sabato 5 febbraio 2011

Elogio dell'onesto compagno Peppone e del vecchio Pci


Non capisco perché tra le celebra­zioni dei 150 anni dell’Unità d’Ita­lia abbiano infilato la nascita del Partito comunista italiano, allestendo a Roma una mostra che si chiude doma­ni. L’alibi forzoso è che quest’anno ca­dono i 90 anni della sua fondazione. Ma è assurdo che tra tutti i partiti italiani l’unico che abbia avuto un suo spazio d’onore nelle celebrazioni patriottiche sia proprio il partito che per quasi tutta la sua storia ha tifato - in politica, econo­mia, corsa alle armi e allo spazio e perfi­no nello sport - per l’Unione Sovietica e l’internazionale comunista, contro l’Ita­lia, l’Europa e l’Occidente.

E che abbia considerato l’amor patrio un brutto vi­zio nazionalista e fascista. Le bandiere rosse coprivano i tricolori, perché «i pro­letari non hanno patria» e i compagni sovietici erano più fratelli dei connazio­nali non comunisti. Però vi devo confes­sare una cosa: fuori dal contesto impro­prio delle celebrazioni patriottiche, ho visitato la mostra dedicata al Pci con una punta di commossa e perversa no­stalgia. Erano meglio allora i compagni, dei loro eredi di oggi nella sinistra setta­ria, giudiziaria e giacobina. Al di là dei sogni totalitari e della servitù sovietica, al di là del fanatismo comunista e della demagogia sindacale, la gente che vi mi­litava merita rispetto, aveva una sua au­tenticità popolare. Credevano davvero nelle loro idee e si sacrificavano per il partito, avevano una coerente e genui­na passione ideale, lottavano per la giu­stizia sociale, erano lavoratori onesti e avevano una loro moralità e serietà.

Po­co senso critico, molta fierezza popola­re. E i loro inni erano belli e vibranti, quasi come quelli fascisti; pieni d’uma­nità e fervore per il domani. Fu una for­tuna per noi e per loro che non andaro­no al potere: altrimenti oggi li maledi­remmo. Non sono mai stato comunista, anzi l’opposto; ma ce ne fossero oggi di comunisti come quelli che gremivano le piazze e le sezioni. Nostalgia del vec­chio Pci e della sua anima nazionalpo­polare, di Gramsci, Di Vittorio, dei sin­daci Peppone e dei cafoni... Ma è come rimpiangere gli orologi a cucù nel tem­po dell’Ipad. Puro vintage.

(di Marcello Veneziani)

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