C'era una volta un Re che regnava a distanza su una repubblica di partiti, mafie e conventicole. Non voleva fare il premier o sporcarsi con la politica e il voto popolare; preferiva restare semplicemente il Padrone. Per lui le plebi puzzavano, interessavano solo come consumatori e sudditi, mica come cittadini ed elettori sovrani. Nessuno osava sparlare di lui e dei suoi prodotti che inondavano il Paese e mezzo mondo.
Il suo Paese fu disegnato a immagine e somiglianza dei suoi interessi. Il Re si occupava di mezzi di comunicazione in vari sensi; anche lui aveva i suoi giocattoli per la ricreazione e lo sport. Faceva affari anche lui con i cattivi del pianeta e del Paese, ma nessuno fiatava. I suoi interessi aziendali e familiari condizionavano pesantemente il suo Paese che si caricava i suoi debiti, ma non intaccava i suoi privilegi. Vendeva armi e prodotti ritenuti cancerogeni, ma non si poteva dire in pubblico. Se i suoi prodotti erano peggiori di quelli della concorrenza nessuno osava pubblicare un’inchiesta sulla loro qualità, anche perché i principali giornali per vie dirette e indirette erano controllati da lui; e gli altri erano condizionati da banche e pubblicità del suo gruppo o controllate. Dissero una volta a un giovane che fondò un settimanale: sparla di tutti, attacca pure la mafia, ma non toccare lui e il suo regno. Finisci male, ti fanno chiudere.
Il Padrone amava divertirsi in modo assai pesante: donnine, cocaina e tanto altro ancora. Ma nessuno mai vide una foto hard sui suoi sollazzi e le sue pupe, mai un’intercettazione sconveniente, mai un’inchiesta,mai un giudice che osò varcare i cancelli della sua sacra privacy. Quel che era servile omertà passava per sua signorile sobrietà. I direttori andavano in ginocchio da lui, gli baciavano i piedi e se sapevano dei giochini o di qualche brutta storia della sua famiglia, in pubblico mettevano a tacere e al suo cospetto facevano le fusa per compiacerlo. Di quel Re permane il devoto ricordo dei beneficiati e il pietoso silenzio di tutti. Autodafè. Per fortuna questa è una favola; quel Re, quei servi e quel Paese non sono mai esistiti...
(di Marcello Veneziani)
Il suo Paese fu disegnato a immagine e somiglianza dei suoi interessi. Il Re si occupava di mezzi di comunicazione in vari sensi; anche lui aveva i suoi giocattoli per la ricreazione e lo sport. Faceva affari anche lui con i cattivi del pianeta e del Paese, ma nessuno fiatava. I suoi interessi aziendali e familiari condizionavano pesantemente il suo Paese che si caricava i suoi debiti, ma non intaccava i suoi privilegi. Vendeva armi e prodotti ritenuti cancerogeni, ma non si poteva dire in pubblico. Se i suoi prodotti erano peggiori di quelli della concorrenza nessuno osava pubblicare un’inchiesta sulla loro qualità, anche perché i principali giornali per vie dirette e indirette erano controllati da lui; e gli altri erano condizionati da banche e pubblicità del suo gruppo o controllate. Dissero una volta a un giovane che fondò un settimanale: sparla di tutti, attacca pure la mafia, ma non toccare lui e il suo regno. Finisci male, ti fanno chiudere.
Il Padrone amava divertirsi in modo assai pesante: donnine, cocaina e tanto altro ancora. Ma nessuno mai vide una foto hard sui suoi sollazzi e le sue pupe, mai un’intercettazione sconveniente, mai un’inchiesta,mai un giudice che osò varcare i cancelli della sua sacra privacy. Quel che era servile omertà passava per sua signorile sobrietà. I direttori andavano in ginocchio da lui, gli baciavano i piedi e se sapevano dei giochini o di qualche brutta storia della sua famiglia, in pubblico mettevano a tacere e al suo cospetto facevano le fusa per compiacerlo. Di quel Re permane il devoto ricordo dei beneficiati e il pietoso silenzio di tutti. Autodafè. Per fortuna questa è una favola; quel Re, quei servi e quel Paese non sono mai esistiti...
(di Marcello Veneziani)
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