fa non sarebbe stato possibile.

PENNACCHI: «Io penso sia più dirompente e scandaloso che un operaio possa vincere lo Strega. Tanti si sono incazzati per questo. Ma non è colpa mia...».

PARLATO: «Sicuramente qualcosa è accaduto. Intanto è caduto il muro di Berlino, non c’è più bisogno di costruire una verità rivoluzionaria per coinvolgere e convincere le masse. E questo ha determinato una frana all’interno della storiografia marxista che è diventata laica, ha subìto un processo di secolarizzazione, in alcuni casi. Accetta di affrontare certi argomenti».

PENNACCHI: «Infatti trovo che siano più retrivi gli antifascisti di matrice cattolica, cattolico-democristiana. Quelli ancora intignano».

PARLATO: «Vero. Sia l’antifascismo liberale che l’antifascismo cattolico sono i più restii a recepire le riflessioni sul regime».

PENNACCHI: «Stiamo parlando di Giustizia e libertà, di Repubblica. Gli azionisti, insomma».

PARLATO: «Appunto. Gli azionisti nascono liberali e questo atteggiamento dipende dal fatto che i liberali e i cattolici hanno le maggiori responsabilità in ordine all’avvento del fascismo in questo Paese. Intanto perché hanno votato i pieni poteri a Mussolini nel 1923, quando nessun medico lo chiedeva. Poi non hanno saputo sfruttare la vicenda dell’assassinio di Matteotti. Per loro dichiarare che il fascismo fu un fenomeno di consenso di massa diventa un problema. Ricordiamo che Palmiro Togliatti, fin da subito, parla di “regime reazionario di massa”, aveva già capito tutto».

PENNACCHI: «Quello era il migliore per davvero...».

PARLATO: «Più della metà delle lezioni sul fascismo di Togliatti era dedicata al corporativismo e al rapporto fra massa e regime. Una volta finite le incrostazioni di carattere ideologico, da parte marxista c’è stata più ricettività su questi temi. Da parte delle forze che una volta si chiamavano borghesi molto meno».

PENNACCHI: «Io ho notato un cambiamento a Latina. Da tutto il Paese e da tutti i latinensi è sempre stata considerata come una città brutta da far schifo e fascista. Quando si parlava di architettura fascista solo Sabaudia veniva salvata e considerata bella. Questo perché l’ha progettata Luigi Piccinato, che era fascista, ma poi si è riallineato col Partito socialista e con Zevi. L’orgorglio cittadino a Latina nasce col binomio Pennacchi-Finestra. Nel 1995 esce il mio romanzo Palude (anch’esso sulle bonifiche volute dal Duce, ndr) e per la prima volta c’è un sindaco fascio, Ajmone Finestra appunto. E si comincia a dire che la città è bella». Allora la percezione del fascismo cambia quando arriva il centrodestra al governo.

PENNACCHI: «Finestra non era di centrodestra. In ogni caso il centrodestra nasce dopo la crisi della Prima repubblica, c’è un ripensamento complessivo del Paese».

PARLATO: «Non bisogna dimenticare nemmeno la scomposizione della Dc. Era un partito interclassista e interpolitico, nel senso che aveva una destra e una sinistra. Non avrebbe mai potuto accettare una riflessione del genere sul fascismo. Quando si formano centrodestra e centrosinistra la situazione cambia talmente. Col centrodestra al governo poi anche la sinistra moderata comincia a cambiare. Le posizioni di Gianni Oliva e di Luciano Violante sono state molto interessanti. Io con Violante ho avuto dialoghi pubblici e ho trovato aperture molto forti, che non c’erano prima».

PENNACCHI: «Le cose stanno assieme. Sono questi cambiamenti che hanno determinato la nascita del centrodestra... E viceversa. Poi c’è il contributo delle nuove generazioni, quelle che nascono dalla terra e per cui l’ideologia non vuol dire più un cazzo. Tu parli di centrodestra... L’unico periodo in cui la sinistra è stata al potere è stata in quei vent’anni là, sotto il fascismo. Le riforme di struttura sono state fatte là». Dunque lei vede il fascismo come una sorta di rivoluzione sociale.

PENNACCHI: «Nel fascismo c’è stato tutto. Però non può essere definito un regime di destra. Perché modifica le classi sociali, modifica i rapporti di produzione. Quando tu prendi un contadino e gli dai la proprietà della terra, hai fatto una rivoluzione... L’unica cosa che non si può dire del fascismo è che sia stato un cancro che si è formato un bel giorno... È un’età della storia d’Italia, c’è nel fascismo il flusso del tempo in cui vengono a compimento fenomeni iniziati prima e nascono altri che si compiranno dopo. Tant’è che strutture come l’Iri sono sopravvissute anche in seguito».

PARLATO: «Io non penso che il fascismo sia stato una rivoluzione. A me sembra che l’analisi di Pennacchi sia molto agricolo-centrica. Il sistema corporativo ha funzionato bene solo nella risoluzione delle vertenze di lavoro... Questo è un po’ poco per dire che c’è stata una rivoluzione strutturale. C’è stata l’intenzione di farla, probabilmente, ma non è avvenuta in maniera compiuta».

PENNACCHI: «Non si può negare che il fascismo abbia modernizzato il Paese. Nel 1938 si entra per la prima volta fra i grandi Paesi industriali. Questa è una rivoluzione. L’Alfa Romeo a Pomigliano D’Arco la fa il fascismo. Il fascismo si pone il problema della delocalizzazione. Si occupa di progetto del territorio, di industrializzazione... Lo Stato industriale nasce là. Come si evince dai diari di Bottai ma anche dalle conversazioni di Mussolini con Ludwig, il fascismo ha una visione strutturale della crisi del 1929, pensa che in crisi sia il capitalismo e si pensa già come oltre il capitalismo. E, alla fine, si esce dal fascismo con classi sociali diverse da prima».Per molti, tuttavia, il fascismo resta solo un cancro.

PARLATO: «Il discorso del cancro è importantissimo. La tesi di Benedetto Croce, che descrive il fascismo come una parentesi infausta nella storia italiana, è una tesi a cui non ha mai creduto nessuno, forse nemmeno lo stesso Croce».

PENNACCHI: «Ha fatto finta di crederci Norberto Bobbio, però».

PARLATO: «Molti hanno fatto finta. Perché pensavano che fosse l’unico modo per riprendere il discorso. Si dissero: evitiamo di interrogarci sulle cause dell’avvento del fascismo; dopo questa parentesi, quasta malattia di vent’anni, l’Italia nuova può ripartire. È una tesi etico-politica non storiografica. A livello storiografico invece è prevalsa l’idea di Gobetti, azionista, per cui dal Risorgimento al fascismo c’è una decadenza dello spirito pubblico, il fascismo è il precipitato di tutti i mali di questo Paese. Viene tolto da qualunque cornice storica e dipinto come il male assoluto. E ogni volta che l’Italia è messa male si dice che è colpa del fascismo. Non del fascismo storico, ma di un’idea di fascismo che aleggia». Qualcuno sostiene che anche oggi ci sia un fascismo: una nazione fondata sull’antifascismo per reggere ha bisogno di un fascismo permanente. E quindi chi va in piazza a menare fa bene, poiché contro un regime tutto è lecito.

PARLATO: «Certo».

PENNACCHI: «Eh, no! Non toccamo ’sto tasto, però. Gli studenti fanno bene a menarse, oh. Se no chi li sente? Il fatto che si picchino prescinde da questioni ideologiche e politiche. Riguarda il funzionamento dell’essere umano. Alla base ci sono motivazioni preideologiche. Per un giovane che si affaccia alla vita, e che ha i coglioni, c’è sempre un regime da abbattere. Il regime del padre, della madre, dello Stato, eccetera... La massa non è qualcosa di uniforme o amorfo. è sempre composta da un grande centro, una destra e una sinistra. Funziona così. Nel giorno che in centomila scendono in piazza avrai il centro che sta buono, una destra che starà ancora più buona e una piccola minoranza di... Hai letto Il fasciocomunista? Hai presente il personaggio di Accio?».Un bell’attaccabrighe, che sta a destra e poi a sinistra. E non teme di menare.

PENNACCHI: «Ecco. Normale che in una manifestazione ci siano degli Accio che si svegliano alla mattina già incazzati col padre, con la madre, con la fidanzata che gli ha detto di no...Quando si trovano davanti i poliziotti che gli impediscono di passare, s’incazzano ancora di più. Una rabbia prepolitica. I giovani si devono far girare i coglioni. Loro hanno il diritto e il dovere di fare gli Accio. Il poliziotto ha il dovere di menarli. È il gioco sociale da sempre. Questa è la realta. Uno di sessant’anni è saggio e non violento, non un giovane. Ma vaffanculo Borgono’. Quando avevo diciotto anni stavo col casco e col bastone...». Resta che chi va in piazza generalmente non sa un tubo della riforma che contesta.

PENNACCHI: «Certo, e allora? Secondo te quando io facevo fare sciopero agli studenti medi a Latina li convincevo uno per uno spiegandogli perché era giusto? Andavo là e gli dicevo: “Basta, c’è sciopero”. Una parte scioperava perché aveva voglia di fare sega a scuola, gli altri perché se no li menavamo».

PARLATO: «Io ho solo un timore. Che a forza di fare insurrezioni che prescindono dalle cose che accadono ci s’imbarbarisca. Qui parliamo di persone che fanno l’università che tra un po’, si spera, andranno a lavorare. La strada per pensare l’Italia di domani non è certo quella dell’insurrezione».

PENNACCHI: « Il fatto è che oggi per lavorare come ricercatore universitario hai bisogno di una famiglia ricca che ti sostenga. Altrimenti non riesci, non puoi scrivere, studiare e avere anche una vita normale».

PARLATO: «Io vivo dentro l’università, sono stato ricercatore vent’anni. E dico che i ricercatori riescono a mantenersi. Si possonomantenere con altri lavori, avere una famiglia. Certo, devono tirarsi su le maniche, lavorare fino a tarda sera. È un luogo comune che non sia possibile. Esiste anche in Italia la possibilità di studiare e fare ricerca: bisogna darsi molto da fare, pubblicare articoli».Dicono che ci sono tantissimi ricercatori i quali rimangono tali per anni e anni...

PARLATO: «Ci sono anche ricercatori che rimangono tali perché non scrivono, non fanno nulla, come pure alcuni ordinari e associati. Prendono anche 3000 euro al mese. Chi ha messo incentivi sulla pubblicazione e la ricerca? Questo governo. Dimostrare che si produce qualcosa è giusto: c’è gente che lavora in fabbrica, guadagna meno ed è precaria. Io vedo come funzionano i concorsi universitari e noto che negli ultimi due anni sono cambiate molte cose. E poi, a creare l’università bloccata di oggi è stato l’accordo tra Dc e Pci negli anni Ottanta. Questo sistema qualcuno lo deve smontare e lo sta facendo la Gelmini, sostenuta peraltro da tecnici di sinistra moderata. Quello che stupisce è che i ragazzi che protestano difendano l’università che stanno contestando... Loro non lo sanno».Secondo la logica di Pennacchi, è naturale che protestino.

PENNACCHI: «Sì, certo. Io non conosco bene la situazione come Parlato. So solo che a me non piace l’università di oggi. Di più: non mi piace l’intera società italiana. E mi sembra giusto che i giovani si incazzino contro la società italiana. Guarda, a me nemmeno piace il presidente del Consiglio. Ma se dicessi che è tutta colpa sua direi una grande puttanata».

PARLATO: «Io vorrei che protestassero anche contro i governi di sinistra...».

PENNACCHI: «Ma l’han fatto».

PARLATO: «Non così».

PENNACCHI: «Il dramma nostro, a sinistra, è che abbiamo avuto i ministri in piazza contro i nostri governi, siamo così bravi a menarci da soli sui coglioni...Lascia perdere».

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