Mauro pone La Repubblica e il movimento antiberlusconiano sotto la campana di vetro di Gobetti e degli azionisti, presentandoli come veri liberali, immuni dal peccato originale del comunismo. Mauro dimentica che per Gobetti il modello della sua rivoluzione liberale era la rivoluzione bolscevica. Gobetti teorizzava i soviet operai anche in Italia, considerava Marx «un liberale», riconosceva con Sorel il valore pedagogico della violenza, arrivò persino ad accusare il fascismo di «pacifismo imbelle» e di cedere al capitalismo borghese. Gobetti sognava di «spazzar via tutti... questi maledetti signori e signore » che temono «il bolscevismo, l'imposta sul capitale, le violenze e i tumulti; e vanno cercando di conservarsi il patrimonio». Parole attualissime...
Gobetti poi auspicava «un proletariato agguerrito», «una politica imperialista», e riteneva la guerra «una legge di sviluppo dei popoli ». In Giustizia e Libertà Carlo Rosselli fu nemico e vittima del fascismo ma alleato di Stalin perché ammirava il suo anticapitalismo antiborghese. Tra gli azionisti c'erano Ernesto Rossi e Silvio Trentin che auspicavano per l'Italia «una dittatura rivoluzionaria» e un' economia pianificata come in Urss; c'era Duccio Galimberti che prefigurava una Costituzione in cui vietare i partiti politici. Molti dei loro riferimenti, Calogero, Capitini, Codignola, lo stesso Gobetti, si erano formati su Gentile, filosofo del fascismo. È vero, gli azionisti a cui si ispira Mauro e il neomovimento Libertà e Giustizia, non erano comunisti ma giacobini; e succubi del comunismo staliniano. Per Augusto Del Noce gli azionisti furono i «trotzkisti del fascismo». La vera differenza con i loro nipotini di oggi è una e merita rispetto: pagarono di persona e non avevano un De Benedetti alle spalle. Azionisti puri, senza un azionista di riferimento.
(di Marcello Veneziani)
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