mercoledì 1 dicembre 2010

Si vuol ripetere il grisbi del '92


Solo un ingenuo può supporre i documenti top secret statunitensi in giro per il mondo senza che in un sottoscala di Washington DC ne sappiano nulla. La tracciabilità d'ogni top secret è totale. Se sfuggono in massa è per mimetizzare i due o tre papelli indirizzati sull'obiettivo vero, Silvio Berlusconi.

Dov'è la Cia d'una volta? Quella che rapiva Aldo Moro, sparava al Papa, metteva le bombe sugli aerei? Il male assoluto di chiunque avesse una, pur lontana, affinità con Marx e monsignor Riboldi. Miracolo! È ascesa al cielo dalle pagine postbolsceviche nazionali. Abbiamo Santa Hillary Clinton da quando Wikileaks sforna documenti persino più sensazionali di quelli consueti di Repubblica. Mentre Gianfranco Fini attacca il governo, guardato con simpatia dal “Bildberg group”, si tenta di ripetere la rapina dell'industria italiana, realizzata fra il 1992 e il 1994, quando ci fregarono le industrie dell'Iri, grazie ai governi antimafiosi che non applicarono misure adeguate ai mafiosi. Il mirino politico è su Berlusconi, quello economico è su Finmeccanica, fiore all'occhiello della tecnologia militare italiana e dito nell'occhio per la Gran Bretagna. Come i barbari, s'uccidono i governanti e si saccheggiano le ricchezze.

Chiedetelo a Romano Prodi che fu consigliere di Goldman & Sachs quando speculava contro la lira nel 1992 (Ciampi, governatore di Bankitalia, bruciò 60mila miliardi) mentre tutti eravamo distratti dalle stragi dei mafiosi, poi curati come sappiamo da Giovanni Conso, ministro del solito Carlo Azeglio Ciampi. Chiedetelo agli italiani convocati sul panfilo Britannia nel 1992 (dopo la morte di Falcone e prima di quella di Borsellino) al largo di Ustica, accolti da uno staff di agenti britannici col dossier Mitrokhin in mano. Divennero tutti liberal, subito.

Wikileaks è un avvertimento a Ban Ki-Moon, a Muammar Gheddafi, ad Hamid Karzai, a Vladimir Putin, all'Iran. È una pugnalata a Berlusconi. Qui nessuna novità. Le fonti dell'ambasciata Usa a Roma si autoqualificano come ai tempi di Moro, quando dagli Usa piovve lo scandalo Lockheed (fondi neri, come per oggi per Finmeccanica) isolando lo statista pugliese (mentre l'Unione sovietica si preparava a ucciderlo). È il solito problema dei democratici Usa; l'avidità li induce a confondere traditori con amici e viceversa. Come si realizza tecnicamente la bufala di Wikileaks? I documenti sono filtrati legalmente verso uno o più paesi fidati, l'«Echelon club» per intenderci, la super Nato che raccoglie i paesi Wasp (White, Anglosasson, Protestant), a egemonia bianca, anglosassone e religione protestante. Da lì a organizzare una finta fuga di documenti, attraverso una rete non collegabile a Washington, il passo è breve. Nello stesso tempo a Washington attivano i canali legali (la legalità innanzi tutto, si sa) per incriminare Julian Assange, il patron di Wikileaks, genio, ma fesso come tutti i geni. Avrà un incidente mortale o andrà in galera e nessuno potrà intervistarlo, non appena l'operazione contro Berlusconi sarà conclusa, o piuttosto naufragata.

ItaliaOggi lo scrisse molti mesi fa: se Berlusconi non avesse l'amicizia di Putin sarebbe finito come Giovanni Leone, Moro e altri di fede occidentale. L'avidità dei malvagi non è mutata; tempi e scenari invece sì. Washington e Londra lo capiranno quando sarà troppo tardi, come al solito. Se fotocopiate questo pezzo, state attenti: ogni fotocopiatrice lascia tre puntini invisibili, una firma indelebile; la più aggirabile delle innumerevoli invenzioni della Cia per tracciare i documenti.

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