Chiuso il congresso fondativo del partito con lo sfondo di una immagine identica a quella ecologica scelta (chissà perché) dalle Poste e Telegrafi, spiegato che il partito va a destra e non si vuole mescolare se non tatticamente con la sinistra; deciso che il presidente sarà Fini e che Fini si “autosospende” per non dimettersi da presidente della Camera; affidata la vicepresidenza a Italo Bocchino, che ne sarà dunque il volto ufficiale e il braccio esecutivo; è stato confermato il nome derivato dal libro firmato da Fini: “Futuro e libertà per l’Italia”. Di conseguenza, perdurerà purtroppo il vezzo giornalistico di sintetizzare e gli esponenti o aderenti a Futuro e libertà continueranno a venire chiamati dalle cronache politiche scritte e televisive semplicemente “futuristi”. Non credo che Filippo Tommaso Marinetti e i suoi seguaci ne sarebbero molto soddisfatti.
Il riferimento al futurismo è sempre stato presente negli scritti degli intellettuali e dei politologi che – veri apprendisti stregoni – hanno creato il “caso Fini” in funzione antiberlusconiana; ma che c’entra il Futurismo con il Fli? Che c’entrano la sua storia, le sue idee, i suoi valori con quelli di Futuro e libertà e in specie del suo presidente autosospeso? Il movimento marinettiano fu inizialmente fiancheggiatore del fascismo e poi culturalmente e politicamente confluì in esso. Addirittura certi futuristi hanno sostenuto durante e dopo il Ventennio che le idee-base del fascismo provenivano da quelle del Partito politico futurista e che sotto certi aspetti Mussolini si ispirò a Marinetti.
Di conseguenza, definire per ragioni di comodità lessicale “futuristi” i rappresentanti del Fli, e soprattutto il loro autodefinirsi tali, è paradossale e grottesco insieme considerando la netta condanna del fascismo e del suo capo sanzionata senza mezzi termini dal duce del Fli. Direi quasi inconciliabile con la parabola politica di Marinetti stesso. Gli esponenti finiani dovrebbero essere fieramente antifascisti, fieramente resistenziali se dobbiamo credere alle lapidarie affermazioni del loro presidente: la gran massa dei futuristi-doc non lo fu affatto: Marinetti fu sansepolcrista e poi accademico d’Italia, appoggiò l’imperialismo italiano politico e culturale, andò volontario in Russia, aderì alla Repubblica sociale, morì a Venezia nel 1944 e volle essere sepolto in camicia nera. Tutto questo dovrebbe far rabbrividire di orrore i neo-antifascisti del Fli.
Il motto dei futurismi era “Marciare non marcire”. Il motto degli intellettuali finiani pare sia “Misticanza non militanza”. Un abisso, dato che costoro teorizzano l’abbandono di qualsiasi identità e ideologia, per approdare a un miscuglio post-ideologico anodino dove c’è spazio per tutti eccetto che per i fascisti e i berlusconiani (sempre prendendo per tavole della legge le esternazioni del gran capo).
Ci si può ridurre a questo? Sembra di sì. Purtroppo quei “fascisti immaginari” di un fortunato e originale libro di qualche anno fa si sono trasformati in “futuristi immaginari”. Chiamiamoli, dunque, come volete: finiani, filliani, fillini, finistei, furbisti, bocchiniani, ursini, granateschi, brigugli, ma per favore no, ma proprio no, futuristi.
(di Gianfranco de Turris)
Il riferimento al futurismo è sempre stato presente negli scritti degli intellettuali e dei politologi che – veri apprendisti stregoni – hanno creato il “caso Fini” in funzione antiberlusconiana; ma che c’entra il Futurismo con il Fli? Che c’entrano la sua storia, le sue idee, i suoi valori con quelli di Futuro e libertà e in specie del suo presidente autosospeso? Il movimento marinettiano fu inizialmente fiancheggiatore del fascismo e poi culturalmente e politicamente confluì in esso. Addirittura certi futuristi hanno sostenuto durante e dopo il Ventennio che le idee-base del fascismo provenivano da quelle del Partito politico futurista e che sotto certi aspetti Mussolini si ispirò a Marinetti.
Di conseguenza, definire per ragioni di comodità lessicale “futuristi” i rappresentanti del Fli, e soprattutto il loro autodefinirsi tali, è paradossale e grottesco insieme considerando la netta condanna del fascismo e del suo capo sanzionata senza mezzi termini dal duce del Fli. Direi quasi inconciliabile con la parabola politica di Marinetti stesso. Gli esponenti finiani dovrebbero essere fieramente antifascisti, fieramente resistenziali se dobbiamo credere alle lapidarie affermazioni del loro presidente: la gran massa dei futuristi-doc non lo fu affatto: Marinetti fu sansepolcrista e poi accademico d’Italia, appoggiò l’imperialismo italiano politico e culturale, andò volontario in Russia, aderì alla Repubblica sociale, morì a Venezia nel 1944 e volle essere sepolto in camicia nera. Tutto questo dovrebbe far rabbrividire di orrore i neo-antifascisti del Fli.
Il motto dei futurismi era “Marciare non marcire”. Il motto degli intellettuali finiani pare sia “Misticanza non militanza”. Un abisso, dato che costoro teorizzano l’abbandono di qualsiasi identità e ideologia, per approdare a un miscuglio post-ideologico anodino dove c’è spazio per tutti eccetto che per i fascisti e i berlusconiani (sempre prendendo per tavole della legge le esternazioni del gran capo).
Ci si può ridurre a questo? Sembra di sì. Purtroppo quei “fascisti immaginari” di un fortunato e originale libro di qualche anno fa si sono trasformati in “futuristi immaginari”. Chiamiamoli, dunque, come volete: finiani, filliani, fillini, finistei, furbisti, bocchiniani, ursini, granateschi, brigugli, ma per favore no, ma proprio no, futuristi.
(di Gianfranco de Turris)
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